Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0064 del 1961 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: codice penale art.559:
-Argomento sistematico: a) della sedes materiae (argomento topografico)
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.29 comma 2:
-Argomento sistematico: c) concettualistico (argomento dogmatico)
-Argomento naturalistico (riferimento al common sense)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva

N. 64
SENTENZA 23 NOVEMBRE 1961

Deposito in cancelleria: 28 novembre 1961.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 300 del 2 dicembre 1961.
Pres. CAPPI - Rel. PETROCELLI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. GIUSEPPE CAPPI, Presidente Prof. GASPARE
- AMBROSINI - Dott. MARIO COSATTI - Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI
- Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof.
NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI -
Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA -
Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 559
del Codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 24 novembre 1960 dal Tribunale di Lagonegro
nel procedimento penale a carico di De Rinaldis Domenico e Salzano
Lucia, iscritta al n. 1 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 del 4 febbraio 1961;
2) ordinanza emessa il 10 maggio 1961 dal Pretore di Ancona nel
procedimento penale a carico di Di Martino Anna e Cugini Otello,
iscritta al n. 88 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 del 29 luglio 1961.
Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1961 la relazione del
Giudice Biagio Petrocelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri;

Ritenuto in fatto:

Nel procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Lagonegro
a carico di De Rinaldis Domenico e Salzano Lucia, imputati di relazione
adulterina, la difesa degli imputati ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 559 Cod. pen. in relazione agli
artt. 3 e 29 della Costituzione. Il Tribunale, ritenuta la questione
non manifestamente infondata, con ordinanza del 24 novembre 1960,
sospeso il procedimento, rimetteva gli atti alla Corte costituzionale.
In tale ordinanza si rileva che l'art. 559 Cod. pen., prevedendo come
reato soltanto l'adulterio della moglie e non anche quello del coniuge
in generale, crea una disparità di trattamento giuridico fra i
coniugi, ponendosi così in contrasto col principio della loro
eguaglianza morale e giuridica stabilito dall'art. 29 della
Costituzione, nonché con quello della parità dei sessi di fronte alla
legge di cui all'art. 3 della Costituzione stessa.
La medesima questione è stata sollevata in altro procedimento
penale per relazione adulterina pendente a carico di Di Martino Anna e
Cugini Otello davanti al Pretore di Ancona, il quale, con ordinanza del
10 maggio 1961, ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale. Il
Pretore, richiamandosi anche all'ordinanza del Tribunale di Lagonegro,
osserva che la legge penale, prevedendo come reato in ogni caso la
relazione adulterina della donna, mentre subordina la punibilità del
concubinato dell'uomo alla condizione che esso avvenga nella casa
coniugale o notoriamente altrove, viene a stabilire fra i coniugi una
disparità di trattamento; disparità che appare lesiva del principio
sancito dall'art. 29 della Costituzione, in virtù del quale il
matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a tutela della unità
familiare.
Le due ordinanze, regolarmente notificate e comunicate, sono state
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, rispettivamente del 4 febbraio e
del 29 luglio 1961, nn. 31 e 187.
In entrambi i giudizi si è costituito soltanto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, con atti di intervento dell'Avvocatura generale
dello Stato del 23 dicembre 1960 e del 30 maggio 1961.
L'Avvocatura dello Stato, premessi alcuni richiami di carattere
storico sui criteri seguiti dalle precedenti legislazioni, rileva
preliminarmente che se il legislatore, e in particolare il Costituente,
orienta la evoluzione della norma nel senso della evoluzione del
costume, non può sovvertire, nella malintesa attuazione di principi
insussistenti, le regole che esprimono il lento evolversi degli usi e
delle tradizioni.
Nel nostro ordinamento si ha, da un lato, la determinazione
dell'obbligo reciproco di fedeltà fra i due coniugi, sancito dall'art.
143 del Codice civile, e, dall'altro, un differente trattamento, nella
legge penale, per ciò che riguarda la trasgressione di questo obbligo
di fedeltà.
La giustificazione della disparità - sostiene l'Avvocatura - è da
ricercarsi in ciò che non è uguale. Il comportamento infedele non
determina eguali conseguenze a seconda che sia dell'uomo o della donna.
La punibilità soltanto della donna nel caso di un singolo atto di
infedeltà trova fondamento nella diversa gravità delle possibili
conseguenze dell'atto. E basti a tal proposito pensare alla presunzione
dell'art. 231 del Codice civile, per cui il marito è padre del figlio
concepito durante il matrimonio.
Osserva, inoltre, l'Avvocatura che oggetto della tutela, nella
norma dell'art. 559, non è soltanto il diritto del marito alla
fedeltà della moglie, bensì il preminente interesse dell'unità della
famiglia, che dalla condotta infedele della moglie è leso e posto in
pericolo in misura che non trova riscontro nelle conseguenze di una
isolata infedeltà del marito.
Altre considerazioni riguardano la punibilità del correo
dell'adultera, la quale, secondo l'Avvocatura, è da staccarsi dalle
norme ordinarie del concorso di più persone nel reato, e trova
autonoma spiegazione, appunto, nel fatto che la norma dell'art. 559
tutela interessi che vanno al di là del diritto del marito alla
fedeltà della moglie.
Nella memoria in data 26 ottobre 1961 l'Avvocatura dello Stato
ribadisce gli argomenti già svolti nell'atto di intervento,
aggiungendo alcuni richiami di dottrina.

Considerato in diritto:

Le due cause, data la identità dell'oggetto, sono decise con unica
sentenza. L'ordinanza del Pretore di Ancona propone la indagine
limitatamente alla legittimità costituzionale del terzo comma
dell'art. 559 Cod. pen., ma la questione deve ritenersi estesa
all'intero articolo in base all'ordinanza del Tribunale di Lagonegro.
1. - Devono, innanzi tutto, essere ben chiari i limiti
dell'intervento della Corte costituzionale nelle questioni che si sono
riaccese in occasione della presente controversia. E noto che relativa
mente alla posizione dei due coniugi nella famiglia si discute, de iure
condendo: se sia opportuno che la infedeltà coniugale sia ancora dalla
legge considerata come reato; se, nell'affermativa, debba essere eguale
o diverso per i due coniugi il trattamento penale; se le sanzioni
penali attualmente stabilite siano veramente adeguate alla importanza
dei fatti; se il sistema vigente meriti, comunque, di essere riformato;
ecc.
Tutte queste questioni - non è superfluo il ribadirlo - sono
estranee alla competenza della Corte, e nulla alla Corte spetta di
decidere in proposito. E se gli argomenti in vario senso da esse
suscitati sono da prendere in qualche considerazione nella sentenza,
ciò avviene solo se e in quanto, per una loro attinenza col contenuto
e con i motivi della norma impugnata, siano idonei a fornire elementi
per la decisione della questione di legittimità costituzionale. Di
tale questione, pertanto, l'oggetto deve ritenersi fissato nei termini
seguenti: poiché la legge penale vigente include l'adulterio, la
relazione adulterina e il concubinato nel novero dei reati, e dispone
un diverso trattamento per i due coniugi, occorre stabilire se questa
disparità di trattamento costituisca violazione del principio di
eguaglianza, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione.
2. - È noto che l'art. 3 dichiara il principio di eguaglianza in
generale, in virtù del quale tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. L'art. 29 riguarda in particolare il principio di
eguaglianza nel matrimonio, e dispone che questo è ordinato
sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti
dalla legge a garanzia della unità familiare.
Sul principio di eguaglianza di cui all'art. 3 questa Corte ha
avuto occasione di pronunciarsi in più sentenze; ed ha costantemente
ritenuto che tale principio, diretto evidentemente ad impedire che a
danno dei cittadini siano dalle leggi disposte discriminazioni
arbitrarie, non può significare che il legislatore sia obbligato a
disporre per tutti una identica disciplina, mentre, al contrario, deve
essergli consentito di adeguare le norme giuridiche ai vari aspetti
della vita sociale, dettando norme diverse per situazioni diverse:
esigenza inderogabile di logica legislativa che qualche costituzione
moderna ha addirittura espressamente dichiarata. Un ordinamento il
quale non distingua situazione da situazione e tutte le situazioni
consideri allo stesso modo non è nemmeno pensabile, anche perché,
come bene è stato osservato, finirebbe in sostanza col non disporre
regola alcuna.
Dato il suo fondamento logico, questa interpretazione è da
ritenersi valida non soltanto per il principio di eguaglianza in
genere, ma per ogni norma ove il principio di eguaglianza venga in
questione, anche in una sua applicazione particolare. Pertanto, il
giudizio sulla legittimità costituzionale della norma impugnata deve
svolgersi, conformemente del resto alla impostazione delle due
ordinanze di rinvio, con riferimento non soltanto alla norma dell'art.
29, ma anche a quella generale dell'art. 3 della Costituzione: l'una,
che per il principio di eguaglianza tra i coniugi prevede che la legge
ordinaria possa disporre limiti a garanzia della unità familiare;
l'altra, che il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte
alla legge intende necessariamente subordinato alla identità o
diversità delle situazioni che il legislatore ordinario è chiamato a
regolare.
3. - Fra le argomentazioni enunciate in dottrina a favore della
illegittimità costituzionale dell'art. 559 Cod. pen., viene di solito
posta in speciale rilievo quella che tende a circoscrivere l'oggetto
della tutela penale, negando che esso si estenda all'interesse
dell'unità familiare, e limitandolo al diritto alla fedeltà
coniugale. In tale modo si ritiene di poter sostenere che, essendo
questo diritto eguale nei due coniugi ed eguale per conseguenza
l'entità dell'offesa, verrebbe a mancare ogni ragione per una
diversità di trattamento; e tale disparità, se effettivamente
sancita, come appunto nell'art. 559, costituirebbe violazione del
principio di eguaglianza.
In contrario è da rilevare che il diritto alla fedeltà non è
l'unico oggetto della tutela e della offesa; ma che anche se lo fosse
ciò non costituirebbe ragione sufficiente per la illegittimità della
norma. visualizza testo argomento Quella diversità di situazioni, infatti, che, secondo la
interpretazione dell'art. 3 ora ricordata, esclude che il diverso
trattamento costituisca violazione del principio di eguaglianza, è
determinata, in diritto penale, non soltanto dalla diversa natura del
bene leso, ma anche da una diversa quantità e gravità della offesa a
carico dello stesso bene. Per conseguenza, anche ammettendo che unico
bene protetto dalla norma dell'art. 559 sia la fedeltà coniugale, già
basterebbe ad escludere la illegittimità del diverso trattamento,
senza necessità di far capo alla unità familiare, la maggiore
gravità della offesa che il legislatore, in conformità della comune
opinione, riscontra nella infedeltà della moglie, e che non è negata,
anzi talvolta è esplicitamente ammessa, dai sostenitori della
illegittimità.
Indubbiamente, secondo una pura valutazione morale, alla quale, a
parte le leggi, è auspicabile che idealmente si ispiri la vita della
famiglia, il principio della fedeltà coniugale è unico, e non soffre
discriminazioni di carattere quantitativo. Tuttavia, l'ordinamento
giuridico positivo non può del tutto prescindere, e di fatto non
prescinde, dalle valutazioni che si affermano, spesso imperiosamente,
nella vita sociale. Ora, che la moglie conceda i suoi amplessi ad un
estraneo è apparso al legislatore, in base, come si è detto, alla
prevalente opinione, offesa più grave che non quella derivante dalla
isolata infedeltà del marito. Al di fuori di ogni apprezzamento, che
non spetta alla Corte di compiere, trattasi della constatazione di un
fatto della vita sociale, di un dato della esperienza comune, cui il
legislatore ha ritenuto di non poter derogare. Da solo esso è idoneo a
costituire quella diversità di situazione che esclude ogni carattere
arbitrario e illegittimo nella diversità di trattamento. visualizza testo argomento Del resto,
nel disporre un siffatto trattamento, il legislatore penale, lungi
dall'ispirarsi a sue limitate particolari vedute, non ha fatto che
adeguarsi a una valutazione dell'ambiente sociale che, per la sua
generalità, ha influenzato anche altre parti dell'ordinamento
giuridico; come può chiaramente desumersi, tra l'altro, dall'art. 151
del Codice civile, il quale per l'adulterio della moglie consente
l'azione di separazione in ogni caso, mentre per l'adulterio del marito
la subordina alla condizione che il fatto costituisca una ingiuria
grave a danno della moglie.
In senso contrario nemmeno sarebbe il caso di riportarsi alle
legislazioni di quei paesi nei quali la infedeltà coniugale nelle sue
diverse forme non è preveduta come reato. E ciò perché ogni
legislazione va considerata, come è ovvio, in rapporto agli
orientamenti e alle influenze sociali del luogo in cui opera; e anche
perché la non incriminazione può essere determinata da ragioni varie
di opportunità familiare e sociale estranee alla gravità dei fatti in
questione, gravità che, nella opinione pubblica di quei paesi, può
essere anche non difforme da quella corrente nel nostro.
4. - Ma, in aggiunta alle ragioni già esposte e di per sé
sufficienti, la illegittimità costituzionale dell'art. 559 è da
escludere anche in considerazione dei limiti che, in forza dell'art. 29
della Costituzione, il legislatore ordinario ha potestà di stabilire
al principio di eguaglianza fra i coniugi. Il diverso trattamento
disposto dall'art. 559 Cod. pen. bene, infatti, può includersi fra i
limiti posti a garanzia della unità familiare.
È sorto il dubbio se la dichiarazione di eguaglianza fra i due
coniugi non finisca, a causa di questo potere limitativo conferito al
legislatore, col risultare soltanto apparente. Ma non sembra che il
dubbio sia fondato. Il principio della eguaglianza fra i coniugi nel
matrimonio è da ritenersi positivamente stabilito nell'ordinamento;
né perde di contenuto a causa delle limitazioni che la legge può
apportarvi, se queste, come è prescritto, siano mantenute nell'ambito
della garanzia della unità familiare. Trattasi, evidentemente, di una
eccezione al principio e che nel senso di una eccezione va
interpretata; ma ciò non toglie che i limiti siano preveduti e che il
concetto dell'unità familiare sia sufficiente a determinarne la
portata.
visualizza testo argomento Con l'affermazione della esigenza dell'unità familiare, in fondo,
il legislatore costituente riafferma un orientamento già manifesto nel
primo comma dello stesso art. 29, allorché dichiara la famiglia
società naturale fondata sul matrimonio: visualizza testo argomento dove la qualifica di
"naturale", se non ha un preciso contenuto giuridico, ha certamente
implicito il richiamo e il riconoscimento del tradizionale concetto
della famiglia, quale tuttora vive nella coscienza del popolo.Non è dubbio che fra i limiti al principio della eguaglianza dei
coniugi siano in primo luogo da annoverare quelli che riguardano le
esigenze di organizzazione della famiglia, e che, senza creare alcuna
inferiorità a carico della moglie, fanno tuttora del marito, per
taluni aspetti, il punto di convergenza della unità familiare e della
posizione della famiglia nella vita sociale. Ma non sarebbe fondata la
tendenza che volesse ridurre le limitazioni a questi coefficienti
positivi. Il legislatore ha ritenuto che la garanzia dell'unità è
affidata anche, come in tutti gli organismi, alla difesa contro ogni
influenza negativa e disgregatrice della unità stessa; e si deve
ammettere pertanto che, relativamente all'adulterio, alla relazione
adulterina e al concubinato, le norme penali si siano appunto ispirate,
senza arbitrarie disparità, a questa esigenza di difesa. visualizza testo argomento Un indice
abbastanza significativo dell'orientamento del Codice circa l'oggetto
della tutela penale in queste figure di reato si può già riscontrare
nella loro inclusione fra i delitti contro la famiglia e, più
specificamente, contro il matrimonio: termini che, superando l'ambito
limitato dei rapporti tra i due coniugi, riguardano la famiglia e il
matrimonio nella più lata loro essenza istituzionale.
È innegabile che anche l'adulterio del marito può, in date
circostanze, manifestarsi coefficiente di disgregazione della unità
familiare; ma, come per la fedeltà coniugale, così per la unità
familiare il legislatore ha evidentemente ritenuto di avvertire una
diversa e maggiore entità della illecita condotta della moglie,
rappresentandosi la più grave influenza che tale condotta può
esercitare sulle più delicate strutture e sui più vitali interessi di
una famiglia: in primo luogo, l'azione disgregatrice che sulla intera
famiglia e sulla sua coesione morale cagiona la sminuita reputazione
nell'ambito sociale; indi, il turbamento psichico, con tutte le sue
conseguenze sulla educazione e sulla disciplina morale che, in ispecie
nelle famiglie (e sono la maggior parte) tuttora governate da sani
principi morali, il pensiero della madre fra le braccia di un estraneo
determina nei giovani figli, particolarmente nell'età in cui appena si
annunciano gli stimoli e le immagini della vita sessuale; non ultimo il
pericolo della introduzione nella famiglia di prole non appartenente al
marito, e che a lui viene, tuttavia, attribuita per presunzione di
legge, a parte la eventuale - rigorosamente condizionata - azione di
disconoscimento. Tutti questi coefficienti hanno agito sulle direttive
del legislatore; e ciò senza punto far calcolo, in quanto fatti
anormali e che si auspicano destinati a scomparire, delle reazioni
violente e delittuose cui, in ispecie in certi ambienti, può in
particolare dar luogo la infedeltà della moglie.
D'altra parte, che la legge penale, nel disporre un dato
trattamento, si sia volta per volta adeguata, a seconda dei casi, alla
varietà delle situazioni, risulta ben chiaro anche dal fatto che,
relativamente alla stessa delicata materia della fedeltà sessuale, il
marito e la moglie sono stati trattati con criteri di piena eguaglianza
là dove identica è apparsa la posizione di entrambi. Basterà a tal
proposito ricordare l'art. 587 Cod. pen. (e ciò a parte ogni
valutazione circa l'accettabilità o meno dei criteri che hanno
ispirata questa norma), che riduce a minima misura la quantità della
pena per l'omicidio e per le lesioni personali volontarie nella ipotesi
in cui il delitto sia commesso nell'atto di scoprire il coniuge, la
figlia e la sorella in illegittima relazione carnale: il coniuge, in
genere, dunque, e non soltanto la moglie, essendosi evidentemente
riconosciuto che lo stato d'ira (così espressamente qualificato dal
citato articolo) che è a base di questa speciale forma di
provocazione, produce un turbamento psichico di tal natura e intensità
da non consentire discriminazione alcuna fra i coniugi.
In conclusione, la norma impugnata, dal punto di vista della sua
legittimità costituzionale, nulla presenta nel suo contenuto e nelle
sue finalità che possa qualificarla come violazione del principio di
eguaglianza. Con tale norma non è stata creata a carico della moglie
alcuna posizione di inferiorità, ma soltanto è stato preso atto di
una situazione diversa, adattandovi una diversa disciplina giuridica.
Che poi tale disciplina soddisfi ogni esigenza e sia mezzo idoneo e
sufficiente per le finalità prese in considerazione, è questione di
politica legislativa, non di legittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

pronunciando sui due giudizi riuniti indicati in epigrafe:
dichiara non fondata la questione, sollevata con le ordinanze del
Tribunale di Lagonegro del 24 novembre 1960 e del Pretore di Ancona del
10 maggio 1961, sulla legittimità costituzionale dell'art. 559 del
Codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 novembre 1961.
GIUSEPPE CAPPI - GASPARE AMBROSINI -
MARIO COSATTI - FRANCESCO PANTALEO
GABRIELI - GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO -
ANTONINO PAPALDO - NICOLA JAEGER -
GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO
PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI GIUSEPPE BRANCA - MICHELE
FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI.

 
© 2006-2024 - Dipartimento Scienze Giuridiche - Università di Torino - Periodico registrato presso il Tribunale di Torino