N. 1 SENTENZA 7 GENNAIO 1966
Deposito in cancelleria: 10 gennaio 1966. Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 12 del 15 gennaio 1966. Pres. AMBROSINI - Rel. CASSANDRO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 4 della legge 13 agosto 1959, n. 904, promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1964 dalla IV Sezione del Consiglio di Stato sul ricorso di Piazza Domenica Clara contro il Ministero dei lavori pubblici ed il Prefetto di Ravenna, iscritta al n. 138 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 225 del 12 settembre 1964. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Piazza Domenica Clara; udita nell'udienza pubblica del 1 dicembre 1965 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro; uditi l'avv. Gian Marco Dallari, per Piazza, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con decreto 8 giugno 1962, n. 14000, rep. 32, il Prefetto di Ravenna autorizzò l'occupazione temporanea in favore dell'A.N.A.S. di terreni di proprietà della signora Domenica Clara Piazza, occorrenti per la costruzione di una variante alla strada statale "Adriatica", approvata con decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 marzo 1962, n. 188/699. Contro questi decreti la signora Piazza propose ricorso davanti alla IV Sezione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale; e nel ricorso e in una successiva memoria sollevò la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 4 della legge 13 agosto 1959, n. 904, intitolata: "Sistemazione, miglioramento e adeguamento delle strade statali di primaria importanza ed integrazione di fondi per l'esecuzione del programma autostradale". Sosteneva la ricorrente che l'articolo primo della legge, il quale dispone che "per l'attuazione... della parte più urgente del programma di sistemazione, miglioramento e adeguamento delle strade statali rientranti fra gli itinerari internazionali e le arterie di grande circolazione, è autorizzata la spesa complessiva di 200 miliardi di lire da erogare, con corrispondenti stanziamenti per ciascun esercizio, in dieci esercizi finanziari, in ragione di 20 miliardi di lire dal 1960-61 al 1969-70", lungi dall'adempire l'obbligo imposto al legislatore dal quarto comma dell'art. 81 della Costituzione, giusta il quale "ogni... legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte", rappresenta, col rinvio che esso consente agli esercizi finanziari futuri, un espediente per eluderlo; e che l'art. 4, autorizzando l'iscrizione delle somme previste nello stato di previsione della spesa del Ministero dei lavori pubblici fino alla concorrenza di lire 200 miliardi, ripartite negli esercizi finanziari indicati, viola il terzo comma del citato art. 81, in quanto consente di stabilire nuove spese con una legge che, per sua natura, è una legge di bilancio, e, insieme, l'art. 72, secondo comma, della Costituzione, in quanto la legge è stata approvata non già con la procedura normale di esame e di approvazione prevista dall'ultimo comma dell'art. 72 appunto per le leggi di approvazione di bilanci e consuntivi, ma mediante la procedura davanti alle Commissioni previste dal terzo comma del medesimo articolo. Il Consiglio di Stato ha respinto le eccezioni di non rilevanza sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato e ha motivato la non manifesta infondatezza facendo riferimento a numerose sentenze di questa Corte che hanno escluso che i mezzi di copertura di una nuova e maggiore spesa possano essere ritrovati mediante entrate relative a esercizi futuri. L'ordinanza di rimessione non manca di notare che le richiamate sentenze di questa Corte sono state pronunciate per leggi regionali e che esse, perciò, non hanno deciso la sollevata questione di costituzionalità, nei confronti dell'art. 81, ma ha ritenuto tuttavia che le motivazioni relative offrano sufficienti argomenti per ammetterne la non manifesta infondatezza; e per l'altra questione, relativa cioè all'art. 72, ha affermato che "per le considerazioni già svolte in relazione alla prima questione può ritenersi che anche questa..., che presenta qualche analogia con la prima, non sia manifestamente infondata". L'ordinanza, notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 225 del 12 settembre 1964. 2. - La signora Piazza si è costituita nel presente giudizio, rappresentata e difesa dall'avv. Gian Marco Dallari, il quale ha depositato deduzioni il 9 agosto 1964. In queste vengono fatti valere a sostegno della tesi dell'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, gli argomenti esposti al Consiglio di Stato e riferiti nell'ordinanza di rimessione. 3. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. L'atto di intervento è stato depositato il 30 settembre 1964. L'Avvocatura osserva: 1) i compiti che, a norma dell'art. 1 del decreto legislativo 27 giugno 1946, n. 33, spettano all'A.N.A.S. sono tra gli altri: a) di gestire le strade statali e le autostrade appartenenti allo Stato, provvedendo alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria; b) di realizzare il progressivo miglioramento delle strade statali e nuove autostrade. A tali compiti l'Azienda provvede con i fondi posti a sua disposizione e l'intervento del legislatore nel 1959, per la parte che si riferisce alla migliore sistemazione e adeguamento delle strade statali di primaria importanza, non avrebbe altro fine se non quello di "programmare" una spesa destinata a un compito normale dell'Azienda e che perciò non può essere considerata "nuova", nuova essendo una spesa che soddisfi un fine nuovo rispetto a esigenze preesistenti, e nemmeno "maggiore", perché una spesa così qualificata richiede un termine di raffronto costituito dal "bilancio in corso" che, nel caso in esame, non sussiste, provvedendo la legge impugnata, senza incidere sul bilancio in corso, a realizzare, mediante una spesa ripartita in un numero determinato di anni, uno dei fini istituzionali dell'A.N.A.S.; 2) il problema che è al fondo della questione di costituzionalità sollevata dal Consiglio di Stato, sarebbe quello dell'interpretazione dell'art. 81 della Costituzione relativamente alla programmazione di una spesa prevista nella legislazione preesistente, e riguarderebbe il potere del legislatore di adottare un piano per realizzare ordinatamente un fine attraverso l'erogazione di "titoli di spesa ordinaria". Questo potere non potrebbe essere contestato né condizionato all'indicazione di una "copertura", stante che alla spesa si fa fronte mediante le entrate ordinarie del bilancio dello Stato; e il problema della copertura di un piano proiettato nel tempo per l'attuazione di un fine previsto già dalla legge riguarderebbe soltanto il potere discrezionale del legislatore di destinare, secondo certi criteri, le entrate dello Stato alla soddisfazione di determinate esigenze pubbliche; 3) a torto si farebbe richiamo alle decisioni di questa Corte indicate nell'ordinanza, perché queste decisioni riguarderebbero spese nuove o maggiori. Viceversa, l'Avvocatura ritiene che possa trarsi argomento a sostegno della sua tesi dalla sentenza della Corte del 19 maggio 1964, n. 33; 4) l'infondatezza della seconda questione di costituzionalità risulterebbe dal fatto che la legge impugnata, lungi dal poter essere qualificata una legge di bilancio, è una legge sostanziale, fonte giuridica dell'iscrizione della spesa nei bilanci degli anni successivi, i quali sono soltanto da approvare, come furono in effetti approvati, seguendo la procedura prevista dall'art. 72, ultimo comma, della Costituzione. 4. - L'Avvocatura ha pure depositato il 18 novembre 1965 una memoria, nella quale ha svolto ampiamente le tesi difensive enunciate nell'atto d'intervento. Le conclusioni alle quali essa perviene sono le seguenti: a) la legge impugnata non costituisce un nuovo titolo di spesa; essa si riferisce a un titolo di spesa già esistente nell'ordinamento giuridico e rappresentato da uno dei fini istituzionali fondamentali dell'A.N.A.S.; b) quando per legge si riservi per un certo numero di esercizi una parte della disponibilità di bilancio a uno specifico titolo di spesa, non si fa se non procedere a una programmazione settoriale della spesa pubblica, non vietata da alcuna norma costituzionale, ma imposta da obiettive necessità di una visione d'insieme di determinate esigenze pubbliche, che non è possibile soddisfare nel termine di un solo esercizio finanziario. L'approvazione legislativa di un piano di spesa pluriennale non significherebbe, del resto, l'autorizzazione ad erogare senz'altro la spesa considerata negli esercizi futuri, dovendosi provvedere a ciò per ogni singolo esercizio finanziario attraverso la legge di bilancio e lo stanziamento nei singoli capitoli di spesa della somma prevista nel piano. 5. - Nell'udienza del primo dicembre 1965 le difese delle parti hanno illustrato le tesi già proposte negli scritti difensivi e insistito nelle già prese conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - Va dichiarata in primo luogo la non fondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 4 della legge, sollevata in riferimento all'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione, il quale prevede "la procedura normale di esame e di approvazione diretta" da parte delle Camere per i disegni di legge "di approvazione di bilanci e di consuntivi". La tesi della difesa della parte privata che l'art. 4 costituisca una norma di legge approvativa di uno stato di previsione della spesa è priva affatto di fondamento. In realtà, la norma impugnata non fa, da un lato, se non stabilire che le somme previste negli articoli primo e secondo della legge devono essere iscritte nello stato di previsione della spesa del Ministero dei lavori pubblici, e, dall'altro, se non autorizzare il Ministro dei lavori pubblici ad assumere impegni fino alla concorrenza di lire 200 miliardi per i lavori previsti dall'art. 1, il solo degli altri articoli della legge che, insieme con quello ora citato, viene all'esame della Corte nel presente giudizio. E così disponendo, essa, com'è di tutta evidenza, non approva già un bilancio né una norma di bilancio, ma autorizza il Governo ad inscrivere nei bilanci futuri determinate somme destinate a determinate spese, e il Ministro dei lavori pubblici ad assumere impegni di spese entro limiti definiti e lungo un certo arco di tempo. Sicché la norma impugnata si pone come un prius di fronte alla legge di approvazione del bilancio, quale titolo giuridico della futura spesa, e non ricade perciò tra quelle per le quali il precetto costituzionale impone la procedura normale di assemblea. La legge di bilancio nella quale queste spese saranno inscritte, ed essa soltanto, deve essere approvata con la procedura dell'ultimo comma dell'art. 72. Non può asserirsi, quindi, che questa seconda questione sia parte o costituisca un aspetto della prima; o lo si può asserire soltanto nel significato, ben diverso, che la norma dell'art. 4 offre la riprova della mancanza di "copertura" della spesa e, pertanto, si pone in violazione anch'essa del quarto comma dell'art. 81 della Costituzione. 2. - Va respinta anche, preliminarmente, la tesi, svolta dall'Avvocatura negli scritti difensivi, che il fine della legge impugnata altro non sia se non di "programmare" le spese che, istituzionalmente, corre l'obbligo all'A.N.A.S. di erogare per la costruzione e la manutenzione delle strade; dal che conseguirebbe che le norme delle quali è denunciata l'incostituzionalità non si porrebbero in contrasto con l'ultimo comma dell'art. 81, limitate come sono ad autorizzare l'iscrizione nel bilancio preventivo, secondo una certa distribuzione nel tempo, di voci che vi dovrebbero figurare aliunde. Ora, tralasciando di esaminare il punto se, anche così interpretata, la legge dia luogo a una questione di costituzionalità, sta di fatto che le spese che essa prevede sono spese straordinarie, così qualificate negli stati di previsione del Ministero dei lavori pubblici (legge 26 ottobre 1960, n. 1201, e successive), e straordinari sono qualificati i contributi versati alla A.N.A.S., negli stati di previsione dell'entrata o della spesa di questa Azienda allegati ai ricordati stati di previsione della spesa del Ministero dei lavori pubblici ("Contributo straordinario per l'attuazione del programma di sistemazione, miglioramento e adeguamento delle strade statali rientranti fra gli itinerari internazionali e le arterie di grande circolazione" - art. 1 legge 13 agosto 1959, n. 904). 3. - Pertanto la questione di costituzionalità, che la Corte deve esaminare, si può dire sia soltanto quella che sorge dall'asserito contrasto delle norme contenute nei due articoli della legge 13 agosto 1959, n. 904, con la norma del quarto comma dell'art. 81, che dispone l'obbligo del legislatore di indicare i mezzi per far fronte a nuove o maggiori spese. Si sa che l'interpretazione di questa norma ha dato luogo a discussioni e contrasti che non si possono dire, non già conclusi, ma nemmeno sopiti: sostenendosi da molti con vigore che l'obbligo di indicare i mezzi per far fronte a nuove o maggiori spese riguardi esclusivamente le leggi che, promulgate dopo l'approvazione del bilancio preventivo, ne alterino l'equilibrio, e sostenendo altri che, viceversa, tale obbligo abbia riferimento e debba essere osservato nei confronti di qualsiasi altra legge che immuti in materia di spese non già di fronte alla legge di bilancio, o non soltanto di fronte a questa, ma di fronte alla legislazione preesistente. Nel primo caso si fa riferimento a un documento contabile quale è anche (seppure non soltanto), il bilancio annuale; nel secondo caso, viceversa, si tiene di vista l'insieme della vita finanziaria dello Stato, che, si sostiene, non può essere artificiosamente spezzata in termini annuali, ma va, viceversa, considerata nel suo insieme e nella sua continuità temporale, segnatamente in un tempo, come il presente, nel quale gli interventi statali sempre più penetranti nella vita economica e sociale del Paese, i traguardi che, attraverso la rappresentanza parlamentare, la comunità nazionale assegna a se stessa, impongono previsioni che vanno oltre il ristretto limite di un anno e rendono palese la necessità di coordinare i mezzi e le energie disponibili per un più equilibrato sviluppo settoriale e territoriale dell'intera collettività. 4. - Non si può dire che la prassi legislativa si sia ormai affatto consolidata nel senso sostenuto da coloro i quali difendono quella che ormai usa definire l'interpretazione restrittiva e rigorosa della norma dell'art. 81, sulla quale verte il presente giudizio. Vero è che sono assai frequenti i casi nei quali le spese nuove o maggiori vengono deliberate senza riferimento ai mezzi di copertura, mediante il rinvio alla iscrizione loro nei successivi stati di previsione della spesa. E vero è altrettanto che non meno frequenti sono gli altri casi nei quali, indicati i mezzi di copertura per l'esercizio in corso - il più delle volte per una parte minima se non addirittura simbolica delle nuove o maggiori spese -, si tralascia affatto di esaminare e risolvere il problema dei mezzi che devono fronteggiare la spesa negli esercizi successivi a quello in corso. Ma non mancano tuttavia casi per i quali, viceversa, la legge reca l'indicazione dei mezzi per fronteggiare la nuova o maggiore spesa anche per gli esercizi futuri - si tratti di spesa continuativa, si tratti di spesa straordinaria ripartita in un determinato numero di esercizi (confronta, ad esempio, legge 5 giugno 1954, n. 380; legge 9 agosto 1954, n. 632; legge 20 dicembre 1954, n. 1181). Mette conto di riferire in questa sede la legge 18 dicembre 1962, n. 1748, la quale modificò parzialmente la legge impugnata, incrementando inoltre di 15 miliardi la spesa di 200 miliardi già stanziata e si preoccupò di assicurare la "copertura" della "maggiore" spesa non soltanto per l'esercizio in corso (1962-63), ma anche per l'esercizio successivo (1963-64), autorizzando la riduzione del capitolo n. 52 dello stato di previsione dell'A.N.A.S. di 10 miliardi nel primo e di 5 nel secondo dei due esercizi considerati. Non si può perciò sostenere che la prassi parlamentare sia stata costante ed univoca; e lo stesso si può dire dei dibattiti, degli studi e delle relazioni che si sono avute finora in sede parlamentare, che non sono giunti a conclusioni unanimemente condivise, né hanno sfociato, sul punto che qui interessa, in provvedimenti legislativi chiarificatori. Ed è forse da dire che in parte a questa situazione possono essere attribuite le divergenze dottrinali sull'argomento. 5. - La Corte ritiene che l'interpretazione cosiddetta estensiva dell'obbligo imposto dall'ultimo comma dell'art. 81 sia quella conforme alla lettera e allo spirito della Costituzione. Che la limitazione dell'obbligo della "copertura" al solo esercizio in corso si riduca in una vanificazione dell'obbligo stesso è di tutta evidenza ed è dimostrata dalla prassi sopra ricordata e dall'esempio della legge impugnata, nei confronti della quale il problema fu dibattuto in sede parlamentare e risolto spostando il termine a quo di efficacia della norma autorizzativa della spesa dall'esercizio in corso all'esercizio successivo. Né vale richiamare contro questa interpretazione le vicende legislative della norma costituzionale. Il fatto che si prevedesse come sua sede l'articolo che regola l'iniziativa legislativa (ora art. 71 della Costituzione) e che successivamente, invece, si trovasse opportuno inserirla nell'articolo che prevede e regola le competenze in materia di formulazione di bilanci e di consuntivi e di approvazione di essi, non può comportare una riduzione dell'ambito della sua sfera di applicazione, che è svincolato dall'"annualità" del bilancio, pur proclamata nel primo comma di quest'articolo. Vero è che il quarto comma, che è al centro del presente giudizio, segue immediatamente un terzo nel quale è disposto che "con la legge di approvazione del bilancio non si possono statuire nuovi tributi e nuove spese", ma il legame tra i due commi, che è stato sottolineato in numerose sentenze di questa Corte, non vuole significare che il quarto comma si ponga esclusivamente in relazione col bilancio in corso, ma soltanto questo: che una nuova o maggiore spesa per la quale la legge, che l'autorizza, non indichi i mezzi per farvi fronte, non può trovare la sua copertura mediante l'iscrizione negli stati di previsione della spesa, siano quelli già approvati e in corso di attuazione, siano quelli ancora da predisporre dal Governo e da approvare dalle Camere. Il significato del termine adoperato dal quarto comma: "ogni altra legge", non è tale che possa essere ricondotto, com'è stato sostenuto, ad ogni legge successiva al bilancio in corso e modificatrice in peius dell'equilibrio contabile di esso, ma, viceversa, attiene ad ogni altra legge che non sia la legge di bilancio, senza alcuna connessione cronologica con questa. Nemmeno vale richiamare in proposito le norme della legge sulla contabilità di Stato e del relativo regolamento (art. 27 del R. D. 18 novembre 1923, n. 2440, che considera le spese straordinarie ripartite in più esercizi, e art. 142 del regolamento approvato con R. D. 23 maggio 1924, n. 847, che stabilisce i modi di copertura di codeste spese straordinarie; art. 156 del medesimo regolamento, che dà la definizione di spese nuove e di spese maggiori), non soltanto per l'ovvia considerazione che esse dovrebbero, se necessario, cedere di fronte alla norma gerarchicamente sopraordinata della Costituzione, e nemmeno per l'argomento testuale, che pure ha la sua importanza (quale si ricava dal confronto tra l'art. 43 di quella legge e il quarto comma dell'art. 81, dal quale è scomparsa la frase "dopo l'approvazione del bilancio"), ma soprattutto per l'argomento, decisivo, che, laddove quelle norme attengono all'aspetto formale dei bilanci e dei consuntivi, ai modi e forme della contabilizzazione delle entrate e delle spese, il precetto costituzionale attiene ai limiti sostanziali che il legislatore ordinario è tenuto ad osservare nella sua politica di spesa, che deve essere contrassegnata non già dall'automatico pareggio del bilancio, ma dal tendenziale conseguimento dell'equilibrio tra le entrate e la spesa. 6. - A questa interpretazione è stata mossa da più parti la critica che essa ricondurrebbe a forme arcaiche di gestione della spesa pubblica e che, assegnando a ciascun ufficio pubblico una fonte di finanziamento, colpirebbe a morte il fondamentale principio dell'unità del bilancio, sostituendosi a un unico documento in cui spese ed entrate si fronteggiano nella loro interezza, per effetto di leggi susseguentisi l'una con l'altra nel tempo, una fitta serie di minuti bilanci nei quali a ciascuna spesa sarebbe perpetuamente legata un'entrata, ponendosi a fronte puntualmente l'una con l'altra. Ma la critica è senza fondamento, perché muove dall'errato presupposto che la norma contenuta nel quarto comma dell'art. 81 includa una precisa "appropriazione" di un'entrata ad una spesa, laddove, invece, l'indicazione dei mezzi che essa richiede per fronteggiare spese nuove o maggiori, si riduce a determinare e individuare un incremento dell'entrata che, in una visione globale del bilancio, nel quale tutte le spese si confrontano con tutte le entrate (effettive, straordinarie o per movimento di capitali che siano), assicuri il mantenimento dell'equilibrio complessivo del bilancio presente e di quelli futuri, senza pretendere di spezzarne l'unità. Non può essere revocato in dubbio che il precetto costituzionale non ha inteso punto abrogare l'art. 39 della citata legge contenente "Norme sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato", giusta il quale "è vietata l'assegnazione di qualsiasi provento per spese ed erogazioni speciali, rimanendo soppressa ogni destinazione già stabilita da particolari disposizioni". 7. - Nemmeno si può dire che la Corte abbia con la sua giurisprudenza risolto in termini la questione che ora le viene sottoposta. Tuttavia l'interpretazione che in vari casi essa ha dato del terzo e quarto comma dell'art. 81 è, come del resto è stato visto dalla dottrina, nel senso che il precetto costituzionale riguardi anche gli esercizi successivi a quello nel quale ha inizio una spesa che si protragga nel tempo (cfr. sentenze n. 66 del 16 dicembre 1959; n. 31 del 6 giugno 1961 e n. 36 del 20 giugno dello stesso anno). Anzi, in una sentenza del 30 aprile 1959, n. 30, pur toccando incidentalmente la questione, che non rientrava nell'ambito di quel giudizio, non nascose il suo pensiero favorevole all'interpretazione del precetto costituzionale nel senso sopraindicato. Né vale addurre in contrario, come fa l'Avvocatura dello Stato, la sentenza n. 33 del 12 maggio 1964, la quale non si propose il problema se la copertura, prevista dagli artt. 11 e 21 della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, fosse conforme alla Costituzione, ma si limitò ad affermare che, non avendo la legge previsto o autorizzato la spesa per l'assistenza sanitaria a talune categorie di pensionati, non era tenuta, per conseguenza, a indicare i mezzi per far fronte a una spesa, ne nuova, né maggiore, ma inesistente. 8. - Si deve pertanto affermare, meglio precisando l'ora citata giurisprudenza, che l'obbligo della "copertura" deve essere osservato dal legislatore ordinario anche nei confronti di spese nuove o maggiori che la legge preveda siano inserite negli stati di previsione della spesa di esercizi futuri. È evidente che l'obbligo va osservato con puntualità rigorosa nei confronti di spese che incidano sopra un esercizio in corso, per il quale è stato consacrato con l'approvazione del Parlamento un equilibrio (che non esclude ovviamente l'ipotesi di un disavanzo), tra entrate e spese, nell'ambito di una visione generale dello sviluppo economico del Paese e della situazione finanziaria dello Stato. È altresì evidente che una puntualità altrettanto rigorosa per la natura stessa delle cose non è richiesta dalla ratio della norma per gli esercizi futuri. Rispetto a questi, del resto, la legge di spesa si pone come autorizzazione al Governo, che la esercita non senza discrezionalità, nel senso che, nella predisposizione del bilancio, le spese possono essere ridotte o addirittura non iscritte nei capitoli degli stati di previsione della spesa, salvi sempre l'approvazione e il giudizio politico del Parlamento, quante volte l'esigenza dell'equilibrio finanziario e dello sviluppo economico-sociale consiglino una diversa impostazione globale del bilancio e la configurazione di un diverso equilibrio. Si deve pertanto ammettere la possibilità di ricorrere, nei confronti della copertura di spese future, oltre che ai mezzi consueti, quali nuovi tributi o l'inasprimento di tributi esistenti, la riduzione di spese già autorizzate, l'accertamento formale di nuove entrate, l'emissione di prestiti e via enumerando, anche alla previsione di maggiori entrate, tutte le volte che essa si dimostri sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con la spesa che s'intende effettuare negli esercizi futuri, e non in contraddizione con le previsioni del medesimo Governo, quali risultano dalla relazione sulla situazione economica del Paese e dal programma di sviluppo del Paese: sui quali punti la Corte potrà portare il suo esame nei limiti della sua competenza. 9. - Niente di tutto questo è dato ritrovare nella legge impugnata, la quale, senza alcuna indicazione dei mezzi di copertura, si è limitata ad autorizzare l'iscrizione di una spesa di 200 miliardi, ripartita in dieci rate di 20 miliardi ciascuna, in dieci esercizi successivi con inizio dall'esercizio 1960-61, ritenendo ciò sufficiente per sfuggire al precetto dell'art. 81. È evidente, pertanto, al lume delle sovraesposte considerazioni, l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 1 e 4 della legge 13 agosto 1959, n. 904, in riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 gennaio 1966. GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - NICOLA JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.
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