Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0071 del 1966 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto con monito al legislatore
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.29 comma 2:
-Giustizia come convenienza (applicazioni residuali)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva

N. 71
SENTENZA 14 GIUGNO 1966

Deposito in cancelleria: 21 giugno 1966.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 156 del 25 giugno 1966.
Pres. AMBROSINI - Rel. MORTATI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA
JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott.
ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof.
MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
- Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 260, secondo
comma, del Codice civile, promosso con ordinanza emessa il 15 maggio
1965 dal Tribunale dei minorenni di Torino su ricorso di Minuto
Michele, iscritta al n. 108 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 178 del 17 luglio 1965.
Udita nella camera di consiglio del 3 marzo 1966 la relazione del
Giudice Costantino Mortati.

Ritenuto in fatto:

Con ricorso prodotto al Tribunale dei minorenni di Torino il sig.
Minuto Michele, quale padre naturale dei minori Ivo e Elio da lui
riconosciuti, faceva istanza di affidamento di costoro, chiedendo che
fossero sottratti alla madre presso cui convivevano.
Il Tribunale, accertato che non ricorrevano gli estremi per
l'emissione di provvedimenti sanzionatori a carico di nessuno dei due
genitori, entrambi adempienti in modo conveniente ai propri doveri, e
che quindi la vertenza riguardava solo un'ipotesi di contrasto fra i
predetti in ordine al modo di allevamento dei figli, da risolvere a
tenore dell'art. 260 del Codice civile, che attribuisce l'esercizio
della patria potestà al padre naturale, e solo in via eccezionale alla
madre, ha, con ordinanza 15 maggio 1965, elevato d'ufficio questione
sulla legittimità costituzionale del secondo comma di detto articolo,
per contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, in
considerazione della sua non manifesta infondatezza, nonché della sua
rilevanza ai fini del decidere. Ciò perché l'applicazione della
misura eccezionale del terzo comma dell'art. 260 predetto esige che si
accerti preliminarmente la conformità del precedente secondo comma al
principio d'eguaglianza dei coniugi; principio che dovrebbe trovare
applicazione anche nei confronti dei genitori naturali, tanto più
quando, come nella specie, la non convivenza dei medesimi fa venir meno
le esigenze di salvaguardia dell'unità familiare, dalle quali potrebbe
risultare giustificata l'attribuzione al marito dell'esercizio della
patria potestà, ai sensi dell'art. 316 del Codice civile.
L'ordinanza debitamente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 17 luglio 1965.
Nessuna delle parti interessate si è costituita nel giudizio
avanti a questa Corte, e pertanto, a tenore degli artt. 26, secondo
comma della legge n. 87 del 1953 e 9 delle Norme integrative del 16
marzo 1956, esso viene deciso in camera di consiglio.

Considerato in diritto:

È stato denunciato l'art. 260, comma secondo, del Codice civile in
riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione: la norma stabilisce
che, se un figlio naturale è riconosciuto da entrambi i genitori, i
diritti derivanti dalla patria potestà sono esercitati di regola dal
padre; perciò, secondo l'ordinanza di rinvio, contrasterebbe col
principio generale d'eguaglianza (art. 3) e in particolare col
principio d'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29).
La questione è infondata, anche se si deve ancora una volta
osservare che la norma impugnata e le altre che disciplinano i rapporti
familiari richiedono ormai una revisione legislativa.
Poiché visualizza testo argomento i genitori naturali non costituiscono una famiglia e tanto
meno una famiglia legittima, l'art. 29 della Costituzione, che riguarda
solo la "società naturale fondata sul matrimonio", è male invocato.
visualizza testo argomento Quanto poi all'art. 3, sia che lo si guardi da solo sia che lo si
legga insieme con l'art. 29, se ne potrebbe vedere la violazione
qualora la norma denunciata apparisse arbitraria. Ma ciò deve
escludersi quando si pensi che la patria potestà non è soltanto un
diritto, ma notoriamente un potere da esercitarsi nell'interesse del
figlio e che questo è un motivo per cui, anche nella famiglia
legittima, il Codice ne attribuisce l'esercizio di regola al padre.Il legislatore ha voluto evitare tra l'altro che il dissenso dei
genitori possa compromettere l'educazione o l'amministrazione dei beni
dei figli. La norma, come che se ne giudichi il contenuto, non è
irrazionale perché, considerato pericoloso per i figli l'esercizio
collegiale della patria potestà là dove non esiste neanche l'unità
familiare, non si poteva che attribuirlo ad uno dei genitori; salvo a
sostituirlo con l'altro o comunque a prevedere l'intervento del giudice
"se l'interesse del figlio lo esige" (art. 260, comma terzo).
Questo è anche argomento per escludere che la norma violi l'art.
30 della Costituzione (peraltro non richiamato nell'ordinanza di
rinvio). Il diritto-dovere dei genitori naturali di mantenere, educare
e istruire i figli non significa che, sempre, esso debba esercitarsi da
entrambi e che, in caso di dissenso, debba intervenire il giudice, come
invece sembra riferire il Tribunale di Torino.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 260, secondo comma, del Codice civile, proposta, in
riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, con l'ordinanza
citata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1966.
GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - NICOLA
JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO
PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE
FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ
- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.

 
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