N. 143 SENTENZA 12 DICEMBRE 1967
Deposito in cancelleria: 15 dicembre 1967. Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 321 del 23 dicembre 1967. Pres. AMBROSINI - Rel. FRAGALI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 622 del Codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 23 maggio 1966 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Viganò Laura e Alberti Carlo ed altro, iscritta al n. 194 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 12 novembre 1966; 2) ordinanza emessa il 19 agosto 1966 dal pretore di Trieste nel procedimento civile vertente tra Bassa Suraci Matilde e Mazzoni Icilio ed altro, iscritta al n. 87 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 144 del 10 giugno 1967. Udita nella camera di consiglio del 7 novembre 1967 la relazione del Giudice Michele Fragali.
Ritenuto in fatto:
1. - Le due ordinanze sopra indicate, del Tribunale di Milano (23 maggio 1966) e del pretore di Trieste (19 agosto 1966), hanno proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 622 del Codice di procedura civile che nega alla moglie convivente col debitore il diritto di proporre opposizione al pignoramento di mobili di proprietà di lei, pignorati nella casa coniugale, tranne che si tratti di beni dotali o di beni che si provi con atto di data certa esserle appartenuti prima del matrimonio o esserle pervenuti per donazione o successione a causa di morte. Entrambe le ordinanze hanno invocato l'art. 24, comma primo, e l'art. 29, comma secondo, della costituzione; il pretore di Trieste ha opposto pure l'art. 3 della costituzione stessa. A fondamento del dubbio di costituzionalità è stato osservato che la norma si risolve nel negare alla moglie la tutela di un proprio diritto, crea disparità di situazioni giuridiche, a seconda che il debito sia del marito o della moglie, perché i beni possono essere distratti dal patrimonio della moglie per il soddisfacimento di debiti personali del marito, mentre i beni del marito non possono essere destinati a garanzia dei creditori personali della moglie: la c.d. presunzione muciana non è più adeguata all'attuale organizzazione economica della famiglia, perché anche la moglie può esplicare, e spesso di fatto esplica, attività produttive di reddito al pari del marito. Si può spiegare solo che l'art. 70 della legge fallimentare, applichi la presunzione, sino a prova contraria, per i beni che il coniuge del fallito ha acquistato a titolo oneroso nel quinquennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, e si può anche spiegare che l'art. 207, lett. b, del T. U. delle leggi sulla riscossione delle imposte dirette stabilisca nell'espropriazione esattoriale l'improponibilità dell'opposizione del coniuge e dei parenti ed affini fino al terzo grado del contribuente; ma la norma denunciata non è nemmeno diretta a garantire l'unità familiare, essendo destinata ad evitare le frodi in danno del creditore. Essa non consente alla moglie di far valere i suoi diritti sui mobili di sua proprietà nemmeno se, in ipotesi, può agevolmente provare che li ha acquistati lei con i proventi del proprio lavoro e se il debito del coniuge è stato contratto per ragioni estranee al "menage" familiare; e nemmeno, come fa l'art. 621 dello stesso Codice, si limita ad escludere certi mezzi di prova del diritto, ad evitare collusioni e danni dei creditori. 2. - L'ordinanza del Tribunale di Milano è stata notificata alle parti costituite il 23 settembre 1966, alla parte contumace il 3 ottobre successivo e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 1 agosto 1966; è stata comunicata al Presidente della Camera dei Deputati l'11 agosto 1966 e a quello del Senato il 3 settembre successivo; è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 12 novembre 1966, n. 284. L'ordinanza del pretore di Trieste è stata notificata alle parti in data 25 e 27 febbraio 1967, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 2 settembre 1966 e comunicata in pari data ai Presidenti delle due Camere; è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 10 giugno 1967, n. 144. Le parti non si sono costituite; non v'è stato intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Considerato in diritto:
1. - Le due cause concernono una identica questione e possono perciò essere decise con unica sentenza. 2. - La norma impugnata si rifà ad una situazione non più rispondente all'attuale posizione economica e sociale della donna nella famiglia e fuori di essa. Questa nuova posizione è riconosciuta nell'art. 70 della legge fallimentare, che applica la c.d. presunzione muciana alla moglie nel fallimento del marito e al marito nel fallimento della moglie, è presupposta nell'art. 207 del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, che limita la proponibilità delle istanze in separazione, sia alla moglie nell'esecuzione esattoriale contro il marito, sia al marito nell'esecuzione esattoriale contro la moglie. Non si spiega che, nell'esecuzione forzata ordinaria, soltanto la moglie subisce restrizioni nella tutela del suo diritto di proprietà, quando oggi la moglie, non di rado, ha una propria posizione professionale e quindi ha la possibilità di acquisire beni suoi con danaro non proveniente dal marito. Non si spiega nemmeno il perché la moglie deve provare con atto di data certa l'appartenenza dei beni acquistati prima del matrimonio, mentre al marito la giurisprudenza ordinaria suole applicare l'art. 621 del Codice di procedura civile che consente al riguardo maggiore libertà di prova: oggi anche la donna nubile riesce ad inserirsi nella vita produttiva, e, quando ciò accade, diviene verosimile che essa, anteriormente alle sue nozze possa essersi formato un suo patrimonio attivo. La norma impugnata ferisce il principio di eguaglianza anche perché pone una diversità di tutela in ragione di una situazione dipendente dal sesso. Non vale il richiamo all'art. 29 della costituzione, perché la norma impugnata non è a protezione della unità della famiglia, ma vuole evitare una frode ai creditori, e perché l'unità familiare non esclude la protezione integrale dei diritti patrimoniali della moglie: essa anzi risulta rafforzata da questa protezione, che contribuisce ad evitare o a ridurre il pericolo di incoraggiare le separazioni personali, come rimedio diretto ad evitare che la moglie veda coinvolti i suoi beni nell'esecuzione forzata contro il marito, essendo la convivenza coniugale il presupposto dell'applicazione della norma denunciata. Quanto all'esigenza di evitare frodi, queste non possono avverarsi in danno dei creditori del marito più di quanto non possano organizzarsi in danno dei creditori della moglie; una diversa valutazione presupporrebbe uno stato di soggezione della moglie al marito, non solo non più corrispondente all'elevata posizione che oggi si dà alla moglie nella famiglia, sulla base di una mutata coscienza sociale, ma nemmeno corrispondente alle valutazioni compiute dalla legge fallimentare e dalla legge sulla riscossione delle imposte dirette, che parificano, come si è detto, la situazione dei coniugi, ovviamente perché riconoscono che il pericolo di frode coniugale è di intensità uguale, sia che lo si guardi sotto il profilo della protezione dei creditori del marito, sia che lo si consideri con riguardo alla tutela dei creditori della moglie. E nei rapporti dei creditori della moglie si è ritenuto che il pericolo di frode per accordi con il marito è sufficientemente evitato applicando la limitazione della prova testimoniale sancita nell'art. 621 per tutti i terzi, a parte l'azione revocatoria. 3. - Non v'è dunque ragione che giustifichi la diversità di trattamento fatto alla moglie dall'art. 622 nel raffronto col marito, e la norma deve essere dichiarata illegittima. Rimane assorbito il profilo di illegittimità che le ordinanze hanno tratto dall'art. 24 della costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 622 del Codice di procedura civile. Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967. GASPARE AMBROSINI - ANTONINO PAPALDO - NICOLA JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI OGGIONI.
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