Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0144 del 1967 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto con monito al legislatore
Disposizione oggetto: codice civile art.145 comma 1:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
-Argomento sistematico: c) concettualistico (argomento dogmatico)
-Esplicita valutazione delle conseguenze pratiche dell'eventuale accoglimento

N. 144
SENTENZA 12 DICEMBRE 1967

Deposito in cancelleria: 15 dicembre 1967.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 321 del 23 dicembre 1967.
Pres. AMBROSINI - Rel. MORTATI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO -
Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI -
Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO
MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 145, primo
comma, del Codice civile, promosso con ordinanza emessa il 13 ottobre
1966 dalla Corte di appello di Messina nel procedimento civile vertente
tra Aiello Orsola Aurelia e Nuccio Carlo, iscritta al n. 222 del
Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 12 del 14 gennaio 1967.
Udita nella camera di consiglio del 7 novembre 1967 la relazione
del Giudice Costantino Mortati.

Ritenuto in fatto:

1. - I coniugi Nuccio Carlo e Aiello Orsola Aurelia, dopo avere
contratto matrimonio nel 1946, nel successivo anno 1947 fecero
richiesta di separazione personale, allegando ognuno la colpa
dell'altro. Con sentenza del tribunale di Palermo nell'agosto 1948 la
domanda venne rigettata, essendosi ritenuto non sussistenti le
condizioni necessarie per pronunciare la separazione, e venne imposto
al marito di corrispondere alla moglie, finché non fosse stata
ripristinata la convivenza, l'assegno mensile di lire cinquemila.
Proposto appello principale dal marito ed incidentale dalla moglie, la
Corte di Palermo, con sentenza 24 dicembre 1956, ebbe a ribadire
l'obbligo della coabitazione, elevando l'assegno a carico del marito a
lire 10.000, a far tempo dal 1 giugno 1956. Con citazione del 17
ottobre 1964 la Aiello, assumendo che dopo il 1956 le condizioni
economiche del consorte erano migliorate, richiese che fosse disposta
una congrua elevazione della misura dell'assegno, e il tribunale di
Messina, con sentenza 6 luglio 1965, in accoglimento della istanza,
condannava il convenuto alla corresponsione di lire 25.000 mensili. In
sede di appello proposto dall'attrice, che allegava l'esiguità
dell'aumento, cui si aggiungeva altro incidentale del marito, che
lamentava invece l'eccessività dell'onere impostogli, costui sollevava
questione di legittimità costituzionale dell'art. 145, primo comma,
del Codice civile, perché contrastante con il principio di eguaglianza
sancito dall'art. 29, secondo comma, della costituzione.
La Corte di appello di Messina, fatto richiamo alla sentenza di
questa Corte n. 46 del 1966, ha ritenuto che non possa ritenersi
manifestamente infondata l'eccepita violazione degli artt. 3 e 29 che
ordina il matrimonio sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi,
apparendo con esso contrastante la disposizione dello art. 145, primo
comma, del Codice civile, nella parte in cui prevede che il marito
debba somministrare alla moglie tutto ciò che le è necessario pei
bisogni della vita in relazione alle proprie sostanze, senza consentire
che si tenga conto dei redditi della medesima.
Con ordinanza del 13 ottobre 1966 la Corte, disposta la
sospensione del giudizio in corso, trasmetteva gli atti alla Corte
costituzionale.
L'ordinanza debitamente comunicata e notificata è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale del 14 gennaio 1967 n. 12. Nessuna delle parti
si è costituita avanti alla Corte, che pertanto ha proceduto alla
decisione della causa in camera di consiglio.

Considerato in diritto:

1. - Questa Corte, con sua sentenza n. 46 del 1966, in accoglimento
della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale
di La Spezia, e nei termini in cui essa era stata proposta, ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 156, primo comma,
del Codice civile, nella parte in cui pone a carico del marito, in
regime di separazione consensuale, l'obbligo di somministrare alla
moglie quanto sia necessario ai bisogni di lei, senza considerazione
delle sue condizioni economiche. In quell'occasione la Corte ha messo
in rilievo come dovesse rimanere del tutto impregiudicata la questione
relativa alla diversità della disciplina dei rapporti patrimoniali fra
coniugi conviventi, quale emerge dall'art. 145 del Codice civile. Tale
articolo, infatti, non era stato allora denunciato, e non veniva
direttamente in considerazione, dato che esso, secondo sarà appresso
chiarito, regola i rapporti patrimoniali fra coniugi conviventi, e
soltanto in via indiretta, in virtù cioè del richiamo ai "diritti
inerenti alla qualità di coniuge, non incompatibili con lo stato di
separazione" effettuato dal predetto articolo 156, primo comma
(collocato nel successivo capo V del titolo VI, del Codice civile,
intitolato appunto allo stato di separazione) è riferibile ai rapporti
patrimoniali fra i coniugi legalmente o consensualmente separati.
L'ordinanza della Corte di appello di Messina denuncia ora il primo
comma dell'art. 145 con riferimento al secondo, in una fattispecie
riguardante coniugi separati di fatto, poiché come emerge dalla
precedente esposizione, il giudice ha accertato l'insussistenza delle
colpe denunciate rispettivamente dalle due parti, nonché la mancanza
dell'accordo necessario alla separazione per mutuo consenso. La
situazione in parola non forma oggetto di specifica previsione
normativa, e la mancata osservanza dell'obbligo della convivenza che in
essa si verifica non è determinata da nessuna delle cause che possono
dar luogo ad uno stato di separazione giuridicamente rilevante, come
quelle previste dagli artt. 156, secondo e quarto comma, e 158, o
dall'art. 126, riguardante la separazione temporanea. Ne discende che,
finché la separazione di fatto perdura, rimangono immutati gli
obblighi ed i diritti derivanti dal matrimonio (la fedeltà, il
mantenimento, l'assistenza, l'obbligo per la moglie di conservare il
domicilio - come si argomenta a contrario dall'art. 45 - nonché il
cognome del marito), mentre il dovere della convivenza deve
considerarsi solamente sospeso, e conseguentemente ammettersi (secondo
l'opinione da ritenere più esatta) la facoltà di ognuno dei coniugi
di richiederne il ripristino, salvo le conseguenze derivabili
dall'eventuale ingiustificato rifiuto dell'altro ad effettuarlo.
Pertanto, non sussistendo alcun elemento giuridicamente rilevante atto
a differenziare la situazione stessa da quella che caratterizza il
rapporto matrimoniale, qual'è regolato dall'art. 143, la sua
disciplina deve, per quanto riguarda in particolare i rapporti
patrimoniali, ricondursi in tutto all'art. 145.
Passando ora all'esame della censura rivolta a quest'ultimo, si
rende necessario precisare preliminarmente come non sia da aderirea
quella interpretazione di tale articolo (proposta da una parte della
dottrina, ma non accolta dalla giurisprudenza) secondo cui esso non
disporrebbe effettivamente la diversità di trattamento che la sua
formulazione letterale farebbe supporre, e ciò perché non sembrano
probanti gli argomenti che l'opinione menzionata crede potere desumere
dal sistema. Così è da ritenere della deduzione tratta dall'art. 211,
secondo cui la moglie (in mancanza di convenzioni) contribuisce ai pesi
del matrimonio nella misura stabilita dall'art. 148. Infatti tale
generico riferimento ai pesi del matrimonio da parte di una
disposizione inserita nel capo VI, rivolto essenzialmente a regolare i
rapporti patrimoniali familiari di carattere convenzionale, non può
ritenersi innovativo delle specifiche determinazioni e differenziazioni
dei singoli pesi, quali risultano dalle norme contenute nel precedente
capo IV, intitolato ai diritti e doveri che nascono dal matrimonio. Il
che risulta anche comprovato dall'espresso rinvio che l'art. 160 fa ai
principi consacrati negli artt. 144 e 145, nonché dall'altro che nello
stesso senso è operato dall'art. 207. Analogamente non fondato appare
un secondo argomento che si vuole ricavare dall'art. 146, pel fatto
che, qualificando esso l'obbligo imposto a carico del marito con lo
stesso termine di "mantenimento" adoperato nell'articolo precedente per
designare quello gravante sulla moglie, avrebbe inteso interpretare
autenticamente la dizione del precedente art. 145, pareggiando fra loro
le due specie di prestazioni. Non sembra che l'espressione ora
menzionata riveli l'intento di modificare, o anche solo di precisare il
significato desumibile dalla lettera del primo comma dell'articolo
precedente, di per sé tanto univoco da non abbisognare di
interpretazione, costituendo essa invece non altro che la riproduzione,
in forma ellittica, della formula impiegata nel primo comma dell'art.
145. Si può aggiungere che, anche a ritenere diversamente, nel senso
di ragguagliare l'ammontare delle prestazioni imposte alla moglie al
criterio proporzionale del primo comma predetto, sarebbe eliminata la
diversità degli obblighi fra i due coniugi in ordine al quantum, ma
permarrebbe sempre quella relativa all'an, data la condizione, cui
viene subordinato il dovere della moglie, della mancanza nel marito di
mezzi sufficienti: condizione dalla quale è invece esente l'altro del
marito, tenuto ad adempierlo in ogni caso, quali che siano le
condizioni economiche della moglie (come costantemente ritiene la
giurisprudenza del supremo collegio).
Pertanto l'art. 145, lungi dal doversi ritenere inapplicabile al
caso dei coniugi conviventi (come vorrebbero coloro che, muovendo dalle
argomentazioni ora riferite, ne limitano la effettiva funzione alla
disciplina del regime di separazione legale o convenzionale), trova
attuazione solo per costoro.
visualizza testo argomento La Corte ritiene che la disposizione denunciata non contrasti con
la costituzione poiché la diversità della distribuzione degli oneri
fra i due coniugi trova fondamento nella diversa posizione che il
vigente Codice di diritto privato, ritenendola necessaria ad assicurare
l'unità della famiglia, conferisce loro e che si concreta
nell'attribuire al marito (oltre che l'esclusività dell'esercizio
della "patria potestà" sui figli) la titolarità di una "potestà
maritale", alla quale connette una ampia serie di particolari poteri,
tali da porlo in posizione di preminenza sulla moglie. visualizza testo argomento A siffatta
preminenza si accompagna poi anche l'affievolimento delle sue
responsabilità per l'inadempimento di qualcuno degli obblighi
derivanti dallo stato matrimoniale, come nel caso considerato
dall'ultimo comma dell'art. 151 del Codice civile. visualizza testo argomento Appare chiaro che nel sistema del Codice i particolari doveri
imposti al marito, quali sono quello della "protezione" della moglie e
l'altro, del quale si controverte, della somministrazione ad essa di
tutto quanto le è necessario per la soddisfazione di ogni suo bisogno,
senza riguardo alle sostanze di lei, sono da valutare nel rapporto in
cui si trovano di necessaria correlazione con la situazione di
vantaggio a lui conferita, sicché, ferma rimanendo quest'ultima,
nessuna attenuazione potrebbe apportarsi negli obblighi, venendo
altrimenti meno l'equilibrio voluto costituire nei rapporti reciproci.
Può convenirsi nell'opinione che considera il sistema del Codice
non aderente in ogni sua parte allo spirito informatore della
sopravvenuta costituzione repubblicana, la quale ha tenuto conto della
trasformazione verificatasi nella posizione della donna nella moderna
società. visualizza testo argomento Sull'esigenza di una sollecita adeguazione del sistema al
nuovo ordine sociale la Corte ha ripetutamente richiamato l'attenzione
del legislatore (v. sentenze n. 101 del 1965, nn. 49 e 71 del 1966) visualizza testo argomento senza tuttavia che abbia ritenuto possibile farne decadere singole
disposizioni, per l'incertezza che ne sarebbe derivata, data l'intima
connessione che le lega fra loro e ne fa un tutto unitario.Dovendosi pertanto ritenere, sulla base delle precedenti
considerazioni, giustificata, ai sensi del secondo comma dell'art. 29,
la disparrà di trattamento giuridico stabilita dall'art. 145 del
Codice civile, è da dichiarare non fondata la questione di
legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza della Corte di
appetto di Messina.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 145, primo comma, del codice civile, in riferimento al
secondo comma dello stesso articolo, e con riguardo agli artt. 3, primo
comma, e 29, secondo comma, della costituzione, sollevata
dall'ordinanza citata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI - ANTONINO PAPALDO
- NICOLA JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO
- BIAGIO PETROCELLI - ANTONIO MANCA -
ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA -
MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI
- GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE
VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
- FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI.

 
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