N. 45 SENTENZA 20 MARZO 1969
Deposito in cancelleria: 26 marzo 1969. Pubblicazione in "Gazz. Uff.le" n. 85 del 2 aprile 1969. Pres. SANDULLI - Rel. BONIFACIO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. ALDO SANDULLI, Presidente - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ- Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 145, primo comma, e 156, primo comma, del Codice civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 26 gennaio 1967 dal tribunale di Caltagirone nel procedimento civile vertente tra Lo Monaco Giacoma e Interlandi Vincenzo, iscritta al n. 126 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 190 del 29 luglio 1967; 2) ordinanza emessa il 23 maggio 1967 dal tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra Bertocchi Lidia e Traina Franco Cesare, iscritta al n. 156 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 2 settembre 1967; 3) ordinanza emessa il 29 aprile 1967 dal tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Dolci Maria Angela e Bellino Francesco, iscritta al n. 157 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 2 settembre 1967; 4) ordinanza emessa il 5 luglio 1967 dalla Corte suprema di cassazione - sezione prima civile - nel procedimento civile vertente tra Ameghino Remo e Iannitto Clara, iscritta al n. 192 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967; 5) ordinanza emessa il 7 luglio 1967 dal tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Roscica Francesca e Caronia Vincenzo, iscritta al n. 221 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell'11 novembre 1967; 6) ordinanza emessa il 14 luglio 1967 dal tribunale di Perugia nel procedimento civile vertente tra Gigliarelli Anita e Cosmi Aldo, iscritta al n. 229 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 del 25 novembre 1967; 7) ordinanza emessa il 31 ottobre 1967 dalla Corte suprema di cassazione - sezione prima civile - nel procedimento civile vertente tra Frigerio Giuseppina e Santambrogio Primo, iscritta al n. 2 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 del 9 marzo 1968; 8) ordinanza emessa l'8 gennaio 1968 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Serra Bruno e Basile Vera, iscritta al n. 22 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30 marzo 1968; 9) ordinanza emessa il 31 maggio 1968 dal tribunale di Lucca nel procedimento civile vertente tra Gini Lola e Mancini Giuseppe, iscritta al n. 122 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968; 10) ordinanza emessa il 19 gennaio 1968 dalla Corte di appello di Bologna nel procedimento civile vertente tra Samoggia Alessandro e Barbieri Lina, iscritta al n. 129 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968; 11) ordinanza emessa il 9 maggio 1968 dal giudice istruttore del tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Gasparini Italo e Rossi Giulia, iscritta al n. 233 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 318 del 14 dicembre 1968. Visti gli atti di costituzione di Bertocchi Lidia, Traina Franco Cesare, Ameghino Remo, Iannitto Clara, Frigerio Giuseppina, Serra Bruno, Mancini Giuseppe e Rossi Giulia; udita nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1969 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio; uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini e Giorgio Franco, per Traina, l'avv. Pietro Mancini, per Ameghino, l'avv. Antonio Acquaroli, per Mancini; l'avv. Bruno Gallo, per Bertocchi, e l'avv. Lelio della Pietra, per Iannitto.
Ritenuto in fatto:
1. - Dieci ordinanze di varie autorità giudiziarie (ord. 26 gennaio 1967 del tribunale di Caltagirone; 23 maggio 1967 del tribunale di Venezia; 28 aprile 1967 del Tribunale di Torino; 5 luglio 1967 della Corte di cassazione; 7 luglio 1967 del tribunale di Palermo; 14 luglio 1967 del tribunale di Perugia; 31 ottobre 1967 della Corte di cassazione; 8 gennaio 1968 della Corte di appello di Roma; 31 maggio 1968 del tribunale di Lucca; 19 gennaio 1968 della Corte di appello di Bologna) hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente il primo comma dell'art. 156 del Codice civile nella parte in cui - in relazione a quanto dispone l'articolo 145 del codice civile - viene posto a carico del marito, in regime di separazione per colpa di lui, l'obbligo di somministrare alla moglie tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita, indipendentemente dalle condizioni economiche di costei. In termini sostanzialmente analoghi le ordinanze, dopo aver rilevato che in forza della stessa disposizione in caso di separazione per colpa della moglie il marito incolpevole ha diritto al mantenimento solo se non ha mezzi sufficienti, sostengono che le ragioni poste dalla Corte a fondamento della sentenza n. 46 del 1966, relativa all'ipotesi di separazione consensuale, sono invocabili anche per quella parte dell'art. 156, primo comma, del Codice civile che viene ora impugnata. Se con la separazione personale sono venuti meno i presupposti dell'unità familiare e se, di conseguenza, le esigenze a questa connesse non possono più essere invocate per consentire deroghe alla parità dei coniugi, la disciplina dettata dalla disposizione denunziata viola gli artt. 3 e 29 della Costituzione perché, considerando rilevanti o irrilevanti, secondo si tratti del marito o della moglie incolpevoli, i mezzi economici di cui il soggetto dispone, perpetua un regime differenziato dei rapporti fra i coniugi, quale risulta dall'art. 145 del Codice civile, che non trova giustificazione nell'unità familiare, non più operante una volta che sia intervenuta la separazione. 2. - Le ordinanze sono state ritualmente notificate alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicate ai Presidenti delle due Camere e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. 3. - Nel giudizio promosso dall'ordinanza 23 maggio 1967 del tribunale di Venezia si sono costituiti il dott. Franco Cesare Traina e la signora Lidia Bertocchi. Nell'atto di deduzioni depositato il 19 luglio 1967 la difesa del dott. Traina, dopo aver riassunto i fatti relativi al giudizio di merito, ricorda le ragioni storico-sociali che un tempo, ma solo fino ad un certo punto, potevano costituire la ratio della disciplina dettata dall'art. 145 del Codice civile per i rapporti patrimoniali fra coniugi e mette in rilievo che nella nuova realtà, nella quale la donna è stata effettivamente equiparata all'uomo soprattutto sul terreno dell'economia e del lavoro, quel regime di discriminazione fra marito e moglie non trova più giustificazione, e poiché non è invocabile il limite dell'unità familiare (unità che non sarebbe certo minacciata se i coniugi dovessero concorrere al reciproco mantenimento in proporzione dei loro redditi così come devono concorrere al mantenimento della prole), risulta violato l'art. 29 della Costituzione. Ad ogni modo, ad avviso della difesa, le ragioni esposte dalla Corte nella sentenza n. 46 del 1966 devono necessariamente valere per qualsiasi ipotesi di separazione, senza che possa aver rilievo la causa alla quale questa sia dovuta: in effetti l'art. 156 non distingue affatto a seconda che sia in colpa o meno il coniuge nei cui confronti i diritti sono fatti valere, bensì soltanto a seconda che sia o non sia in colpa il coniuge dei cui diritti si tratta. Risulta allora inconcepibile che la sperequazione a favore della moglie possa ritenersi giustificata solo perché la separazione, anziché essere stata decisa di comune accordo, sia stata pronunciata per colpa: in nessun modo, infatti, può ammettersi che il marito in colpa debba continuare a mantenere la moglie senza riguardo alle sostanze di lei e, viceversa, la moglie in colpa debba contribuire al mantenimento del marito solo se questi non abbia mezzi sufficienti. Quel che rende non invocabile il limite di cui all'art. 29 della Costituzione - così conclude la difesa - non è lo stato soggettivo di colpa, ma il fatto obiettivo della separazione. La difesa della signora Bertocchi nell'atto di costituzione del 27 luglio 1967 ed in una memoria depositata il 30 gennaio 1969, dopo aver a sua volta ricordato le vicende giudiziarie relative alla sua separazione dal marito, sostiene che la valutazione dell'attuale questione di legittimità costituzionale deve essere condotta tenendo presente l'intero sistema giuridico nel quale si inquadra la disciplina degli obblighi patrimoniali dell'un coniuge verso l'altro. Da esso emerge che il contributo di assistenza che il marito è tenuto a prestare alla moglie è , in definitiva, un obbligo correlativo ed equivalente agli obblighi, sia pure di diversa natura, gravanti sulla moglie e trova giustificazione nel proporzionale equilibrio delle funzione svolte nel comune superiore interesse della famiglia: sottrarre il marito all'obbligo del mantenimento della moglie significherebbe imporre a questa di procacciarsi i mezzi di sussistenza, distogliendola dai compiti ad essa naturalmente affidati nell'ambito familiare, e con ciò si infrangerebbe quella complessiva equivalenza di diritti e di doveri nella quale si sostanzia l'eguaglianza morale e giuridica voluta dalla Costituzione. Sulla base di tale premessa - a proposito della quale vengono ricordate la sentenza n. 144 del 1967 con la quale questa Corte ha respinto la questione concernente l'art. 145 del Codice civile e la sentenza n. 102 dello stesso anno relativa agli artt. 316 e 320 del Codice civile - la difesa sostiene che l'attuale questione di legittimità deve essere dichiarata non fondata: ammettere, infatti, che il marito per colpa del quale è stata pronunziata la separazione si avvantaggi economicamente liberandosi dagli oneri che la legge gli impone durante la convivenza significherebbe favorire la disgregazione familiare ed attuare un regime giuridico contrario a quello voluto dalla Costituzione. 4. - Nel giudizio promosso con ordinanza 5 luglio 1967 della Corte di cassazione si sono costituiti il signor Remo Ameghino, con atto depositato il 27 settembre 1967, e la signora Clara Iannitto, con atto depositato il 9 agosto 1967. La difesa dell'Ameghino, premesso che la disciplina dettata dall'art. 145 del Codice civile risponde ad una concezione dei rapporti tra i coniugi insensibile all'esigenza della parità ed è in contrasto con l'art. 29 della Costituzione, rileva che, comunque, certamente incostituzionale è il primo comma dell'art. 156 del Codice civile anche nella parte in cui esso dispone circa gli effetti della separazione per colpa. Anche in questo caso, infatti, devono valere le ragioni esposte dalla Corte nella sentenza n. 46 del 1966, perché, una volta intervenuta la separazione, nessuna esigenza di unità familiare può ancora giustificare una gravosa diseguaglianza fra i coniugi ed il principio di parità deve necessariamente riprendere tutta la sua estensione. La difesa della Iannitto sostiene che la decisione dell'attuale questione non può prescindere da una valutazione del complesso sistema dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio ed illustra ampiamente le ragioni che inducono a ritenere che il regime dettato dall'art. 145 del Codice civile e, più in generale, del capo IV del primo libro del Codice, rispetta pienamente l'art. 29 della Costituzione: diritti e doveri dei coniugi, considerati necessariamente in un quadro unitario, soddisfano il principio dell'eguaglianza morale e giuridica, secondo le funzioni che ciascuno dei due coniugi è chiamato a svolgere nella famiglia e con i limiti necessari a garantire l'unità. Ad avviso della difesa, la pronunzia della Corte relativa alla parziale illegittimità del primo comma dell'art. 156, in ordine ad alcuni effetti della separazione consensuale, non può essere estesa ad un ambito più ampio, a meno che non si vogliano ritenere costituzionalmente illegittime tutte le norme che disciplinano la posizione giuridica, i diritti ed i doveri dei coniugi: se la separazione per colpa spezza la unità familiare, la colpa non può non costituire il coniuge colpevole debitore di quelle prestazioni alle quali egli è tenuto per gli oneri che derivano dal vincolo liberamente contratto. Posto che legittimi sono questi oneri - così conclude la difesa - essi devono permanere dopo la separazione per colpa del marito, perché se così non fosse risulterebbe violato l'art. 3 della Costituzione: in una situazione giuridica di inadempienza ricereverebbe un vantaggio proprio l'inadempiente. 5. - Nel giudizio promosso dall'ordinanza 31 ottobre 1967 della Corte di cassazione si è costituita con atto del 1 marzo 1968 la signora Giuseppina Frigerio in Santambrogio. Nelle deduzioni ed in una successiva memoria depositata il 29 gennaio 1969 la difesa sostiene che una soluzione dell'attuale questione nel senso che il marito per colpa del quale sia stata pronunziata la separazione debba provvedere a quanto occorre alla moglie se questa non abbia mezzi e, invece, non debba a tanto provvedere se la moglie sia abbiente, contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione per due ragioni: perché verrebbero trattati in modo diseguale i mariti che abbiano tenuto il medesimo contegno, in base ad una circostanza (posizione economica della moglie) estranea al loro comportamento; perché verrebbero trattate in modo eguale situazioni diseguali col porre la moglie separata per colpa del marito, se essa abbia mezzi, nella stessa posizione della moglie separata per propria colpa. Per quanto riguarda l'art. 29 della Costituzione, la difesa mette in evidenza, anzitutto, che se si accogliesse un concetto di eguaglianza assoluta fra i coniugi dovrebbe cadere l'art. 144 del Codice civile, in forza del quale il marito è capo della famiglia, e dovrebbero cadere altresì le norme sulla patria potestà e sulla rappresentanza del minore, che invece sono state ritenute non in contrasto con la Costituzione (sentenza n. 102 del 1967). Per quanto riguarda i principi affermati nella sentenza n. 46 del 1966, la difesa della Frigerio rileva che occorre tener conto anche della sentenza n. 144 del 1967 nella quale questa Corte ha affermato che l'art. 145 del Codice civile è applicabile anche se sia intervenuta una separazione di fatto, in un'ipotesi nella quale, secondo una consolidata giurisprudenza, la moglie può aver avuto giuste cause per allontanarsi dal domicilio coniugale anche se non vi sia stata colpa del marito: se in questo caso il marito incolpevole è tenuto al mantenimento a prescindere dai mezzi di cui la moglie disponga, la soluzione prospettata dall'ordinanza di rimessione farebbe al marito incolpevole un trattamento peggiore rispetto a quello colpevole. La difesa conclude con l'osservazione che la separazione è considerata come una situazione transitoria, in riferimento alla quale il legislatore appare giustamente incline a favorire il ristabilimento della convivenza: l'obbligo scaturante dal primo comma dell'art. 156 è una spinta al ravvedimento del marito e comunque il suo carattere sanzionatorio connesso alla colpa e rivolto sempre a spingere verso la ricostituzione della famiglia concorre a far ritenere che non sussiste alcuna violazione dell'art. 29 della Costituzione. 6. - Nel giudizio promosso con l'ordinanza 8 gennaio 1968 della Corte di appello di Roma si è costituito (atto depositato il 27 marzo 1968) il signor Bruno Serra, il quale, dopo aver riportato i termini della questione sollevata dal giudice a quo, osserva che la disposizione impugnata non si armonizza con l'attuale assetto sociale che consente alla donna sempre più frequentemente di disporre di redditi propri: venuta meno l'unità familiare con la separazione, non può più sussistere l'obbligo di mantenere la moglie in ogni caso e senza alcun riferimento alle rispettive sostanze dei coniugi. Anche il signor Giuseppe Mancini, costituitosi con atto 25 giugno 1968 nel giudizio promosso con ordinanza 31 maggio 1968 del tribunale di Lucca, ha chiesto che l'art. 156, primo comma, venga dichiarato illegittimo a causa della disparità che la disposizione impugnata crea in una ipotesi nella quale il vincolo matrimoniale è risoluto di fatto e non è più operante l'esigenza di garantire l'unità familiare. 7. - Un'altra ordinanza è stata emanata il 9 maggio 1968 dal giudice istruttore del tribunale di Milano nel procedimento civile vertente fra i coniugi Italo Gasparini e Giulia Rossi ed in riferimento all'istanza con la quale quest'ultima, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 708 del Codice di procedura civile, ha chiesto la modifica dell'ordinanza provvisoria emessa il 26 aprile 1955 dal Presidente del tribunale. Nel provvedimento di rimessione il giudice richiama la sentenza n. 46 del 1966 ed esprime l'avviso che le ragioni ivi esposte dalla Corte debbano valere non solo anche per il caso di dichiarata separazione per colpa del marito ma anche nel corso di tale giudizio, fino al cui esito entrambi i coniugi devono essere considerati non colpevoli. Contro questa tesi non si potrebbe opporre che la Corte con la sentenza n. 144 del 1967 ha ritenuto la costituzionalità dell'art. 145 del Codice civile anche per i coniugi separati di fatto: quest'ultima situazione non è giuridicamente differenziabile dal rapporto di regolare convivenza, laddove i coniugi separati sia pure con provvedimento provvisorio non possono essere considerati come separati meramente di fatto. Sulla base di queste ragioni il giudice, ritenendo non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità delle norme da applicare in sede di fissazione dell'assegno provvisorio, ha proposto la questione di legittimità costituzionale degli artt. 145, primo comma, e 156, primo comma, del Codice civile in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione. L'ordinanza è stata ritualmente notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Innanzi a questa Corte si è costituita, con atto depositato il 3 gennaio 1969, la signora Giulia Rossi, la quale ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile e, subordinatamente, infondata. Per quanto riguarda l'eccezione preliminare, la difesa, dopo aver posto in rilievo che nel caso di specie deve essere adottato uno dei provvedimenti temporanei ed urgenti previsti dall'art. 708 del codice di procedura civile e caratterizzati da una discrezionalità che va esercitata in base ad una prudente valutazione di opportunità, osserva che il giudice istruttore è stato chiamato ad una sommaria cognizione del mutamento delle circostanze rispetto a quelle sussistenti nel momento in cui fu adottato il provvedimento presidenziale e non già ad accertare la volontà della legge sul fondamento di una completa cognizione di merito: dal che consegue che non devono trovare specifica applicazione le norme della cui costituzionalità si dubita. Nel merito la difesa mette in evidenza che l'autorizzazione presidenziale di vivere separatamente non produce alcuno degli effetti connessi alla pronunzia di separazione per colpa: solo questa, col suo carattere costitutivo, potrà modificare lo stato matrimoniale; prima di essa, eccetto il fatto che la convivenza è provvisoriamente sospesa, nessuno degli obblighi derivanti dal matrimonio viene meno ed è ampiamente operante la deroga che l'art. 29 della Costituzione pone alla parità dei coniugi in funzione dell'unità familiare. 8. - Nell'udienza pubblica gli avvocati intervenuti nella discussione hanno insistito nelle proprie tesi e conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - Le undici ordinanze indicate in epigrafe propongono analoghe questioni di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi - congiuntamente discussi nell'udienza pubblica - possono essere riuniti e decisi con unica sentenza. 2. - Le ordinanze di rimessione - salvo quanto si dirà al n. 5 per quanto riguarda l'ordinanza emessa il 9 maggio 1968 dal giudice istruttore civile del tribunale di Milano - riguardano tutte l'art. 156, primo comma, del Codice civile, nella parte in cui tale disposizione, valutata in relazione all'art. 145 dello stesso Codice, pone a carico del marito, in regime di separazione personale per esclusiva colpa di lui, l'obbligo di somministrare alla moglie tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita. Come risulta dalle rispettive motivazioni, questo è anche l'unico oggetto del giudizio promosso dal tribunale di Caltagirone, nonostante che nel dispositivo si faccia riferimento agli "artt. 156, comma primo, e 145, comma primo, del Codice civile", e del giudizio promosso dal tribunale di Palermo, ancorché nel dispositivo la norma impugnata venga identificata con "l'art. 145, comma primo, in relazione all'art. 156, cpv., del Codice civile". 3. - Il primo comma dell'art. 156 del Codice civile nella sua sintetica formulazione testuale contiene una duplice statuizione, l'una relativa ai coniugi consensualmente separati, l'altra concernente il coniuge incolpevole nel caso di separazione pronunziata per colpa dell'altro coniuge: la disciplina è uniforme, nel senso che i soggetti presi in considerazione dalla disposizione conservano i diritti inerenti alla loro qualità di coniuge che non siano incompatibili con lo stato di separazione. Limitando il discorso ai soli rapporti patrimoniali inter-coniugali, è da osservare che dal predetto testo, interpretato in relazione al disposto dell'art. 145 del Codice civile, discendeva, prima della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunziata con sentenza n. 46 del 1966, che nell'ipotesi di separazione consensuale la moglie conservasse il diritto alla somministrazione di tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sostanze del marito e indipendentemente dalle proprie condizioni economiche; e discende tuttora - giacché la predetta dichiarazione di illegittimità ha avuto ad oggetto solo la disciplina degli effetti della separazione consensuale - che quel diritto, nella descritta configurazione, la moglie conserva nel caso di separazione disposta per colpa del marito. A seguito della ricordata decisione del 1966 il diritto della moglie consensualmente separata risulta condizionato dalle risorse di cui ella personalmente disponga. L'attuale thema decidendum consiste nell'accertare se l'art. 156, primo comma, nella parte ora impugnata, in quanto considera irrilevanti le condizioni economiche della moglie in riferimento al diritto di questa nei confronti del marito per colpa del quale la separazione sia intervenuta, risulti contrastante con l'eguaglianza dei coniugi e se, di conseguenza, si debba pervenire ad una parziale dichiarazione di illegittimità, analoga a quella pronunciata a proposito dell'ipotesi di separazione consensuale. 4. - La presente questione di legittimità costituzionale si basa sul duplice presupposto che la norma impugnata sottoponga marito e moglie ad un trattamento diseguale e che tale diseguaglianza non possa giustificarsi in funzione dell'unità familiare. Da un lato, si osserva che nel caso di separazione per colpa della moglie il diritto del marito al mantenimento è condizionato all'insufficienza dei suoi mezzi economici, mentre nel caso di separazione per colpa del marito la moglie ha diritto alle somministrazioni quali che siano le proprie risorse; si rileva, dall'altro, che con l'intervenuta separazione è cessata l'unità familiare e non è quindi invocabile il limite della parità dei coniugi consentito dall'art. 29 della Costituzione. In definitiva, ad avviso dei giudici che hanno sollevato la questione, questa si porrebbe in termini assolutamente identici a quelli della questione decisa con la precedente sentenza. La Corte ritiene, invece, che nell'esame della parte del primo comma dell'art. 156 ora sottoposta al controllo di costituzionalità non ci si possa limitare alla pura e semplice constatazione che, una volta intervenuta la sentenza definitiva, i coniugi vengono a trovarsi in stato di separazione, ma si debba dare necessario rilievo alla circostanza che la cessazione della convivenza è stata determinata dal comportamento illecito di uno dei due soggetti del rapporto matrimoniale. Ed invero la situazione dei coniugi separati non può non apparire obiettivamente diversa secondo che alla separazione essi siano addivenuti per concorde volontà ovvero per colpa di uno dei due, giudizialmente accertata. Nella prima ipotesi, i coniugi, che hanno volontariamente rinunziato alla convivenza ed agli eventuali vantaggi con essa connessi, si trovano su un piano di assoluta parità, e questa esige che la disciplina alla quale nei reciproci rapporti essi saranno sottoposti dal momento della separazione in poi sia eguale per il marito e per la moglie, indipendentemente dal regime giuridico operante in costanza di unione; nella seconda, invece, la convivenza viene meno per fatto imputabile ad uno dei due, sicché nella determinazione dei rapporti patrimoniali non si può non tener conto, rispetto al coniuge incolpevole, dei diritti da lui goduti prima della separazione; prescindere da questi significherebbe rendere possibile un inammissibile trattamento preferenziale per chi vi ha dato causa. Posto, infatti, che nel vigente ordinamento - in base all'art. 145 del Codice civile, ritenuto dalla Corte (sentenza n. 144 del 1967) non in contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione - durante lo stato di convivenza la moglie ha diritto alla somministrazione di tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sostanze del marito e indipendentemente dai mezzi di cui ella disponga, non si può consentire che il marito, nel dar luogo alla separazione per propria colpa, ponga in essere la premessa, ove la moglie sia fornita di risorse economiche, per affrancarsi, in tutto o in parte, dai suoi obblighi. Una disciplina dalla quale discendesse questa conseguenza sacrificherebbe alla parità formale delle fattispecie normative relative ai diritti della moglie o del marito incolpevole quella eguaglianza sostanziale alla quale il legislatore deve aver riguardo quando si tratti di regolare i rapporti fra i due soggetti: nel doveroso rispetto di essa la legge non può all'illecito commesso da uno dei due collegare conseguenze negative nella sfera giuridica dell'altro, né può disporre un trattamento che sia tale da poter recare svantaggio a chi ha subito il torto, vantaggio a chi lo ha commesso. Ad identica conclusione si perviene, del resto, se dal rapporto fra moglie incolpevole e marito che ha dato causa alla separazione l'attenzione si sposta alla valutazione comparativa del regime del coniuge che non ha colpa, secondo che si tratti del marito o della moglie. È sufficiente in proposito osservare che nell'ipotesi di una modifica legislativa quale risulterebbe dall'accoglimento dell'eccezione di incostituzionalità il marito non colpevole continuerebbe a godere, nella stessa misura e configurazione, il diritto attribuitogli dall'art. 145, la moglie non colpevole potrebbe subirne la diminuzione o addirittura, nel caso limite, l'estinzione. Ciò conferma che nella vicenda del rapporto matrimoniale dovuta alla separazione per colpa di uno dei due coniugi - e finché permane l'attuale, differenziata disciplina dei loro diritti in costanza di convivenza - il principio di parità può essere rispettato solo a condizione che il marito o la moglie incolpevoli conservino nei confronti del coniuge in colpa gli stessi diritti patrimoniali che la legge fa discendere dal matrimonio. E questa, in effetti, è la disciplina statuita dal primo comma dell'art. 156: una soluzione nel senso prospettato dalle ordinanze di rimessione darebbe vita ad un ingiustificato trattamento di discriminazione ai danni della moglie in una fattispecie nella quale la diminuzione dei suoi diritti non potrebbe collegarsi come avviene invece nel caso della separazione consensuale, ad una situazione nuova promossa col concorso anche della sua volontà.Le considerazioni fin qui svolte appaiono sufficienti a dimostrare che la diversa rilevanza data dalla legge, secondo che questa regoli i diritti del marito o della moglie, ai mezzi economici di cui dispone il coniuge incolpevole non viola il principio di eguaglianza e parità. Si può aggiungere, ad ogni modo, che quella diversità soddisfa anche le esigenze connesse alla tutela dell'unità familiare. Vero è che nella sentenza n. 46 del 1966 la Corte affermò che "riguardo al regime di separazione ricorrente nella specie" non era dato di riscontrare alcun elemento che consentisse di ricollegare la disparità con le garanzie dell'unità. A siffatta affermazione, tuttavia, non si deve attribuire un significato così generale da investire, al di là del caso della separazione consensuale cui essa esplicitamente era limitata, anche l'ipotesi di separazione per colpa. A proposito di quest'ultima basta osservare che un ordinamento il quale consentisse che uno dei coniugi, rendendosi colpevole della separazione, venga avvantaggiato da un regime giuridico più favorevole rispetto a quello antecedente alla rottura della convivenza, finirebbe con l'agevolare la disgregazione familiare. Bisogna in verità riconoscere che, proprio perché la separazione fa venir meno l'obbligo della convivenza, il legislatore deve preoccuparsi di predisporre una disciplina che non sia di favore per il coniuge che col suo unilaterale ed illecito comportamento metta in pericolo il bene protetto dall'art. 29 della Costituzione. Sulla base di queste concorrenti ragioni risulta non fondata la denunzia di illegittimità costituzionale dell'art. 156, primo comma, del Codice civile, nella parte relativa al trattamento della moglie nell'ipotesi di separazione per colpa del marito. 5. - Con l'ordinanza 9 maggio 1968 il giudice istruttore del tribunale di Milano, in sede di esame di un'istanza proposta ai sensi dell'art. 708, ultimo comma, del Codice di procedura civile, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale degli artt. 145, primo comma, e 156, primo comma, del Codice civile in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione. L'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza opposta dalla difesa della signora Rossi va respinta. Premesso che il giudice a quo ha proposto la questione in relazione all'emanazione di un provvedimento che la legge attribuisce alla sua diretta competenza e che si versa, quindi, in una ipotesi nella quale il giudice istruttore civile ha il potere di iniziativa del processo incidentale di legittimità costituzionale, deve essere osservato che l'ordinanza mette in evidenza che le due norme impugnate precludono all'autorità giudiziaria, anche in occasione dei provvedimenti provvisori autorizzati dalla legge in pendenza del giudizio di separazione per colpa, di tener conto delle condizioni economiche della moglie attrice. In tale affermazione è implicito che il giudice a quo ha ritenuto che nell'emanazione delle statuizioni concernenti gli assegni provvisori le inerenti valutazioni discrezionali non possono prescindere dal tener conto del regime al quale la legge assoggetta i coniugi conviventi e dalle conseguenze giuridiche che possono derivare dall'accoglimento della domanda. Non può dirsi, dunque, né che manchi il giudizio sulla rilevanza né che esso sia inficiato da un vizio tale da giustificare una pronunzia di inammissibilità. Nel merito la questione risulta infondata in base alle ragioni esposte innanzi, per quanto concerne l'art. 156, ed a quelle svolte nella sentenza n. 144 del 1967, per quanto concerne l'art. 145. In riferimento a quest'ultima disposizione l'eccezione di illegittimità viene sollevata dall'ordinanza in relazione alla posizione giuridica nella quale, sia pure in via provvisoria, vengono a trovarsi i coniugi a seguito del provvedimento presidenziale che autorizza la sospensione della convivenza. Ma neanche sotto questo nuovo profilo la questione può essere accolta. A prescindere, infatti, dalla valutazione degli effetti che conseguono a quel provvedimento, è sufficiente osservare che se è vero, per quanto precedentemente si è detto, che nell'ipotesi di separazione per colpa del marito, in base al disposto dell'art. 156, permane l'obbligo di costui nei confronti della moglie nella configurazione che esso riceve dall'art. 145, evidentemente non c'è ragione per ritenere che quell'obbligo non sia legittimamente imposto anche durante la pendenza del giudizio di separazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 145, primo comma, del Codice civile, sollevata con ordinanza 9 maggio 1968 dal giudice istruttore presso il tribunale di Milano in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 156, primo comma, del Codice civile - nella parte in cui tale disposizione pone a carico del marito, in regime di separazione per esclusiva colpa di lui, l'obbligo di somministrare alla moglie, in proporzione alle proprie sostanze, tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita, indipendentemente dalle condizioni economiche di costei - sollevata da tutte le ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 1969. ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE.
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