N. 128 SENTENZA 24 GIUGNO 1970
Deposito in cancelleria: 13 luglio 1970. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 177 del 15 luglio 1970. Pres. BRANCA - Rel. MORTATI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GIUSEPPE BRANCA, Presidente - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - AVV. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 156, ultimo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 febbraio 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento di separazione personale dei coniugi Russo Lucia e Zambo Pasquale, iscritta al n. 220 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 275 del 26 ottobre 1968. Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1970 il Giudice relatore Costantino Mortati.
Ritenuto in fatto:
Nel corso della causa di separazione personale promossa avanti il tribunale di Milano da Russo Lucia contro Zambo Pasquale, l'attrice ha chiesto, tra l'altro, di essere autorizzata ad omettere di usare il cognome del marito, ed il collegio, ravvisando il possibile fondamento normativo della domanda nell'art. 156, ultimo comma, del codice civile, per il quale, con la sentenza di separazione personale per colpa della moglie, può esserle vietato l'uso del cognome del marito, si è proposta, d'ufficio, la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione in riferimento all'art. 29 della Costituzione. Nell'ordinanza di rimessione, pronunciata il 14 febbraio 1968, il tribunale osserva che i lavori preparatori dimostrano come l'art. 156, ultimo comma, del codice civile, non possa venir inteso nel senso di accordare tutela alla pretesa della moglie di non usare il cognome del marito in caso di indegnità di lui, parallelamente alla tutela esplicitamente accordata al marito mediante l'inibizione alla moglie dell'uso del cognome stesso, e che l'art. 144 del codice civile, nel prevedere che la moglie assuma il cognome del marito, sancisce a carico di lei un obbligo e non una semplice facoltà. Donde la conseguenza che, tutelando l'art. 156, ultimo comma, del codice civile, l'interesse del marito ad evitare il pregiudizio che, in particolari circostanze, può venire alla sua onorabilità dal fatto che la moglie porti il cognome di lui, e non anche il correlativo interesse della moglie a che la propria onorabilità non riceva pregiudizio dall'uso del cognome del marito, si palesa non manifestamente infondata la questione di costituzionalità proposta con riferimento all'articolo 29 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce l'eguaglianza dei coniugi. L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 275 del 26 ottobre 1968, ma nessuno si è costituito nel giudizio avanti la Corte costituzionale.
Considerato in diritto:
La questione sollevata dal tribunale di Milano relativa alla legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 156 del codice civile per violazione del secondo comma dell'art. 29 della Costituzione, in quanto esso prevede che dalla separazione personale dei coniugi, ove venga disposta per colpa della moglie, possa farsi discendere anche il divieto per costei di usare del cognome del marito, ma non regola il caso inverso di richiesta della moglie, in seguito a separazione avvenuta per colpa dell'altro coniuge, di essere autorizzata a non assumere il cognome di lui, appare fondata. Infatti la diversità del trattamento nei due casi, che pur presentano caratteri simili, si pone in palese contrasto con il principio regolatore del rapporto matrimoniale che sanziona l'eguaglianza giuridica e morale dei coniugi, suscettibile di venire limitata per opera della legge solo quando si tratti di salvaguardare esigenze attinenti all'unità della famiglia. Esigenze che nella specie, riferentesi alla situazione di separazione personale, non ricorrono, come risulta del resto, a tacere ogni altra considerazione, dalla stessa disposizione impugnata. Non potrebbe opporsi, a giustificazione della unilateralità della disposizione in esame, che solo pel marito sorga l'interesse ad esigere l'inibizione dell'uso del proprio cognome da parte della moglie che se ne renda indegna, mentre nei riguardi di costei non sia da riconoscere un analogo interesse, nella considerazione che l'uso del cognome maritale corrisponde solo ad un diritto della medesima e non già ad un dovere giuridicamente vincolante. A contestare l'esattezza di tale opinione si deve tener presente la dizione dell'art. 144 del codice civile da cui si argomenta che (salvo espressa disposizione legislativa contraria) l'assunzione da parte della moglie del cognome del marito è intesa quale parte integrante di un insieme di obblighi ad essa imposti, tutti collegati alla posizione di capo della famiglia attribuita allo stesso, tutti intesi a raccogliere intorno a lui l'unità familiare, e che formano il contenuto della potestà maritale di cui egli è investito. Una conferma può trarsi dall'art. 149, ultimo comma, del codice civile, secondo cui la moglie durante lo stato vedovile conserva il cognome del marito: disposizione che, come risulta dai lavori preparatori, è stata promossa dalla considerazione che anche dopo la morte del marito la vedova continua a far parte della famiglia di lui, sicché è naturale che continui a portarne il cognome.Non sono da prendere in considerazione, perché non pertinenti alla soluzione della questione, i dubbi da qualcuno sollevati circa la compatibilità con l'art. 29 della Costituzione di tale preminenza conferita al marito. È certo che, una volta questa sia affermata, l'assunzione, da parte della moglie, o solo o anche del nome di lui in aggiunta al proprio (come elemento costitutivo essenziale della denominazione personale e della sua qualità di coniugata) si ricollega necessariamente, nell'intento del legislatore, a quella preminenza, quale manifestazione dell'unità familiare che, come si è detto, si è voluta accentrare intorno al capo. Neppure è il caso di esaminare se l'obbligo ora affermato trovi applicazione in ogni caso, quale che sia l'indole dei rapporti per cui ricorre l'impiego del nome, o se invece si renda possibile discriminare, e non richiedersene l'osservanza per alcuni di essi, poiché, anche a volere accogliere una tale soluzione restrittiva, rimane in piedi l'interesse della moglie a richiedere l'autorizzazione rivolta a sottrarsi all'obbligo limitatamente ai rapporti per i quali debba ricorrere.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 156, quinto comma, del codice civile, nella parte in cui esclude la pretesa della moglie a non usare il cognome del marito, in regime di separazione per colpa di quest'ultimo, nel caso che da quell'uso possa derivarle un pregiudizio.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1970. GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE CHIARELLI - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI.
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