N. 133 SENTENZA 24 GIUGNO 1970
Deposito in cancelleria: 13 luglio 1970. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 177 del 15 luglio 1970. Pres. BRANCA - Rel. BONIFACIO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GIUSEPPE BRANCA, Presidente - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 145, primo comma, e 156, primo comma, del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 17 ottobre 1968 dal tribunale di Udine nel procedimento civile vertente tra Ellero Gianvittore e Pinto Carmela, iscritta al n. 26 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 12 marzo 1969; 2) ordinanza emessa il 9 gennaio 1969 dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile vertente tra Tognetti Elio e Ballarini Gina, iscritta al n. 141 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969; 3) ordinanza emessa il 21 dicembre 1968 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Alliata di Montereale Gianfranco e Guirola Margherita, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969; 4) ordinanza emessa l'8 gennaio 1969 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Biagioni Ernesto e Passi Rosa, iscritta al n. 222 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 2 luglio 1969; 5) ordinanza emessa il 17 giugno 1969 dal pretore di Venezia nel procedimento penale a carico di Paganuzzi Aldo, iscritta al n. 297 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 207 del 13 agosto 1969. Visti gli atti di costituzione di Ellero Gianvittore e di Alliata di Montereale Gianfranco; udito nell'udienza pubblica del 17 giugno 1970 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio; udito l'avv. Sergio Belardini, per l'Alliata.
Ritenuto in fatto:
1. - Quattro ordinanze del tribunale di Udine (17 ottobre 1968), della Corte di appello di Roma (21 dicembre 1968 e 8 gennaio 1969) e della Corte di appello di Genova (9 gennaio 1969) propongono una questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 156, primo comma, in relazione all'art. 145 del codice civile, nella parte relativa agli obblighi patrimoniali che nei confronti del coniuge incolpevole gravano sul coniuge per colpa del quale sia stata pronunziata la separazione personale. Le ordinanze mettono in rilievo che dalla disposizione impugnata deriva un trattamento più sfavorevole per il marito colpevole della separazione, tenuto a somministrare alla moglie incolpevole tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita indipendentemente dalle condizioni economiche di lei, e più favorevole per la moglie in colpa, che al mantenimento del marito incolpevole è tenuta solo se egli non abbia mezzi sufficienti: siffatta disparità - concludono le ordinanze violerebbe gli artt. 3 e 29 della Costituzione, non essendo possibile giustificarla in funzione di quella unità della famiglia che con la separazione è venuta meno. A questo proposito il tribunale di Udine e la Corte di appello di Genova richiamano la sentenza n. 46 del 1966, con la quale questa Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 156 nella parte riferibile alla separazione consensuale, e sostengono che i principi ivi affermati dimostrano la fondatezza anche dell'attuale questione. 2. - L'art. 145, primo comma, del codice civile viene denunziato dal pretore di Venezia (ord. 17 giugno 1969) in riferimento all'art. 29 della Costituzione e limitatamente alla "parte in cui prevede l'obbligo del marito di somministrare alla moglie tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze". Il giudice a quo - che esprime un motivato e positivo giudizio in ordine alla rilevanza della questione osserva che il riesame della legittimità costituzionale dell'art. 145 del codice civile non trova ostacolo nella precedente sentenza n. 144 del 1967, giacché la motivazione di quella decisione di non fondatezza deve considerarsi superata in seguito a successive pronunzie adottate dalla Corte in tema di eguaglianza fra i coniugi. In particolare il pretore si riferisce alla sentenza n. 127 del 1968, con la quale venne dichiarata l'illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 151 del codice civile, ed osserva che per effetto di essa è venuta meno quella situazione di vantaggio del marito in relazione alla quale la Corte aveva ritenuto dovessero essere valutati anche i particolari obblighi a lui imposti dalla legge, nell'ambito di un sistema unitario che peraltro la stessa Corte mostrava di considerare non perfettamente aderente allo spirito della Costituzione. L'ordinanza rileva che, poiché la residua preminenza del marito (quale è quella che si esprime nella patria potestà e nella potestà maritale) non si risolve in un complesso di privilegi ma è strumento necessario per la formazione di una volontà unitaria della famiglia, la diversificazione degli obblighi nascenti dalla disposizione impugnata non si inserisce in un insieme unitario, ora venuto meno, di vantaggi e svantaggi del marito: di tal che essa oramai va valutata come fonte di un illegittimo privilegio della moglie. 3. - Nel giudizio promosso dal tribunale di Udine si è costituito il signor Gianvittore Ellero (atto del 24 dicembre 1968), il quale, richiamandosi alla motivazione dell'ordinanza di rimessione, chiede che l'art. 156, primo comma, del codice civile venga dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte denunziata. Negli stessi sensi conclude il signor Gianfranco Alliata, costituitosi (atto del 9 maggio 1969) nel giudizio promosso con l'ordinanza 21 dicembre 1968 della Corte di appello di Roma. La difesa dell'Alliata non manca di tener conto che nel frattempo la stessa questione di legittimità costituzionale è stata dichiarata non fondata con sentenza n. 45 del 1969, ma esprime la fiducia che la Corte possa ora giungere a diversa conclusione. A tal fine la difesa richiama particolarmente l'attenzione sul caso del marito povero e della moglie ricca, in relazione al quale non è esatto affermare che il primo, ove non fosse mantenuta la disciplina vigente, trarrebbe un vantaggio dalla separazione pronunziata per sua colpa: ed invero il marito povero in costanza di convivenza deve essere mantenuto dalla moglie ricca, mentre, intervenuta la separazione per colpa, egli ha diritto solo agli alimenti e non partecipa più "alla fiorente vita cui la convivenza con la moglie ricca lo porterebbe". La difesa, richiamandosi al principio di eguaglianza, conclude mettendo in rilievo che è da escludersi che l'unità familiare sarebbe minacciata ove i coniugi, in regime di parità, dovessero concorrere al reciproco mantenimento in proporzione dei rispettivi redditi. All'udienza pubblica la difesa dell'Alliata ha insistito nelle proprie conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - Le cinque ordinanze indicate in epigrafe propongono identiche o connesse questioni di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi vengono riuniti e decisi con unica sentenza. 2. - In forza di quanto dispone l'art. 145 del codice civile mentre il marito ha il dovere di somministrare alla moglie, in proporzione delle sue sostanze, tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita (primo comma), la moglie è tenuta a contribuire al mantenimento del marito (solo) se questi non ha mezzi sufficienti (secondo comma). Sul presupposto che questa disciplina si traduca in una disparità di trattamento fra i due coniugi e ponga la moglie in situazione di ingiustificato vantaggio, il pretore di Venezia, facendo richiamo ai più recenti orientamenti giurisprudenziali di questa Corte in materia di diritti e doveri dei coniugi, ripropone, in riferimento all 'art. 29 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del primo comma della predetta disposizione, che già fu dichiarata non fondata con sentenza n. 144 del 1967. 3. - Nella ricordata precedente occasione la Corte, pur rilevando che l'art. 145 del codice civile è fonte di obblighi sostanzialmente differenziati secondo che si tratti della moglie o del marito, pervenne alla dichiarazione di non fondatezza sulla base della considerazione che i particolari doveri imposti dalla legge al marito - fra i quali, appunto, quello derivante dalla norma de qua - si trovano in rapporto di necessaria correlazione con la situazione di preminenza a lui conferita (specie con l'attribuzione della potestà maritale), sicché, ferma restando quest'ultima, "nessuna attenuazione potrebbe apportarsi negli obblighi, venendo altrimenti meno l'equilibrio voluto costituire nei rapporti reciproci". La Corte, tuttavia, non mancò di ribadire l'esigenza di una sollecita adeguazione legislativa del sistema al nuovo ordine sociale secondo le direttive tracciate dalla Costituzione. Successivamente a tale decisione - mentre l'auspicata riforma del diritto di famiglia è rimasta tuttora inattuata - la Corte è stata più volte chiamata ad esercitare il controllo di legittimità costituzionale di altre disposizioni attinenti alla materia. Ed è di particolare rilievo la circostanza che, a partire dalla sentenza n. 126 del 1968, è stato affermato il principio che, quando si tratti di questioni relative all'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, queste vanno esaminate non alla stregua dell'art. 3, ma solo in riferimento all'art. 29, secondo comma, della Costituzione: e quest'ultima disposizione è stata interpretata (sentenze n. 127 del 1968 e n. 147 del 1969) nel senso che "la Costituzione direttamente impone che la disciplina giuridica del matrimonio - col solo limite dell'unità della famiglia - contempli obblighi e diritti eguali per il marito e per la moglie"; è stato infine precisato che ciò si traduce nella irrilevanza di ragioni di differenziazione nel trattamento che siano "diverse da quelle concernenti la predetta unità". Conformemente a tale indirizzo - sulla base del quale la Corte è già pervenuta alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni penali e civili che in ordine alle sanzioni del dovere di fedeltà coniugale operavano una discriminazione fra marito e moglie - si deve ritenere che le norme che siano fonte di svantaggio per un coniuge non possano essere giustificate, nell'ambito di una valutazione di legittimità costituzionale, dal fatto che altre norme conferiscano allo stesso coniuge, a proposito di altre situazioni subbiettive nascenti dal matrimonio, una posizione di vantaggio (o viceversa). Ed invero, dal momento che si riconosce che la salvaguardia dell'unità familiare costituisce il solo legittimo limite dell'eguaglianza dei coniugi, bisogna convenire che l'unico accertamento rilevante è se le diversità di trattamento di volta in volta considerate trovino in quella esigenza - e solo in essa - la loro giustificazione costituzionale. 4. - È sulla base degli anzidetti principi che deve essere riesaminata la questione proposta dal pretore di Venezia. Che l'art. 145 del codice civile, nella parte oggetto della denunzia, tratti diversamente i due coniugi è cosa di cui non si può dubitare. Si deve, è vero, riconoscere che il dovere del marito di somministrare alla moglie "tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze" corrisponde al dovere di "contribuire al mantenimento del marito" che il capoverso dello stesso articolo pone a carico della moglie. Lo dimostra il successivo art. 146 che all'abbandono ingiustificato del domicilio coniugale da parte della donna collega la sospensione dell'"obbligazione del marito di provvedere al mantenimento della moglie": ciò significa che obbligo di somministrazione di tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita equivale ad obbligo di mantenimento, e se a proposito della moglie si parla di "contributo" ciò avviene perché la rilevanza dei mezzi economici di cui il marito disponga (del che subito si dirà) importa necessariamente che il mantenimento sia totale solo se questi difettino del tutto e parziale se essi sussistano in misura non pienamente sufficiente. Ma, nonostante questa equivalenza di contenuto, è chiaro che i due obblighi restano nettamente differenziati, perché mentre quello a carico del marito è incondizionato, nel senso che esso è imposto quali che siano le condizioni economiche della moglie, quest'ultima è tenuta al mantenimento del marito solo se egli non abbia mezzi sufficienti: l'assenza di questa condizione nel primo comma dell'art. 145 del codice civile comporta una sostanziale ed assai rilevante diseguaglianza giuridica fra i due coniugi. La Corte ritiene che siffatta disparità di trattamento non trovi giustificazione in funzione dell'unità familiare. Si può, anzi, affermare che, quando si tratti dei rapporti patrimoniali fra i coniugi, è proprio l'eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo. Certo è, in verità, che, per quanti sforzi si facciano, l'obbligo del marito di mantenere la moglie se questa disponga di mezzi sufficienti o più che sufficienti in nessun modo riesce ad apparire come strumento necessario all'unità della famiglia: la quale, al contrario, si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità. Ciò è sufficiente a dimostrare l'illegittimità costituzionale di una diversità di trattamento che, un tempo coerente con una concezione dei rapporti fra marito e moglie radicalmente diversa da quella poi assunta dal legislatore costituente a fondamento della nuova disciplina, appare ora come fonte di un puro privilegio della moglie, non conforme all'odierna valutazione dei rapporti familiari e - ciò che conta ai fini del controllo della sua legittimità costituzionale - contrastante con l'art. 29 della Costituzione.5. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 156, primo comma, del codice civile, nella parte concernente la ipotesi della separazione personale per colpa del marito, venne dichiarata non fondata con sentenza n. 45 del 1969 sulla base della considerazione che la diversità di trattamento fra la moglie colpevole - tenuta al mantenimento del marito solo se questi non disponga di mezzi sufficienti - ed il marito colpevole - tenuto ad analogo obbligo nei confronti della moglie, ma indipendentemente dalle condizioni economiche di costei - trovava la sua premessa nella corrispondente differenziazione di trattamento fra i coniugi conviventi e la sua giustificazione costituzionale sia nel principio secondo il quale, nel rispetto dell'eguaglianza sostanziale, la legge non può collegare all'illecito commesso da un soggetto nei confronti di un altro conseguenze vantaggiose per il primo e svantaggiose per l'altro, sia nella stessa esigenza di tutela dell'unità della famiglia. La questione va ora dichiarata non fondata per esser venuto meno il suo presupposto. Ed infatti, poiché a seguito della pronunzia di parziale illegittimità del primo comma dell'articolo 145 il trattamento della moglie e del marito - Conviventi risulta parificato, il denunziato primo comma dell'art. 156, che in regime di separazione conserva al coniuge incolpevole i diritti inerenti alla sua qualità (quando, come nel caso in esame, non si tratti di diritti incompatibili con lo stato di separazione), non contiene più alcuna differenziazione secondo che si tratti dell'obbligo di mantenimento gravante sul marito in colpa verso la moglie incolpevole ovvero dell'eguale obbligo della moglie in colpa verso il marito incolpevole.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 145, primo comma, del codice civile, nella parte in cui non subordina alla condizione che la moglie non abbia mezzi sufficienti il dovere del marito di somministrarle, in proporzione delle sue sostanze, tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita; dichiara pertanto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 156, primo comma, del codice civile, nella parte concernente l'ipotesi di separazione personale per colpa del marito, proposta dalle ordinanze del tribunale di Udine, della Corte di appello di Roma e della Corte di appello di Genova, indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 29, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1970. GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI.
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