N. 42 SENTENZA 24 FEBBRAIO 1972
Deposito in cancelleria: 3 marzo 1972. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 65 dell'8 marzo 1972. Pres. CHIARELLI - Rel. MORTATI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Presidente - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 570, primo comma, del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 23 febbraio 1970 dal pretore di Forlì nel procedimento penale a carico di Serra Duilio, iscritta al n. 278 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 267 del 21 ottobre 1970; 2) ordinanza emessa il 10 luglio 1970 dal pretore di Rogliano nel procedimento penale a carico di Perri Concetta, iscritta al n. 319 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 25 novembre 1970; 3) ordinanza emessa il 31 ottobre 1970 dal pretore di Borgo a Mozzano nel procedimento penale a carico di Maggenti Santino, iscritta al n. 66 del registro ordinanze 1971 e puhblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 99 del 21 aprile 1971. Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1972 il Giudice relatore Costantino Mortati.
Ritenuto in fatto:
1. - Nel corso del procedimento penale avanti il pretore di Forlì contro Serra Duilio, la difesa dell'imputato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 570, codice penale, nella parte in cui stabilisce la perseguibilità d'ufficio del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, in riferimento all'art. 29 della Costituzione, ed il pretore l'ha rimessa a questa Corte con l'ordinanza in data 23 febbraio 1970, nella quale richiama l'istanza della parte privata senza svolgere una vera e propria motivazione e senza spiegare perché sia stata disattesa l'eccezione d'irrilevanza sollevata dalla parte civile, la quale aveva segnalato che nella specie la querela era stata comunque proposta. L'ordinanza è stata regolamente notificata, comunicata e pubblicata, ma nessuno si è costituito nel processo costituzionale. 2. - Nel corso del procedimento penale contro Perri Concetta, pendente avanti al pretore di Rogliano, il giudicante ha sollevato d'ufficio, con l'ordinanza in data 10 luglio 1970, questione di legittimità costituzionale dell'art. 570, primo comma, codice penale, nella parte in cui punisce il coniuge che, abbandonando il domicilio domestico, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti a tale sua qualità, in riferimento agli artt. 13, primo comma, 16, primo comma, 25, secondo comma, e 29, secondo comma, della Costituzione. Nell'ordinanza si fa presente che l'impugnazione viene proposta, sia al fine di ottenere il riesame delle questioni decise nel senso dell'infondatezza con la sentenza di questa Corte n. 107 del 1964, sia per proporre per la prima volta la censura relativa alla violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Sotto il primo profilo l'ordinanza muove dall'osservazione che l'interpretazione dell'art. 570 accolta dalla Corte costituzionale, secondo la quale l'abbandono del domicilio domestico non integrerebbe da solo la fattispecie penale, non è accettabile poiché, se è vero - come la giurisprudenza penale afferma - che l'"assistenza" di cui tratta il primo comma dell'art. 570 del codice penale, è soltanto quella morale, comprensiva degli obblighi di convivenza, di protezione, di rispetto, ecc., l'abbandono del tetto coniugale viene per forza di cose a realizzare la violazione della norma penale, poiché il dovere di coabitazione comprende e riassume in sé, assorbendoli, tutti gli obblighi suddetti. Contro l'interpretazione accolta nella sentenza n. 107 del 1964 il pretore adduce altresì argomenti desunti dalla relazione ministeriale e dalla sentenza n. 46 del 1970 di questa Corte che si è occupata sotto altro aspetto dello stesso art. 570, codice penale. Sulla base dell'interpretazione della norma impugnata, rifiutata dalla sentenza n. 107 del 1964, il pretore ripropone quindi le censure di violazione della libertà personale e di circolazione del coniuge, conseguenti all'obbligo che su di lui incombe di non allontanarsi dal domicilio coniugale anche quando la comunità che ha tratto origine dal matrimonio è ormai in crisi. A confutazione della contraria tesi, riconducibile all'esigenza di difesa dell'unità familiare recepita dall'art. 29, secondo comma, della Costituzione, egli si richiama quindi alla evoluzione della realtà sociale che ha imposto quella trasformazione del diritto di famiglia di cui alcune sentenze di questa Corte, richiamate e valutate nell'ordinanza, costituiscono tappe salienti. Sotto il secondo profilo, l'ordinanza denuncia poi l'art. 570, primo comma, codice penale, in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., in considerazione del fatto che il concetto di "assistenza morale", inteso nel senso sopra indicato, per la sua indeterminatezza e genericità, lascia largo margine di discrezionalità agli operatori, laddove il precetto penale deve corrispondere alle esigenze di concretezza e di specificità cui si ispira il principio costituzionale di cui denuncia la violazione. L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata, ma nessuno si è costituito dinanzi a questa Corte. 3. - Altre censure sono state mosse, nei confronti dell'art. 570, codice penale, dal pretore di Borgo a Mozzano con l'ordinanza in data 31 ottobre 1970, emessa d'ufficio nel corso del procedimento penale contro Maggenti Santino. In primo luogo, questo giudice propone la stessa censura esaminata per ultima dal pretore di Rogliano, riferendosi però, anziché all'art. 25, secondo comma, all'art. 3 della Costituzione. La disposizione di cui all'art. 570, codice penale, sanziona l'illiceità penale dell'abbandono del domicilio domestico e della condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, in quanto da essa derivi la violazione degli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà o alla qualità di coniuge. Di conseguenza, viene rimessa all'esclusiva e personale valutazione dell'interprete l'incidenza del dovere di assistenza che in ciascun caso possa dirsi violato e l'idoneità delle modalità di comportamento concretamente osservato ai fini della violazione medesima. In tal modo, però, secondo il pretore, il legislatore non fornisce all'interprete una norma il cui parametro, ai fini ermeneutici, sia costituito da dati obbiettivi ed escluda la possibilità di intervento, anche inconscio, di fattori soggettivi o emozionali, per cui la formula risulta talmente vaga da determinare una violazione del principio di eguaglianza. In secondo luogo il pretore solleva la stessa questione di cui si è occupata l'ordinanza del pretore di Forlì sopra ricordata, corredandola peraltro di una motivazione che tiene conto anche della sentenza di questa Corte n. 46 del 1970 con la quale essa è stata dichiarata infondata. Nel chiederne il riesame egli segnala in particolare come il riconoscimento costituzionale delle società intermedie, ed in primo luogo della famiglia, faccia sì che l'ingerenza statale in tali organismi debba essere obbiettivamente giustificata dalla esistenza di un interesse generale e pubblico da salvaguardare (come ad esempio quello rappresentato dall'unità familiare). Ora la previsione dell'intervento statale realizzato dalla procedibilità d'ufficio viene a ledere il diritto dei coniugi all'autodeterminazione dei loro rapporti ed all'autoorganizzazione della famiglia anche dopo la commissione da parte di uno di essi di alcuno dei fatti previsti dalla norma in esame, senza che ciò sia giustificato dall'esigenza di perseguire il fine dell'unità familiare, che in questo caso deve ritenersi istituzionalmente rimesso alla valutazione dei coniugi. Anche questa ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata, ma nessuno si è costituito nel processo costituzionale.
Considerato in diritto:
1. - I tre giudizi sollevano la stessa questione di legittimità costituzionale dell'art. 570, primo comma, del codice penale, che sancisce la perseguibilità di ufficio del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, sicché se ne rende opportuna la riunione e la decisione con unica sentenza, che viene emessa in camera di consiglio, non essendosi nessuna delle parti costituita in giudizio. 2. - La questione proposta con l'ordinanza del pretore di Forlì deve essere dichiarata inammissibile poiché risulta che nel giudizio in cui è stata emessa era stata proposta querela da parte del coniuge che lamentava il mancato adempimento degli obblighi di assistenza posti a carico dell'altro coniuge, sicché la eccezione fondata sulla incostituzionalità del promuovimento di ufficio dell'azione penale ai sensi dell'art. 570 del codice penale non poteva assumere alcuna rilevanza, dato che l'eventuale suo accoglimento non avrebbe influito sull'esito del processo. 3. - Le nuove deduzioni che l'ordinanza del pretore di Rogliano pone a fondamento della richiesta di riesame della sentenza di questa Corte n. 107 del 1964, che aveva ritenuto l'infondatezza della eccepita violazione degli artt. 13, primo comma, 16, primo comma, e 29, secondo comma, della Costituzione, piuttosto che contrastare con la soluzione allora data alla questione, in certo modo ne confermano l'esattezza. Si era allora ritenuto che all'insorgenza del reato ex art. 570 c.p. non è sufficiente il solo fatto del sottrarsi di un coniuge al dovere della coabitazione con l'altro, occorrendo invece che l'abbandono, pel suo carattere ingiustificato e definitivo, riveli la volontà di non più adempiere gli obblighi dell'assistenza; da intendere pertanto in un senso specifico, non identificantesi necessariamente con l'omissione di qualcuno dei vari comportamenti imposti dagli artt. 143 e seguenti del codice civile. Dal che si deduceva che deve rimanere affidato alla discrezionalità del legislatore sottoporre a diverso trattamento la violazione dell'uno o dell'altro degli obblighi stessi. Non può pertanto essere ritenuto paradossale, come l'ordinanza afferma, che alle relazioni adulterine (le quali pure possono considerarsi contrastanti con il dovere di assistenza, se inteso in senso ampio) si facciano corrispondere solo sanzioni civili, per effetto delle sentenze di questa Corte n. 126 del 1968 e n. 147 del 1969, le quali hanno fatto cadere gli articoli 559 e 560 del codice penale; e ciò fino a quando la legge non dovesse disporre diversamente. L'autonomia della fattispecie delittuosa contemplata dall'art. 570 risulta appunto confermata dalla considerazione dell'ovvia applicabilità di quest'ultimo, ove alla infedeltà si accompagnasse il non adempimento dell'assistenza. Consegue da quanto si è detto che non può ritenersi sussistente né la violazione degli artt. 13 e 16 Cost. denunciati, dato che i limiti alla libertà personale e di circolazione derivano in questo, come in ogni altro caso di assoggettamento a ordinamenti speciali, dalla necessità di adempimento dei doveri ad esso assoggettamento inerenti; e neppure l'altra dell'art. 29 per l'evidente contrasto dell'abbandono con l'esigenza dell'unità della famiglia. Né vale asserire in contrario che l'abbandono attesta l'avvenuta rottura di tale unità spirituale, di fronte alla quale non ha senso l'imposizione dell'obbligo della coabitazione, poiché proprio in considerazione dell'insorgenza di siffatte situazioni sono dettate le disposizioni degli artt. 150 e seguenti relative all'istituto della separazione personale. Quanto poi al nuovo motivo fatto discendere dall'allegata violazione dell'art. 25 Cost., sotto la specie dell'eccessiva discrezionalità che sarebbe rilasciata al giudice per effetto della vaghezza e genericità del concetto di "assistenza morale" di cui all'art. 570, è da osservare, anzitutto, che la fattispecie quivi considerata non è raffigurata con la formula riferita nell'ordinanza ma con altra ben più specifica ed articolata, e che, in ogni caso, la costante giurisprudenza della Corte, riaffermata per ultimo con la sentenza n. 191 del 1970, ha ritenuto che non contraddice al principio di legalità della pena il fatto che il legislatore, anziché procedere ad una rigorosa e tassativa descrizione di un fatto-reato, ricorra per la sua individuazione a concetti extragiuridici diffusi e generalmente compresi nella collettività in cui il giudice opera. 4. - Le considerazioni esposte per ultimo valgono anche ad escludere la fondatezza dell'analoga censura contenuta nell'ordinanza del pretore di Borgo a Mozzano, sotto la diversa prospettazione della violazione dell'art. 3 Cost. per l'ineguaglianza di trattamento che discenderebbe dall'assoluta indeterminatezza dell'oggetto della norma dell'art. 570. Anche riguardo all'altra censura di violazione degli artt. 2 e 29, interpretati nel senso che sarebbe da rilasciare ai coniugi l'autodeterminazione dei propri rapporti e l'autoorganizzazione da essi ritenuta meglio idonea ad assicurare l'unità della famiglia, e di conseguenza escludersi la procedibilità di ufficio sancita dall'art. 570, deve farsi riferimento a quanto dedotto in precedenza sulla discrezionalità del legislatore nello stabilire i modi e le forme del perseguimento delle violazioni degli obblighi di assistenza verso la famiglia, rimanendo al giudice costituzionale solo l'accertamento che gli uni e le altre non contrastino con l'esigenza della ragionevolezza. Che questa sia nella specie rispettata, in quanto la sanzione penale prevista dalla norma in esame trova sufficiente giustificazione nell'interesse pubblico all'osservanza dei comportamenti necessari a mantenere integra la compagine familiare, è stato ampiamente messo in rilievo nella sentenza n. 46 del 1970, dalla quale pertanto non vi è motivo di discostarsi. per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile, perché irrilevante, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 570 del codice penale, sollevata, con l'ordinanza del pretore di Forlì, in riferimento all'art. 29 della Costituzione; dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 570 del codice penale proposte dalle ordinanze in epigrafe dei pretori di Rogliano e di Borgo a Mozzano in riferimento, la prima, agli artt. 13, primo comma, 16, primo comma, 25, secondo comma, e 29, secondo comma, e la seconda, agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione. Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1972. GIUSEPPE CHIARELLI - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI.
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