N. 171 SENTENZA 12 LUGLIO 1976
Deposito in cancelleria: 14 luglio 1976. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 191 del 21 luglio 1976. Pres. ROSSI - Rel. VOLTERRA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. PAOLO ROSSI, Presidente - Dott. LUIGI OGGIONI - Avv. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Avv. LEONETTO AMADEI - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 45, primo comma, del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 20 febbraio 1974 dal tribunale di Ravenna nel procedimento civile vertente tra Cremonini Roberto e Bovina Renata, iscritta al n. 248 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 10 luglio 1974; 2) ordinanza emessa l'8 ottobre 1974 dal Tribunale di Roma nel proc. civ. vertente tra Della Mea Antonio e Lo Presti Emanuela, iscritta al n. 513 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 del 22 gennaio 1975; 3) ordinanza emessa il 14 marzo 1975 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Turnaturi Egidio e Scionti Rosa, iscritta al n. 276 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 20 agosto 1975. Visto l'atto di costituzione di Lo Presti Emanuela; udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1976 il Giudice relatore Edoardo Volterra.
Ritenuto in fatto:
1. - Il tribunale di Ravenna e quello di Roma, con 3 ordinanze emesse rispettivamente il 20 febbraio, l'8 ottobre 1974 e il 14 marzo 1975 nei procedimenti di separazione per colpa vertenti tra Roberto Cremonini e Renata Bovina, Antonio Della Mea e Emanuela Lo Presti, Egidio Turnaturi e Rosa Scionti, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 45, primo comma, del codice civile che dispone che la moglie non legalmente separata ha il domicilio del marito. Le censure mosse dalle ordinanze di rimessione riguardano in particolare la parola "legalmente", sostenendosi che, in caso di separazione di fatto, la disposizione denunciata rechi un ingiustificato vantaggio al marito, proprio ai fini del giudizio di separazione personale, poiché in base agli artt. 18, 139 e 706 del codice di procedura civile, il marito ha la possibilità di convenire la moglie presso il proprio domicilio, anche se questa abbia trasferito la residenza altrove, e poiché, in ogni caso, seppure la citazione venga notificata nel luogo di effettiva dimora, la competenza a conoscere della causa di separazione è sempre attribuita al tribunale nella cui circoscrizione si trova il domicilio del marito. In questo modo verrebbero a violarsi il generale principio di eguaglianza espresso nell'art. 3 e quello specifico di parità tra i coniugi di cui all'art. 29 della Costituzione, senza che ciò sia giustificato da esigenze di unità familiare essendosi questa ormai spezzata a causa della separazione di fatto, il diritto di difesa della moglie, reso più gravoso dalla circostanza di dover stare in giudizio presso il domicilio del marito e, secondo la motivazione dell'ordinanza del tribunale di Ravenna, che pure nel dispositivo non richiama l'art. 25 della Costituzione, anche il principio del giudice naturale, potendo il marito determinare il tribunale competente a conoscere della causa di separazione, attraverso opportuni cambiamenti di domicilio. 2. - Le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte costituzionale si è costituita Emanuela Lo Presti, rappresentata e difesa dall'avv. Alberto Pugliese, insistendo perché l'eccezione di illegittimità costituzionale venga dichiarata fondata.
Considerato in diritto:
1. - I tre giudizi di cui alle ordinanze in epigrafe vanno riuniti e decisi con un'unica sentenza, stante che sollevano identiche o analoghe questioni di legittimità costituzionale di una medesima norma. 2. - I tribunali di Ravenna e di Roma in procedimenti di separazione personale iniziati anteriormente all'entrata in vigore della legge 19 maggio 1975, n. 151 (riforma del diritto di famiglia), denunziano la illegittimità costituzionale dell'art. 45 del codice civile (sostituito dall'art. 1 della citata legge). Le censure mosse al predetto articolo nella sua dizione originaria concernono la disposizione per cui la moglie, se non è legalmente separata, ha il domicilio del marito, anche quando la convivenza sia venuta meno ed uno dei due coniugi o entrambi abbiano addirittura deciso di ricorrere al giudice per la separazione legale. Soprattutto in tale caso - sostengono i giudici a quibus - la norma indicata crea un'ingiustificata disparità giuridica fra il marito e la moglie, dovendo questa ultima, ai fini di un giudizio di separazione personale, anche se ha trasferito altrove la propria residenza, essere convenuta in base agli artt. 18, 139 e 706 del codice di procedura civile, presso il domicilio del marito e attribuendosi la competenza per il relativo giudizio al tribunale nella cui circoscrizione si trova tale domicilio. Ciò comporta, secondo il tribunale di Ravenna, la violazione degli artt. 3 e 29 della Costituzione ed anche del principio della precostituzione del giudice naturale, potendo il marito, attraverso cambiamenti di domicilio, predeterminare il tribunale competente a conoscere della causa di separazione. Secondo il tribunale di Roma, la norma viola, oltre agli artt. 3 e 29, anche l'art. 24 della Costituzione. 3. - Le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei termini sopra indicati hanno rilevanza nei giudizi a quibus in quanto nelle ordinanze è specificatamente affermato o risulta che, alle date delle citazioni introduttive dei giudizi di separazione, le mogli convenute effettivamente avevano la propria residenza in luoghi diversi da quelli dei domicili dei rispettivi mariti ed anzi in tale residenza è stata loro notificata la citazione introduttiva. 4. - La questione è fondata. Il legislatore nella sua discrezionalità può dare rilevanza o meno al domicilio coniugale, ai fini del rafforzamento dell'unità familiare, stabilendo che tale centro debba essere comune al marito e alla moglie quando perdura la loro convivenza. Si tratta di discrezionalità legislativa sottratta, ove razionalmente esercitata, ad ogni sindacato di legittimità costituzionale, sia nella scelta del mezzo che nella scelta del coniuge presso il cui domicilio stabilire quello dell'altro, ed il legislatore può ben mutare la sua valutazione, adeguandosi al mutamento della situazione e della coscienza sociale, così come in effetti ha operato con l'articolo 1 legge 19 maggio 1975, n. 151, ribadendo per i coniugi il principio valido per ogni soggetto per cui ciascuno ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o dei propri interessi. La discrezionalità in questione trasmoda però in arbitrio e quindi in violazione del generale principio di eguaglianza e dello specifico principio di parità dei coniugi, in quanto non era stato dato rilievo, nella dizione originale dell'art. 45 del codice civile, allo stato di separazione di fatto tra questi. Si prevedeva invece, prima della sostituzione effettuata dall'art. 1 della legge n. 151 del 1975, che soltanto la separazione legale (e tale situazione per benevola interpretazione della giurisprudenza poteva configurarsi sin dai provvedimenti provvisori adottati dal presidente del tribunale) faceva cessare il domicilio, presunto iuris et de iure, della moglie presso il marito. Ma il mantenimento anche in questo caso di tale presunzione, attraverso l'uso dell'avverbio "legalmente" nella formula dell'art. 45 c.c., non sembra, come giustamente rilevano le ordinanze di rimessione, tutelare alcun interesse tale da derogare all'eguaglianza tra moglie e marito e tanto meno quello specifico dell'unità familiare, considerato dall'art. 29 come peculiare limite alla parità. Ciò perché, come ha rilevato questa Corte con la sentenza n. 46 del 1966, per la stessa circostanza della separazione di fatto sono venuti a mancare i presupposti dell'unità, sia che questa si consideri sotto l'aspetto materiale e fisico, essendo cessata la convivenza e con essa la collaborazione della moglie alla gestione domestica, sia sotto quello spirituale, essendosi resa manifesta l'incompatibilità tra i due, tale da rendere non più possibile la vita in comune. Il rilevato contrasto della dizione originaria dell'art. 45 del codice civile nei limiti prospettati dalle ordinanze di rimessione con gli artt. 3 e 29 della Costituzione esime da ogni ulteriore indagine in riferimento agli artt. 24 e 25 della stessa.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 45 del codice civile, primo comma (nel testo anteriore alla sostituzione operata dall'art. 1 della legge 19 maggio 1975, n. 151), nella parte in cui, in caso di separazione di fatto dei coniugi ed ai fini della competenza per territorio nel giudizio di separazione, prevede che la moglie, la quale abbia fissato altrove la propria residenza, conservi legalmente il domicilio del marito.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1976. F.to: PAOLO ROSSI - LUIGI OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA REALE - LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - LEOPOLDO ELIA. ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere
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