Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0153 del 1979 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di accoglimento
Disposizione oggetto: codice civile art.595:
-Esplicito e motivato overruling rispetto ai propri precedenti
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva

N. 153
SENTENZA 18 DICEMBRE 1979

Deposito in cancelleria: 20 dicembre 1979.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 353 del 29 dicembre 1979.
Pres. AMADEI - Rel. VOLTERRA

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente Dott. GIULIO
GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof.
ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN -
Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO
MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof.
ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 595 e 599
del codice civile promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1977 dal
tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Barletta Nucci
Maria Addolorata e Fabiano Ignazia ed altra, iscritta al n. 47 del
registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 94 del 5 aprile 1978.
Visto l'atto di costituzione di Barletta Nucci Maria Addolorata e
di Fabiano Ignazia.
Udito nell'udienza pubblica del 24 ottobre 1979 il Giudice relatore
Edoardo Volterra;
uditi gli avvocati Sergio Panunzio per Barletta Nucci, Domenico
Giannuli e Nicolò Lipari per Fabiano.

Ritenuto in fatto:

1. - Nel corso del procedimento civile vertente tra Barletta Maria
Addolorata e Fabiano Ignazia vedova Barletta ed altra, il tribunale di
Bari, con ordinanza del 5 luglio 1977, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 595 e 599 del codice civile,
nel testo anteriore alla riforma del diritto di famiglia operata dalla
legge 19 maggio 1975, n. 151.
Le norme denunziate disciplinano la capacità a succedere del
coniuge del binubo e prescrivono che questi non possa ricevere per
testamento sulla disponibile più di quanto consegue sulla disponibile
stessa il meno favorito dei figli di precedenti matrimoni. Al giudice a
quo, tale normativa, assoggettando ad un trattamento diverso il coniuge
del testatore a seconda che quest'ultimo abbia o meno contratto un
precedente matrimonio, sembra vulnerare il principio di uguaglianza di
cui all'art. 3 della Costituzione, e, prevedendo limitazioni della
capacità a succedere per testamento del binubo, sembra incompatibile
con il principio costituzionale della dignità dell'unione
matrimoniale, indipendentemente dalla circostanza che questa unione si
sia realizzata in prime o ulteriori nozze.
Osserva ancora il tribunale che l'evoluzione giurisprudenziale
della Corte costituzionale, con particolare riferimento alle dichiarate
illegittimità costituzionali degli artt. 593, 592 e 781 cod.civ. e la
stessa evoluzione legislativa, che, con l'istituto del divorzio e la
riforma del diritto di famiglia ha reso ormai anacronistico il
disfavore per le seconde nozze che caratterizzava la passata
legislazione, giustificano il riesame della questione da parte della
Corte costituzionale, la quale, con una sentenza del 16 dicembre 1970,
n. 189, ebbe a dichiarare non fondata la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 595 e 599 cod.civ.
2. - L'ordinanza è stata regolarmente comunicata, notificata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
Dinanzi alla Corte costituzionale si sono costituiti Fabiano
Ignazia rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico Giannuli e
Nicolò Lipari, Barletta Maria Addolorata rappresentata e difesa dagli
avvocati Aldo Sandulli e Tommaso Siciliani.
3. - Nell'aderire alle argomentazioni contenute nell'ordinanza di
rimessione, la difesa della Fabiano insiste sulla illegittimità
costituzionale della normativa, osservando come l'evoluzione
giurisprudenziale della Corte costituzionale abbia condotto da un lato
alla dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 592 cod.civ. e
dall'altro a quella dell'art. 781 cod.civ., rispettivamente contenenti
il divieto di lasciare la disponibile in favore dei figli naturali non
riconoscibili e di donazione tra coniugi. Egualmente priva di
ragionevolezza per gli stessi motivi messi in risalto nelle decisioni
sopra citate appare oggi la normativa denunziata che del resto è stata
abrogata dal nuovo diritto di famiglia. Tale normativa in realtà
sarebbe ispirata allo sfavore delle nuove nozze e limiterebbe la
libertà di contrarle attraverso restrizioni di carattere patrimoniale
con violazione quindi dell'art. 29 della Costituzione.
4. - La difesa della Barletta Maria Addolorata rileva che la Corte
costituzionale ha già dichiarato l'infondatezza della questione della
successione del coniuge del binubo con la sentenza n. 189 del 1970.
Osserva che la ratio degli artt. 592, 593 e 781 cod.civ. è in realtà
ben diversa da quella degli artt. 595 e 599 cod.civ. Ed infatti nel
caso della successione del coniuge del binubo ragionevolmente il
legislatore ha tenuto conto della possibilità di influenzare in
costanza di matrimonio il coniuge in danno dei figli nati in precedenti
matrimoni. Nella sua discrezionalità il legislatore ha poi ritenuto
inopportuno mantenere in vita tali limitazioni. Ma si tratta appunto di
discrezionalità legislativa che non può condizionare la legittimità
costituzionale della normativa abrogata.
5. - Le parti costituite hanno presentato memorie ampiamente
ribadendo le argomentazioni a sostegno delle opposte tesi.

Considerato in diritto:

1. - Il giudice a quo denunzia, in riferimento agli artt. 3 e 29
della Costituzione, gli artt. 595 e 599 del cod.civ., (il primo dei
quali espressamente abrogato dall'art. 196 della legge 19 maggio 1975,
n. 151), in quanto le disposizioni impugnate (applicabili nel
procedimento di merito perché relativo ad una successione apertasi
anteriormente al 1975), assoggettando ad un diverso trattamento il
coniuge del testatore a seconda che questo abbia o meno contratto un
secondo matrimonio, vulnererebbero il principio di uguaglianza e,
prevedendo limitazioni alla capacità successoria del coniuge del
binubo, sarebbero incompatibili con il principio costituzionale della
dignità dell'unione matrimoniale di cui all'art. 29, indipendentemente
dalla circostanza che tale unione si sia realizzata in prime o
ulteriori nozze.
2. - Sia l'ordinanza di rimessione che la difesa dell'attrice
richiamano la sentenza n. 189/1970 di questa Corte con cui analoga
questione venne dichiarata non fondata.
Il giudice a quo afferma che l'evoluzione della giurisprudenza
costituzionale e quella della legislazione dimostrano, oggi per allora,
come le norme impugnate fossero incompatibili con la Costituzione del
1948, mentre la parte privata, facendo leva sul precedente, sostiene
che il mutamento legislativo è frutto di un riesame dell'opportunità
di mantenere la limitazione alla capacità di succedere del coniuge del
binubo: resterebbe pertanto fermo che sotto il profilo della
legittimità costituzionale non sarebbero censurabili né la soluzione
adottata dal legislatore del 1942 né quella del 1975.
3. - La richiamata decisione n. 189 del 1970 si basava
essenzialmente sull'assunto, tratto dalla relazione al codice che la
disciplina impugnata fosse dettata per evitare che "ii coniuge del
binubo in fatto possa influire su questo a danno di figli di precedenti
matrimoni e per salvaguardare costoro sul terreno patrimoniale".
In base all'indirizzo giurisprudenziale iniziato con la sentenza n.
205 del 1970 e manifestatosi particolarmente con la sentenza n. 91 del
1973, visualizza testo argomento la Corte ritiene oggi di dover approfondire l'indagine sugli
esposti motivi ispiratori della normativa, per controllarne l'esattezza
sotto il profilo storico e per verificarne l'intrinseca ed estrinseca
validità rispetto ai principi consacrati negli artt. 3 e 29 della
Costituzione.
4. - La disposizione dell'art. 595 del codice civile italiano del
1942, la quale ripeteva sostanzialmente quella dell'art. 770 del
preesistente codice del 1865, veniva, nel disegno di legge n. 2417
(comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica il 18 settembre
1967) con cui si proponeva l'abrogazione dell'articolo in parola,
qualificata "iniqua, irrazionale, incostituzionale e anche illogica".
Essa infatti appariva, già prima della sua abrogazione legislativa del
1975, un vero e proprio relitto storico.
La disposizione traeva le sue lontanissime origini dalla
legislazione del Basso Impero Romano, decisamente contraria alle nozze
dei vedovi e dei divorziati, la quale, mentre da un lato procedeva alla
graduale abrogazione delle leggi di Augusto tendenti ad ostacolare il
celibato e a costringere uomini e donne ad unirsi in matrimonio e a
passare a seconde nozze, dall'altro lato, con numerose costituzioni di
Costantino, Valentiniano, Graziano, Teodosio II e di altri imperatori,
mirava con varie disposizioni limitanti i diritti patrimoniali e
successori dei binobi e i loro diritti nei confronti dei figli nonché
con una normativa severamente repressiva dell'adulterio, ad ostacolare
e ad impedire i secondi e i successivi matrimoni senza però giungere a
dichiararne la nullità. Nello stesso tempo cercava di proteggere i
diritti e le aspettative patrimoniali dei figli di primo letto ai quali
riservava particolare favore. Queste leggi risentono la diretta
influenza della Chiesa, la quale sin dall'origine, nella sua dottrina,
come dimostrano l'insegnamento rivolto a uomini e donne nelle Epistole
di S. Paolo, gli scritti dei Padri fra i quali Atenagora, Clemente di
Alessandria, Origene, Tertulliano, Sant'Ambrogio e tanti altri,
esaltava la castità e la continenza esortando al celibato e a
mantenere lo stato di vedovanza, quali condizioni moralmente superiori
a quella dei coniugati, sconsigliando decisamente di compiere
successivi matrimoni ed escludendo i binubi dagli ordini e dalle
funzioni sacerdotali e dal compimento di vari atti di culto. La
normativa espressa già in antichi decreti vescovili e in numerosi
concili, pur considerando giuridicamente valido il secondo matrimonio,
conferma, attraverso disposizioni che pongono in una condizione
d'inferiorità nel campo religioso e nella comunità dei fedeli, i
binubi e coloro che si uniscono in matrimonio con questi, l'ostilità
della Chiesa verso le seconde nozze, tendenza questa seguita e
condivisa dalle autorità civili del IV e dei secoli successivi.
La legislazione imperiale romana, ispirata al presupposto che il
coniuge del binubo possa circuire questo a proprio favore inducendolo a
spogliarsi dei suoi beni a danno dei figli nati da matrimoni anteriori
influisce profondamente sul diritto intermedio. Fra le tante
costituzioni imperiali emanate in questa materia viene data particolare
importanza ad una di esse, conservata nel Codice Giustinianeo C. 5, 9,
6 nel titolo de secundis naptiis, degli imperatori Leone ed Antemio del
472, denominata dagli scrittori medioevali e successivi con le due
parole iniziali Hac ediclali, la quale fra l'altro vietava che il
binubo lasciasse al nuovo coniuge per qualsiasi atto di liberalità sia
fra vivi sia mortis causa ed anche per interposte persone più di
quanto donava o lasciava al meno preferito dei figli del precedente
matrimonio. La legge stabiliva inoltre che l'eventuale eccedenza
dovesse essere divisa fra tali figli. Questa disposizione che
Giustiniano nelle sue Novelle giudicava ottima, è più tardi
ampiamente commentata da celebri giuristi. Applicata in Francia nei
paesi di diritto scritto ed in alcune Coutumes, viene estesa a tutto il
regno per effetto del celebre editto del luglio 1560 del re di Francia
Francesco II noto come edit des secondes noces, emanato per consiglio
del cancelliere Michel de L'Hopital in conseguenza di un fatto che
aveva suscitato molto clamore.
L'editto, il quale si riferiva solo alle vedove che contraevano
nuovo matrimonio, vietava ad esse di donare al loro successivo marito
anche per interposte persone più di quanto avesse il figlio meno
preferito del precedente matrimonio, ordinando la riduzione della
eccedenza. Il proomio dell'editto, nel quale sono esposti i motivi di
esso, mostra che l'intenzione del legislatore era, richiamandosi alle
costituzioni imperiali romane e invocando l'"infermità" del sesso, di
porre la binuba in una condizione di inferiorità giuridica limitandone
la capacità. La giurisprudenza estese il divieto (accolto in varie
Coutumes, fra cui quelle di Parigi, Orleans ed Amiens) anche ai lasciti
testamentari e ai vedovi binubi. Pochi anni dopo il re Enrico III con
l'Ordonnance de Blois del 1579 aggravava le pene contro le vedove che
si univano in matrimonio con uomini indegni della loro condizione,
confermando il disfavore verso le seconde nozze.
Questa normativa, decisamente contraria ai binubi, si mantenne in
Francia sino alla Rivoluzione, quando la Convenzione ritenne di abolire
gli impedimenti ai successivi matrimoni. Con la legge 5 brumaio anno II
art. 1 e con la legge 17 nevoso, anno II art. 12 si dichiarava
illecita e pertanto non scritta la condizione apposta agli atti
gratuiti di non passare a nuove nozze e con la medesima legge del 17
nevoso agli artt. 13 e 14 si permetteva a ciascun coniuge di dare
all'altro i suoi beni in mancanza di figli e, in presenza di questi,
sia di primo matrimonio, sia di matrimoni successivi, la metà dei beni
in usufrutto.
I redattori del Codice Napoleonico, come può constatarsi dai
lavori preparatori, ritornarono invece alle disposizioni dell'antica
legge del 472 Hac edictali. La materia venne regolata nel titolo II del
libro III (delle disposizioni fra coniugi, per contratto di matrimonio,
o durante il matrimonio) nell'articolo 1098: "Il marito o la moglie
che, avendo figli d'altro matrimonio, ne contrarrà un secondo od
ulteriore, non potrà donare al nuovo sposo che una parte uguale alla
minore che perverrà ad uno dei figli legittimi, senza che in nessun
caso, queste donazioni possano eccedere il quarto dei beni".
Pertanto, il Codice Napoleonico, riproducendo la prima disposizione
dell'antico editto delle seconde nozze del 1560, limitava la capacità
giuridica dei binubi in confronto degli altri cittadini e stabiliva
norme patrimoniali diverse per i coniugi del primo e dei successivi
matrimoni.
5. - Come è noto, il Codice civile francese venne applicato per
vari anni in quasi tutta l'Italia e, negli anni successivi alla
Restaurazione, sostituito in vari Stati da nuovi codici. Mentre il
Codice generale austriaco del 1811 applicato al Regno Lombardo-Veneto
il 1 gennaio 1815, non contiene, come il Codice civile germanico e il
Codice svizzero, il divieto, in alcune nuove legislazioni italiane
viene mantenuta la norma dell'art. 1098. Così il Codice pel Regno
delle Due Sicilie promulgato nel 1819, il quale all'art. 1052 posto nel
capitolo IX del titolo II con la medesima intitolazione del titolo II
del libro III del Codice Napoleonico, riproduce pedissequamente
l'articolo 1098 di questo, meno l'ultima parte riguardante la
limitazione del quarto dei beni. Ugualmente il Codice per gli Stati di
Parma, Piacenza e Guastalla del 1820 nella Parte seconda al titolo I
capo III (Delle disposizioni permesse in testamento) all'art. 662. Nel
codice Albertino del 1837 il divieto è posto all'art. 149 nella
sezione V sotto il titolo V che porta la denominazione "delle seconde
nozze". Questa collocazione indicava ben chiaramente che lo scopo del
legislatore, ispirato al disfavore per i successivi matrimoni, era
precipuamente quello di limitare i diritti patrimoniali, e di
disposizione dei binubi. ("Non può il binubo lasciare al nuovo coniuge
per qualunque atto lucrativo o tra vivi, o d'ultima volontà, maggior
porzione di quella che abbia lasciato ad uno dei figli del primo
matrimonio, il meno favorito. I lucri dotali però né limiti portati
dalle leggi non s'imputeranno in detta porzione. L'eccesso del lascito
al secondo coniuge cade in favore di tutta indistintamente la prole del
primo matrimonio nella conformità dell'art. 147, non ostante
qualunque disposizione del binubo in contrario, e benché il secondo
coniuge avesse in favore d'altri rinunziato al lascito").
È interessante notare che di questo articolo, considerato come i
tre precedenti della medesima sezione, come aventi lo scopo di porre un
freno alle seconde nozze, la Magistratura del Regno di Sardegna nelle
sue osservazioni al progetto di revisione del Codice Albertino aveva
proposto la soppressione.
L'articolo in parola venne tenuto presente nella elaborazione del
codice civile del 1865 nella quale le disposizioni concernenti i binubi
furono oggetto di perplessità e di discussioni, ritenendosi che i
figli fossero tutelati dalle norme sulla porzione legittima. Avuto
riguardo ai vari dubbi di interpretazione dell'articolo 149 del Codice
Albertino, la norma limitatrice venne posta nella sezione II del capo
II ("della capacità di ricevere per testamento") nell'articolo 770 con
la seguente formulazione: "Il binubo non può lasciare al nuovo coniuge
una porzione maggiore di quella che abbia lasciato al meno favorito dei
figli del precedente matrimonio". Le incapacità stabilite per il
binubo, come espressamente dichiarato nella Relazione dell'allora
Guardasigilli Giuseppe Pisanelli "sono dirette ad impedire qualsiasi
violenza o seduzione che possa tornare a danno dei figli del precedente
matrimonio o dei congiunti chiamati dalla legge a succedere". Con ciò
si affermava ancora una volta il presupposto che ciascun coniuge per il
solo fatto di essere tale fosse esposto alla circumvenzione e alla
violenza dell'altro.
visualizza testo argomento L'autorità della tradizione storica influenzò anche i redattori
del nuovo codice del 1942, i quali, malgrado i dubbi espressi dalla
dottrina e i pareri di abolizione avanzati da alcuni Sindacati fascisti
di avvocati e procuratori in sede di esame del progetto, mantennero il
divieto, formulando nel capo III del titolo III ("della capacità di
ricevere per testamento") nell'articolo 595, diversamente dai
precedenti codici sotto il profilo di un'incapacità di ricevere da
parte del coniuge del binubo: "Il coniuge del binubo non può ricevere
da questo per testamento, sulla disponibile, più di quanto consegue,
sulla disponibile stessa, il meno favorito dei figli di precedenti
matrimoni. Per determinare la porzione del coniuge devono calcolarsi le
donazioni da lui ricevute. L'eccedenza di cui è stato disposto a
favore del coniuge, anche per donazione, deve essere divisa in parti
eguali fra il coniuge medesimo e tutti i figli del testatore".
6. - La storia del divieto, risalendo, attraverso le legislazioni
che si sono succedute nel tempo all'origine della norma, mostra come
questa fosse soprattutto ispirata dall'ostilità verso le seconde nozze
considerate come atto moralmente e giuridicamente riprovevole e si
fondasse sul presupposto che il binubo fosse sempre esposto ai raggiri,
artifizi e violenza da parte del nuovo coniuge per spogliarlo dei suoi
averi, raggiri, artifizi e violenza ad evitare i quali non sarebbero
state, in un secondo o successivo matrimonio, suflicienti le ordinarie
disposizioni sulla captazione testamentaria. Scopo precipuo della norma
era infatti quello di ostacolare le nuove nozze e di scoraggiarle,
limitando la capacità giuridica dei binubi. L'ostilità del
legislatore, malgrado che sia il codice civile del 1865 (art. 850), sia
quello del 1942 (art. 636) dichiarassero illecita la condizione
impedente le prime nozze e le ulteriori, si appalesa anche in talune
norme del codice civile (tali ad esempio, quelle degli artt. 434, 149,
636, 328, sostituito dall'art. 151 della legge n. 151 del 1975, 340 e
31, abrogati dall'art. 159 della citata legge) nonché in disposizioni
in tema di pensione di riversibilità della vedova binuba, nelle quali
non appare estraneo, insieme ad altri presupposti, anche il disfavore
verso i successivi matrimoni (V. art. 81 del t.u. sul trattamento di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato approvato con
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092; art. 42 del t.u. sulle pensioni di
guerra approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915; V. anche art. 27
r.d. 17 agosto 1935, n. 1765).
7. - Il motivo invocato da taluni che il divieto di cui all'art.
595 fosse esclusivamente diretto a tutelare gli interessi dei figli di
primo letto, se poteva avere un'apparenza di veridicità per le più
antiche legislazioni, appariva in gran parte inconsistente e ormai
superato una volta introdotto l'istituto della quota disponibile e
della riserva ereditaria e data la possibilità di impugnare le
disposizioni testamentarie affette di violenza, dolo od errore (art.
624 codice civile).
La norma denunziata, stabilendo che la condizione di colui che
aveva contratto successivamente più matrimoni, costituisce un elemento
discriminante rispetto alla capacità di qualunque altro cittadino
celibe o coniugato una sola volta di disporre della quota disponibile
dei suoi beni nei confronti del proprio coniuge e, correlativamente,
rispetto alla capacità di questo coniuge di ricevere sulla quota
disponibile, violava il principio costituzionale di uguaglianza di cui
all'art. 3.
La differenza di trattamento fatto ai binubi, in confronto degli
altri coniugati e in genere degli altri cittadini, non solo non trovava
alcuna ragionevole giustificazione in motivi che comunque potessero
identificarsi con i principi e i valori della Costituzione, soprattutto
dell'art. 29, ma appariva rispondere a concetti del tutto superati e
addirittura contrastanti con la logica del sistema creando una serie di
situazioni palesemente assurda.Infatti, mentre qualunque cittadino poteva disporre liberamente dei
propri beni nei limiti della propria quota disponibile e poteva
liberamente ricevere entro la quota disponibile di altri liberalità a
proprio favore, ciò era vietato ai binubi e ai coniugi di questi per
il solo fatto che esisteva fra loro un rapporto giuridico di matrimonio
legittimo. I vedovi e i divorziati, come tutti gli altri cittadini,
potevano invece disporre della loro quota disponibile a favore di
qualsivoglia altra persona anche se con loro convivente more uxorio, o
unita da vincolo di matrimonio religioso non trascritto, o unita da
matrimonio legittimo successivamente annullato prima della morte del
binubo, situazioni queste nelle quali i pericoli a danno dei figli di
matrimoni anteriori di circumvenzione, di dolo o di violenza che si
affermava volere impedire potevano esistere con assai maggiore
incidenza e frequenza e con conseguenze assai più gravi.
L'assurdità risulta anche per situazioni nelle quali
l'applicabilità del divieto dipendeva da situazioni del tutto
accidentali e indipendenti dalla volontà delle persone.
Tale ad esempio quella del binubo il cui precedente o i precedenti
matrimoni fossero dichiarati nulli, nel qual caso l'incapacità del
testatore e del suo coniuge non esisteva, e così anche, secondo
un'autorevole dottrina, quando la persona a favore della quale
l'istituzione era stata fatta, aveva acquistato la qualità di coniuge
legittimo dopo la confezione del testamento.
Del resto l'incapacità del binubo e del di lui coniuge si aveva
solo in presenza, al momento dell'apertura della successione, di figli
legittimi o legittimati per susseguente matrimonio che non fossero
premorti o dichiarati indegni o avessero rinunziato all'eredità. Ciò
creava una differenziazione rispetto alla capacità giuridica fra
binubi con figli nati da precedenti matrimoni e binubi senza tali
figli. L'incapacità, invece, non si verificava in presenza di figli
legittimati per decreto del Capo dello Stato (ora con la riforma del
1975 con provvedimento del giudice: nuovo art. 284 del codice civile),
di adottivi e di naturali in quanto non erano nati da precedenti
matrimoni del binubo.
Altra situazione irrazionale, nella quale la capacità del binubo e
del di lui coniuge risultava ancora limitata in confronto a quella
degli altri cittadini, vi era quando al figlio meno favorito di
precedenti matrimoni era lasciata la sola legittima. In tal caso il
nuovo coniuge non poteva ricevere nulla sulla disponibile, ma
conseguiva la sola riserva. Per di più, concorrendo con figli
legittimi, la quota di riserva gli spettava soltanto in usufrutto con
la conseguenza che il testatore non gli poteva lasciare nulla in
proprietà.
Altra limitazione si era verificata dopo la dichiarazione di
incostituzionalità dell'art. 781 del codice civile (sentenza 14 giugno
1973, n. 91). Affermata la liceità delle donazioni fra coniugi, ne
derivava che nel determinare la porzione del nuovo coniuge, si
sarebbero dovute calcolare anche le donazioni fatte dal binubo al
proprio coniuge durante il matrimonio. In tal modo, prima
dell'abrogazione dell'art. 595, si sarebbe avuta un'ulteriore
limitazione della capacità del binubo rispetto a quella degli altri
cittadini, potendo questi fare donazioni al proprio coniuge e
riducendosi invece quelle del binubo che concorressero a fare
oltrepassare sulla disponibile quanto conseguiva il figlio meno
preferito di precedenti matrimoni.
8. - La norma dell'art. 595 contrastava pertanto anche con l'art.
29 della Costituzione in quanto, limitando la capacità dei binubi e
dei loro coniugi in confronto a quella degli altri coniugati, operava
una distinzione giuridica fra il precedente matrimonio legittimo e i
successivi, ponendo i coniugi di successivi matrimoni in uno stato di
inferiorità giuridica in confronto dei coniugi precedenti. Questa
distinzione non si conciliava con l'art. 29 della Costituzione, il
quale non differenzia fra loro i matrimoni legittimi, ma vuole questi
ordinati sulla uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e tanto meno
consente di disciplinare in modo diverso il primo matrimonio da quelli
successivi.
A base del divieto di cui all'art. 595, così come a base di quello
dell'art. 781 dichiarato costituzionalmente illegittimo, vi era la
presunzione, denunziata dalla Corte nella sua citata sentenza n. 91 del
1973, che il matrimonio legittimo creasse fra i coniugi uno stato
reciproco di ineguaglianza e di inferiorità, non riscontrabile nelle
altre forme di unioni coniugali non legittime, per cui ciascun coniuge
potesse essere sempre circuito o costretto dall'altro a spogliarsi a
favore di questo dei suoi beni, presunzione questa incompatibile con
l'uguaglianza civile e morale dei coniugi. Come nella citata sentenza
n. 91 del 1973, riguardo alla statuizione di incostituzionalità
dell'art. 781, la Corte, anche rispetto all'art. 595, osserva che
questa presunzione contrasta con la stessa realtà giuridica in quanto
la persona unita all'altra da vincolo coniugale legittimo è meno
esposta a soggiacere a seduzioni e pressioni affettive da parte
dell'altro coniuge dirette ad ottenere liberalità, che non invece la
persona non unita ad altra con siffatto vincolo, la quale più
facilmente può essere indotta a cedere a ricatti affettivi e a
compiere liberalità sotto la minaccia di non legittimare l'unione
illegittima o di farla cessare.
9. - visualizza testo argomento L'esame della legislazione italiana dopo la II guerra mondiale
mostra, attraverso una serie di abrogazioni di norme limitatrici della
capacità giuridica dei binubi, il progressivo abbandono da parte del
legislatore del disfavore verso le seconde nozze. L'abrogazione
effettuata dal legislatore con la legge 19 maggio 1975, n. 151
dell'art. 595 del codice civile ha operato decisamente in questa
direzione adeguando il diritto di famiglia e di successione ai principi
espressi nella Costituzione e giova anche essa a rivelare uno stato di
illegittimità costituzionale esistente prima della riforma del 1975.Devesi pertanto dichiarare l'incostituzionalità dell'art. 595 nel
testo abrogato dall'art. 196 della legge 19 maggio 1975, n. 151 e di
conseguenza anche l'incostituzionalità dell'art. 599 del codice civile
nella parte in cui richiamava l'art. 595 del medesimo codice.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 595 del codice
civile nel testo abrogato dall'art. 196 della legge 19 maggio 1975, n.
151 e dell'art. 599 del codice civile nella parte in cui richiama il
predetto art. 595.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1979.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO
GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA -
MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO
- LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN
- ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO
PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO
LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere

 
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