N. 209 SENTENZA 12 LUGLIO 1984
Deposito in cancelleria: 18 luglio 1984. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 204 del 25 luglio 1984. Pres. ELIA - Rel. ROEHRSSEN
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI E Dott. FRANCESCO SAJA - Prof. GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122 (Disposizioni varie per la previdenza e l'assistenza attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani "G. Amendola"), promosso con ordinanza emessa il 15 febbraio 1979 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Loreti Angela e Passalacqua Giuseppe, iscritta al n. 448 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 217 dell'anno 1979. Visto l'atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 16 settembre 1983 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen; udito l'Avvocato dello Stato Emilio Sernicola per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
Il tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, legge 9 novembre 1955, n. 1122, nella parte in cui esclude la pignorabilità delle pensioni dei giornalisti per crediti alimentari, in riferimento agli artt. 3, 24 e 29 Cost.. L'ordinanza osserva che l'indirizzo favorevole alla totale impignorabilità di talune pensioni (fra le quali quelle dei giornalisti) già espresso da questa Corte ha subito evoluzione in senso diverso, con sentenza n. 49 del 1976 e, soprattutto, con la sentenza n. 105 del 1977, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 12 del r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, nella parte in cui non prevede la pignorabilità, per crediti alimentari, degli assegni di integrazione corrisposti ai notai dalla Cassa nazionale del notariato, negli stessi limiti stabiliti dall'art. 2, n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 e cioè fino alla concorrenza di un terzo. A tale evoluzione fa riscontro anche un'accresciuta tutela legislativa dei crediti alimentari nell'ambito della famiglia, come risulta dalla normativa in materia di assegno al coniuge divorziato o separato (artt. 8, legge 1 dicembre 1970, n. 898 e 156, comma sesto, nuovo testo codice civile), in virtù della quale il giudice può disporre il sequestro "di parte dei beni" del coniuge obbligato ed ordinare a terzi, tenuti a corrispondere, anche periodicamente, somme di danaro (stipendi, pensioni, ecc.) all'obbligato, che "una parte" di esse venga versata direttamente all'avente diritto. L'ordinanza sottolinea poi che la violazione del principio di eguaglianza assume aspetti rilevanti nella disparità di trattamento che, dopo l'entrata in vigore delle leggi n. 898 del 1970 e n. 151 del 1975, si è determinata fra titolari di crediti alimentari (coniugi o ex coniugi) verso giornalisti professionisti in quiescenza (cui sia erogata la pensione dell'INPGI) i quali, ottenuta dal giudice la distrazione, in proprio favore, di una parte di detta pensione, abbiano poi conseguito, ad ogni scadenza mensile successiva, il relativo assegno e i titolari di identici crediti alimentari, verso la medesima categoria ai quali, per una qualsiasi ragione, sia sembrato inopportuno evocare in giudizio, immediatamente, il coniuge (o ex coniuge) debitore, ovvero sia stato impossibile ottenere, immediatamente, il relativo provvedimento dal giudice, o, comunque, difficoltoso farlo immediatamente eseguire. Il presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata. Si sostiene al riguardo che la Corte ha già affermato che il secondo comma dell'art. 38 Cost. attribuisce valore di principio fondamentale al diritto dei lavoratori di avere assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di vecchiaia ed a tal fine le pensioni per invalidità e vecchiaia rispondono al criterio di pubblico interesse che venga garantita la corresponsione di un minimum l'ammontare del quale è riservato all'apprezzamento del legislatore. Per altro verso, si sottolinea che questa Corte ha considerato che, malgrado le numerose disposizioni intervenute nel tempo nella disciplina dei rapporti di lavoro, permangono ancora sensibili differenze tra la disciplina del rapporto di impiego pubblico e quello privato, onde, dato che i giornalisti professionisti sono lavoratori dipendenti il cui rapporto è regolato dai contratti collettivi, discende che in mancanza di identità di situazione non possa inferirsi una non giustificata disparità di trattamento nella disciplina che il legislatore ha introdotto per i giornalisti professionisti rispetto a quella dei pubblici dipendenti o di altri settori. Neppure la normativa introdotta dall'art. 8 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 in tema di scioglimento del vincolo matrimoniale e dell'art. 37 della legge 19 maggio 1975, n. 151 in tema di separazione personale (conferendo al giudice il potere di ordinare ai terzi, debitori di stipendi o pensioni, verso il coniuge obbligato, di versarne direttamente all'altro che ne abbia diritto una quota), determinerebbe una non giustificata disparità di trattamento tra i coniugi che, conseguito il provvedimento giudiziale, realizzino il puntuale adempimento dell'obbligazione e quelli che, per non essersi avvalsi del provvedimento suddetto potrebbero non conseguire il soddisfacimento dei loro crediti. Infatti siffatta disparità non deriva dalla norma impugnata, ma consegue alla iniziativa stessa degli interessati e tale disciplina rientra nel novero di quelle tassative eccezioni introdotte dal legislatore al ripetuto criterio volto a garantire l'integrità delle pensioni di invalidità e vecchiaia, in vista della natura del credito vantato contro l'assicurato e della parte di pensione che risulterà disponibile in base al ponderato apprezzamento del magistrato.
Considerato in diritto:
1. - La Corte è chiamata a decidere se l'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122, sia costituzionalmente legittimo, in relazione agli artt. 3, 24 e 29 Cost., nella parte in cui esclude la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni, delle indennità e degli assegni corrisposti dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani. 2. - La questione è stata già esaminata da questa Corte, la quale con la sentenza 18 dicembre 1972, n. 214 ha escluso che l'art. 1 in parola violasse l'art. 3, primo comma, Cost.. Si osservò in tale occasione che non sussiste analogia fra la categoria dei giornalisti e le categorie di liberi professionisti alle quali si faceva riferimento nella ordinanza di rimessione e per le quali le pensioni, assegni ed altre indennità dovute dalle Casse di previdenza sono parzialmente pignorabili. Senonché nel caso presente viene denunciata anche la violazione degli artt. 24 e 29 Cost., e ciò impone alla Corte di riesaminare la questione medesima alla stregua di questi nuovi parametri. Sotto questo profilo la questione è fondata. 3. - Il problema che viene sottoposto alla Corte consiste nello stabilire se ed entro quali limiti il diritto dei familiari agli alimenti possa essere fatto valere sugli assegni pensionistici spettanti ai soggetti obbligati agli alimenti medesimi. Osserva la Corte che il diritto agli alimenti trova indubbiamente riconoscimento costituzionale nell'art. 29, primo comma Cost.. Non può dubitarsi che dal matrimonio come sorge l'obbligo di mantenere i figli (art. 30, primo comma, Cost.) così nasce anche l'obbligo di coloro che al matrimonio hanno dato vita di mantenersi reciprocamente, cioè l'obbligo di non lasciare prive dei necessari mezzi di vita le persone legate dai vincoli più stretti (coniugi, genitori, fratelli).L'obbligo degli alimenti costituisce, invero, una delle espressioni più significative, non soltanto sotto l'aspetto economico, del legame che si pone in essere con il matrimonio: si tratta di uno degli elementi costitutivi più rilevanti di quella famiglia che l'art. 29 definisce "società naturale fondata sul matrimonio" e che, per il successivo art. 31, deve essere agevolata con misure economiche ed altre provvidenze sia nella sua formazione sia nell'adempimento dei compiti relativi. Una applicazione di questi concetti, per quel che riguarda i lavoratori dipendenti, può rinvenirsi nell'art. 36, primo comma, Cost., il quale nel porre i criteri essenziali per la determinazione della retribuzione fa esplicito riferimento alle esigenze non soltanto del lavoratore, ma anche della famiglia che egli abbia costituita e verso la quale ha assunto, fra gli altri, l'obbligo del quale si è fatto cenno.Ciò premesso, il diritto agli alimenti incide sulle retribuzioni nonché sugli assegni, pensioni, indennità spettanti al lavoratore, cioè su tutti gli emolumenti che vengono percepiti da costui durante il corso del rapporto di lavoro o dopo la sua cessazione e che, a loro volta, trovano fondamento costituzionale nel già citato art. 36, secondo la giurisprudenza di questa Corte. Ne deriva che se la norma costituzionale, come si è detto, vuole che delle esigenze familiari si tenga conto ai fini della determinazione della retribuzione, sarebbe illogico che il lavoratore obbligato agli alimenti possa legalmente sottrarsi a questo suo obbligo dopo avere fruito o mentre fruisce del trattamento economico corrispondente alla situazione familiare.D'altronde, escludere ogni possibilità di far valere sugli assegni pensionistici in genere il diritto agli alimenti equivarrebbe a sopprimere questo diritto, lasciando - in violazione dell'art. 29, primo comma, Cost. - il suo titolare privo della possibilità di avere un qualche mezzo di sostentamento, mentre, per converso, ammetterlo a far valere il diritto sugli assegni del coniuge, del genitore, del figlio, ecc., significa soltanto limitare i mezzi di cui dispone quest'ultimo. Peraltro la entità dell'assegno o pensione goduta dall'obbligato deve operare sul quantum da accordare all'avente diritto. Ed infatti da un lato la norma generale contenuta nell'art. 438 cod. civ. stabilisce che gli assegni alimentari devono essere commisurati anche alle condizioni economiche dell'obbligato e dall'altro tutte le norme che consentono il pignoramento ed il sequestro degli assegni pensionistici pongono un limite massimo commisurato all'ammontare degli assegni stessi. L'art. 1 della legge n. 1122 del 1955, deve pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo in relazione all'art. 29, primo comma, Cost., rimanendo assorbita ogni altra questione di legittimità costituzionale. Quanto al limite entro il quale assegni ed indennità dell'obbligato possano essere assoggettati a pignoramento o sequestro, la Corte ritiene, anche in analogia a quanto affermato con la sentenza n. 105 del 1977, che si debba fare applicazione del disposto dell'art. 2, n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180.Questa norma, infatti, può essere considerata di carattere generale nella materia non solo perché l'art. 1 di detto decreto la rende applicabile ad una vasta serie di lavoratori dipendenti, ma anche perché è stata estesa a numerose altre categorie di soggetti per effetto dei richiami che ad essa ha fatto il legislatore in altre occasioni (legge 9 febbraio 1963, n. 16: "Istituzione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali"; legge 3 febbraio 1963, n. 100: "Istituzione della cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti"; legge 8 gennaio 1952, n. 6: "Istituzione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e procuratori").
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122 ("Disposizioni varie per la previdenza e l'assistenza attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani " G. Amendola "), nella parte in cui non prevede la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni, assegni e altre indennità dovute dalla Cassa di previdenza dei giornalisti "G. Amendola", negli stessi limiti stabiliti dall'art. 2, n. 1, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1984. F.to: LEOPOLDO ELIA - ANTONINO DE STEFANO - GUGLIELMO ROEHRSSEN - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO - ETTORE GALLO. GIOVANNI VITALE - Cancelliere
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