N. 71 SENTENZA 26 FEBBRAIO 1987-5 MARZO 1987
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: prof. Antonio LA PERGOLA; Giudici: prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giuseppe FERRARI, dott. Francesco SAJA, prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Vincenzo CAIANIELLO;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 18 delle disposizioni preliminari al codice civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 30 marzo 1984 dal Tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Pizzuto Amalia e Schneider Rolf, iscritta al n. 864 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 321 dell'anno 1984; 2) ordinanza emessa il 16 gennaio 1984 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra De La Fuente Carlos e Casini Maria, iscritta al n. 929 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13-bis dell'anno 1985; 3) ordinanza emessa l'11 gennaio 1985 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Lusitano Tommasa e Ayari Larbi, iscritta al n. 514 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, 1 serie speciale, dell'anno 1986; Udito nella Camera di Consiglio dell'11 dicembre 1986 il Giudice relatore Corasaniti.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del giudizio civile promosso da Carlos de La Fuente, cittadino cileno residente in Italia, avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso contratto con Maria Casini, cittadina italiana, il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 16 gennaio 1984 (R.O. 929/84), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 29, secondo comma, Cost., dell'art. 18 delle disposizioni sulla legge in generale, preliminari al codice civile. Osserva il giudice a quo che, in base al suindicato art. 18 (secondo cui "I rapporti personali tra coniugi di diversa cittadinanza sono regolati dall'ultima legge nazionale che sia stata loro comune durante il matrimonio o, in mancanza di essa, dalla legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio"), applicabile, secondo la prevalente opinione, al fine dell'individuazione della legge regolatrice del divorzio, le norme da applicare nella specie sono quelle del diritto cileno, in quanto non risulta che i coniugi abbiano mai avuto una nazionalità comune ed è certo che il marito era di nazionalità cilena anche all'epoca del matrimonio. Tuttavia, la legge cilena stabilisce che il matrimonio si scioglie solo per la morte naturale di uno dei coniugi e per la declaratoria della sua nullità. Pertanto, il De La Fuente e la Casini non possono, in applicazione della legge cilena, ottenere lo scioglimento del vincolo coniugale - sicché il giudizio dovrebbe concludersi con una pronuncia di inammissibilità - mentre potrebbero ottenerlo in base alla legislazione italiana, ricorrendo nella fattispecie i presupposti di cui all'art. 3, n. 2, lett. b), della legge 1 dicembre 1970, n. 898. Né, d'altra parte, sussiste il limite all'efficacia della normativa straniera nel nostro ordinamento, di cui all'art. 31 delle preleggi, in quanto non può ritenersi contraria all'ordine pubblico internazionale (come definito da Cass. n. 2414 del 1980) la normativa straniera che non contempla la dissolubilità del vincolo coniugale: non solo perché nessuna dichiarazione universale o convenzione internazionale riconosce il divorzio come istituzione fondamentale, ma anche perché esso non incide sui diritti primari dell'uomo, come è dimostrato dal fatto che molte nazioni di civiltà affine lo hanno ignorato fino a tempi recenti o tuttora lo ignorano, senza che in ciò si ravvisi violazione di essenziali valori giuridici, costituenti patrimonio della comunità internazionale. Ciò premesso, il collegio rimettente rileva che l'art. 18 delle preleggi, attuando, in mancanza di una legge nazionale comune, un criterio di collegamento riferito alla posizione di uno solo dei soggetti del rapporto - il marito - si pone in contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost., che sancisce l'eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso, e con l'art. 29, secondo comma, Cost., che ribadisce l'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Escluso - alla stregua di precedenti pronunzie della Corte costituzionale (sentt. n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983) - che l'esigenza di realizzare l'unità familiare possa prevalere sul princi'pio di eguaglianza e che il rispetto delle regole del diritto internazionale privato possa giungere al punto di ledere la posizione del soggetto nei suoi fondamentali rapporti con lo Stato, la norma in esame sembra ledere gli invocati parametri costituzionali. Da un lato, infatti, essa determina una discriminazione tra il coniuge italiano di sesso maschile - che può contare sull'applicazione della legge italiana nei rapporti nascenti dal matrimonio con una straniera - e quello di sesso femminile - che, invece, deve sottostare alla legge nazionale dello sposo, con la inammissibile conseguenza che, ove quest'ultima non preveda l'istituto del divorzio, costei viene ad essere privata di una delle più significative forme di tutela collegate all'appartenenza alla nostra comunità statuale. Dall'altro, la norma crea una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non può giustificarsi con il riferimento alla riserva prevista nel dettato costituzionale a garanzia dell'unità familiare, sia perché è stato ormai eliminato ogni fondamento storico e logico al privilegio accordato alla posizione di capofamiglia del marito, sia perché la norma non giova certo all'unità familiare quando ormai è definitivamente venuta meno la comunione materiale e spirituale dei coniugi. 2. - Il Tribunale di Palermo, con ordinanza emessa il 30 marzo 1984 (r.o. n. 864/84), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, sempre in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 29, secondo comma, Cost., del suindicato art. 18 delle preleggi. Nella specie, Amalia Pizzuto, esponendo di aver contratto matrimonio con il cittadino tedesco Rolf Schneider, aveva chiesto che il Tribunale pronunziasse la separazione personale tra i coniugi. A seguito della mancata iscrizione a ruolo della causa, il giudizio era stato riassunto dal marito, il quale aveva chiesto che fosse applicata alla controversia la legge italiana, mentre la Pizzuto aveva sostenuto l'applicabilità del diritto tedesco, con conseguente declaratoria di inammissibilità della domanda di separazione, non essendo previsto questo istituto in quell'ordinamento. Il Tribunale adito, premesso che il caso di specie è regolato dall'art. 18 delle preleggi, che si riferisce ai rapporti personali tra i coniugi anche nel loro aspetto patologico (Cass. n. 189 del 1981), e che la questione è rilevante ai fini della decisione di merito, rileva, anzitutto, che la citata disposizione, che dichiara applicabile la legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio, è ispirata, come spiegato dal Guardasigilli dell'epoca, alla preminenza che al marito era riconosciuta nell'ambito della famiglia e viola, pertanto, in primo luogo, l'art. 29, secondo comma, Cost., creando una ingiustificata disparità di trattamento tra i coniugi, la cui eguaglianza dinanzi alla legge ha trovato riconoscimento sia in numerose sentenze della Corte costituzionale (nn. 64/61, 46/66, 126/68, 133/70, 87/75), sia nella riforma del diritto di famiglia, introdotta con la legge n. 151 del 1975. Né può ritenersi che la norma censurata giovi all'unità familiare richiamata nello stesso art. 29 Cost., in quanto, come affermato dalla Corte nella sentenza n. 138/70, il limite dell'unità familiare si traduce nella irrilevanza di quelle ragioni di differenziazione nel trattamento, che siano diverse da quelle concernenti la predetta unità. Sarebbe, poi, violato anche l'art. 3, primo comma, Cost., in quanto la prescelta circostanza di collegamento può determinare un trattamento diverso e discriminatorio, ove si pongano in comparazione cittadini italiani di sesso diverso e soggetti di distinti rapporti coniugali, nel senso che la cittadina italiana coniugata con uno straniero può ricevere un trattamento giuridico svantaggioso, per l'applicazione della legge nazionale del coniuge alla quale è tenuta a sottostare, rispetto al cittadino italiano, coniugato con una straniera, il quale può invece contare sull'applicazione della sua legge nazionale più vantaggiosa. 3. - Il Tribunale di Torino, con ordinanza emessa l'11 gennaio 1985 (Reg. ord. n. 514/1985), ha sollevato questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 18 delle preleggi, in riferimento agli articoli 2, 3, primo comma, e 29, secondo comma, Cost. Nella specie, era stata proposta domanda di separazione personale da parte di Tommasa Lusitano, cittadina italiana, nei confronti del coniuge Ayari Larbi, cittadino tunisino, il quale aveva eccepito l'improcedibilità del giudizio di separazione, non essendo tale istituto previsto dalla legge tunisina. Osserva il Tribunale che, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile per dirimere la controversia, occorre por mente all'art. 18 delle preleggi, con conseguente applicabilità - in difetto di legge nazionale comune - della legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio, e con l'ulteriore effetto di pervenire ad una declaratoria di inammissibilità della domanda, non essendo effettivamente previsto l'istituto della separazione dalla legge tunisina. Tale conclusione, tuttavia, appare al giudice a quo lesiva di vari precetti costituzionali. In primo luogo, dell'art. 2 Cost., apparendo il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l'omologazione di quella consensuale specifica e giustificata applicazione dell'art. 2 Cost. (Corte cost. sent. n. 181/1976). Inoltre, degli articoli 3, primo comma, e 29, secondo comma, Cost., non apparendo giustificata la prevalenza attribuita alla legge nazionale del marito a fronte della sancita posizione di parità fra i coniugi. Osserva, tuttavia, il Tribunale che la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 18 creerebbe una "lacuna legis", che condurrebbe inevitabilmente a privilegiare il diritto nazionale, in contrasto con la tendenza a far sì che le norme italiane di conflitto continuino a richiamare, su basi di parità, per gli stessi tipi di casi, la "lex fori" ed il diritto straniero. Onde evitare ciò si potrebbe - ad avviso del giudice a quo - supplire alla mancanza di cittadinanza comune dei coniugi ricorrendo ad un criterio di tipo domiciliare, come il loro domicilio o residenza comuni, che costituiscono collegamenti reali ed importanti, in quanto il domicilio coniugale e, in mancanza, la residenza comune dei coniugi hanno in vista quello che ben può essere definito come il centro della vita familiare.
Considerato in diritto
1. - I giudizi cui hanno dato luogo le ordinanze in epigrafe possono essere riuniti e definiti con unica sentenza, in quanto le questioni con esse sollevate hanno il medesimo oggetto. Infatti i giudici a quibus hanno ritenuto di doversi avvalere - al fine di individuare la norma applicabile per la decisione di cause concernenti la cessazione degli effetti civili del matrimonio (divorzio) fra cittadino straniero e cittadina italiana (Tribunale di Roma) e la separazione personale fra coniugi rispettivamente cittadino straniero e cittadina italiana (Tribunale di Torino e Tribunale di Palermo) - della norma di collisione contenuta nell'art. 18 delle disposizioni preliminari al nostro codice civile, in quanto stabilisce l'applicabilità dell'ultima legge nazionale comune ai coniugi, e, in mancanza, della legge nazionale del marito al tempo del matrimonio. E, ciò posto, hanno dubitato (in riferimento a leggi straniere che non prevedono gli istituti suindicati) della legittimità di tale norma in riferimento agli articoli 3, comma primo, e 29, comma secondo, Cost. (Tribunale di Roma), agli articoli 3 e 29 Cost. (Tribunale di Palermo), agli articoli 2, 3, comma primo, e 29, comma secondo, Cost. (Tribunale di Torino). 2. - Le ordinanze motivano sulla rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale affermando, per un verso, la necessità di far ricorso alla comune normativa sui conflitti fra norme nello spazio; per altro verso, fra l'art. 17 (stato e capacità) e l'art. 18 (rapporti personali fra i coniugi) delle disposizioni generali premesse al codice civile, optando per quest'ultimo, sulla considerazione che per "rapporti personali" ai sensi dell'art. 18 deve intendersi anche la patologia dei detti rapporti. È superflua pertanto l'ulteriore affermazione, contenuta nelle ordinanze dei Tribunali di Roma e di Torino, che l'applicazione della normativa nazionale del marito straniero non troverebbe ostacolo nell'ordine pubblico internazionale per il solo fatto di non prevedere il divorzio o la separazione personale fra i coniugi: affermazione da ritenere anche essa fatta ai soli fini della motivazione sulla rilevanza della sollevata questione di legittimità (peraltro, secondo l'ordine logico, l'art. 31 delle disposizioni preliminari al codice civile entra in gioco solo quando sia stata individuata la norma straniera applicabile). Va quindi senz'altro esaminata nel merito la questione di legittimità costituzionale come sopra sollevata. 3. - La norma impugnata si inspira al princìpio di nazionalità, ma, al fine di superare le difficoltà nascenti dall'applicazione cumulativa di normative "nazionali" diverse, lo integra con il criterio della prevalenza della legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio. Proprio tale criterio è specificamente impugnato in quanto ritenuto contrario ai princìpi, accolti nella nostra Costituzione (così come nella maggior parte degli ordinamenti costituzionali stranieri) del divieto di ogni discriminazione fra i sessi e dell'eguaglianza morale e giuridica fra i coniugi, dei quali il secondo è specificazione del primo. È noto come il nostro ordinamento si sia andato adeguando agli indicati imperativi costituzionali, e nel tale adeguamento è dovuto anche a pronunce di questa Corte. Per quanto concerne in particolare il secondo dei due princìpi, l'esempio più evidente è costituito dalla riforma del diritto di famiglia mediante la legge 19 maggio 1975, n. 151, con la quale è stata abbandonata la tradizionale concezione della preminemza del marito nell'organizzazione della famiglia. Ma, accanto a quella dello specifico settore del diritto di famiglia, non sono meno degne di nota modifiche di altre normative, ad opera del legislatore o di pronunce ablative di questa Corte, mediante l'eliminazione di norme che apparivano inspirate alla detta concezione: cfr. la sentenza di questa Corte n. 30 del 1983, con la quale è stato dichiarato illegittimo, per contrasto con gli articoli 3 e 29 Cost., l'art. 1 della legge 13 giugno 1912, n. 555, in quanto non prevedeva l'acquisto della cittadinanza italiana anche per nascita da madre cittadina (ma altresì, anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 151 del 1975, la sentenza n. 87 del 1975, con la quale è stato dichiarato illegittimo, alla stregua degli stessi parametri, l'art. 10, comma terzo, della stessa legge n. 555, in quanto prevedeva la perdita della cittadinanza italiana da parte della moglie che andasse sposa a uno straniero, se per effetto del matrimonio acquistasse la cittadinanza di lui). 4. - Occorre ora chiedersi se analoghi risultati di adeguamento a Costituzione debbano ritenersi imposti per le norme risolutive dei conflitti (norme di diritto internazionale privato). Ciò fu dapprima negato in dottrina, con riferimento agli articoli 3 e 29 Cost. In relazione a un dibattito sviluppatosi anche fuori del nostro Paese, sull'asserito presupposto del carattere "neutro" o "neutrale" delle norme di collisione, fu sostenuto che esse, non disciplinando direttamente il rapporto controverso, non siano idonee a incidere gli interessi in questo coinvolti e quindi neppure la sfera di operatività della Costituzione nella relativa materia (quasi a conferma, si argomentava che la legge nazionale del marito, eventualmente indicata come applicabile, avrebbe addirittura potuto essere in concreto più favorevole alla moglie: considerazione, alla quale si obbiettava che la prevalenza riconosciuta alla legge nazionale di uno dei soggetti coinvolti costituisce sempre per l'altro una discriminazione sfavorevole, per la minore probabilità che egli ha di conoscere un diritto non proprio e quindi di avvalersene nel modo più conveniente). La giustificazione più profonda dell'orientamento negativo continuò a ritrovarsi nell'esigenza di contemperare il princìpio di nazionalità con quello dell'unicità della normativa applicabile. È tuttavia un dato comparatistico di qualche rilevanza che in alcuni Paesi europei sensibili a entrambi si preferì ricorrere a criteri diversi, quali quelli del domicilio o della residenza degli sposi, se comune in un dato momento, mentre, in altri Paesi, all'introduzione, peraltro più recente, del princìpio costituzionale della eguaglianza morale e giuridica fra i coniugi, seguì comunque, nel breve periodo, l'eliminazione legislativa di norme di collisione, che (in materia di divorzio) si inspiravano alla prevalenza della legge nazionale del marito. Ma la riluttanza ad ammettere la sindacabilità costituzionale delle norme di diritto internazionale privato e la configurabilità di un contrasto costituzionalmente rilevante fra una norma di rinvio inspirata alla prevalenza della legge nazionale del marito e i princìpi costituzionali di eguaglianza fra uomo e donna e fra coniugi è ormai largamente superata dalla dottrina, da ultimo anche in considerazione di recenti giurisprudenze costituzionali di altri Paesi europei (cfr. le decisioni del Tribunale costituzionale della Repubblica federale tedesca 4 maggio 1971, 22 febbraio 1983 e 8 gennaio 1985: la prima affermativa della sindacabilità costituzionale delle norme di collisione e le altre due dichiarative della illegittimità di norme di rinvio che sancivano l'applicabilità della legge del marito, indipendentemente dal contenuto della norma sostanziale applicabile). 5. - Tutto ciò posto, la questione appare fondata. Intanto non può non avere particolare peso l'orientamento più recente della nostra legislazione e di questa Corte nel senso dell'adeguamento agli imperativi costituzionali suindicati sia della materia del diritto familiare, sia di altre materie che avevano recepito i princìpi della prima. Non può, comunque, essere condivisa la tesi che, argomentando dalla supposta "neutralità" delle norme di diritto internazionale privato, perviene a negare la stessa configurabilità di un contrasto di esse con gli imperativi costituzionali in argomento (e, in definitiva, con qualsiasi altro). Nella formulazione dei criteri per l'individuazione della norma (interna o straniera) applicabile - formulazione che è l'oggetto suo proprio - la norma di collisione, anche se prescinde dal modo in cui gli interessi tipici coinvolti nel rapporto sono concretamente regolati dalla norma stessa, nondimeno può inspirarsi a princìpi (o valori) sottesi alla disciplina civilistica interna dell'istituto ovvero ad altri princìpi (o valori). Orbene, in entrambi tali casi, la norma di collisione adotta una scelta di ordine normativo, che non può non confrontarsi con le scelte di fondo a livello costituzionale rispetto alle quali assuma rilievo il princìpio (o valore) cui essa si inspira. Del resto nella giurisprudenza di questa Corte non si è mai dubitato della configurabilità di questioni di legittimità costituzionale anche in altri casi nei quali, al pari di quello delle norme di collisione, la norma denunciata non ha la funzione di regolare direttamente rapporti (ad esempio là dove sia impugnata una legge-delega nei princìpi o nei criteri direttivi con essa enunciati, cfr. sentenze n. 158/85 e n. 226/76): casi nei quali il sindacato si attua proprio verificando la compatibilità fra il princìpio (o valore) implicito, o addirittura espresso, nella norma impugnata e un princìpio (o valore) costituzionale. Orbene la scelta adottata dalla norma impugnata è senza alcun dubbio inspirata al princìpio che si concreta nel riconoscimento al marito di una posizione preminente nella famiglia. E non può negarsi che il detto princìpio si pone in contrasto con le scelte di fondo operate dall'art. 3, comma primo, e dall'art. 29, comma secondo, della Costituzione. In relazione a tali parametri - i soli pertinenti - va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata. Mentre non può questa Corte (in quanto ciò inporterebbe sostituirsi all'interprete o addirittura al legislatore nella scelta fra più soluzioni ipotizzabili) individuare o addirittura determinare la norma di collisione cui far riferimento, o la stessa norma applicabile, con il dichiarare mediante sentenza additiva, come propone, fra l'altro, il Tribunale di Torino, che la norma impugnata sarebbe illegittima in quanto non prevede un criterio fondato sul domicilio o sulla residenza comune dei coniugi, o in quanto non indica come normativa applicabile quella che prevede il divorzio o la separazione personale, considerati questi (sempre secondo il Tribunale di Torino) quale oggetto di diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi di cui in epigrafe, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 delle diposizioni preliminari al codice civile, nella parte in cui, per il caso di mancanza di legge nazionale comune ai coniugi, stabilisce che si applica la legge nazionale del marito al tempo del matrimonio. Così deciso in Roma, in Camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 26 febbraio 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA Il Redattore: CORASANITI Depositata in cancelleria il 5 marzo 1987. Il direttore della cancelleria: VITALE
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