N. 613 SENTENZA 16-30 DICEMBRE 1987
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma, del d.l.l. 21 novembre 1945, n. 722 ("Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali"), promosso con ordinanza emessa il 5 novembre 1980 dal T.A.R. dell'Umbria, iscritta al n. 670 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19 dell'anno 1982; Udito nella camera di consiglio del 28 ottobre 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 5 novembre 1980 emessa nel corso del giudizio sul ricorso proposto da Caponi Gabriella contro l'I.N.P.S., il Tribunale Amministrativo Regionale dell'Umbria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 37 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma primo, del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722 ("Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali"), nella parte in cui non riconosce alla donna lavoratrice il diritto alla corresponsione delle quote aggiunte di famiglia per il marito disoccupato a carico, attribuendole solo se questi sia assolutamente e permanentemente inabile al lavoro e sprovvisto di risorse per provvedere al mantenimento proprio e della famiglia. Nel giudizio innanzi alla Corte non vi è stata costituzione di parti né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.- Oggetto della questione di legittimità costituzionale è l'art. 3, comma primo, del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722 ("Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali"), che riconosce alla donna lavoratrice nelle pubbliche amministrazioni il diritto alla corresponsione delle quote aggiunte di famiglia per il marito disoccupato a carico, attribuendo tali emolumenti solo se questi sia assolutamente e permanentemente inabile al lavoro e privo di risorse per provvedere al mantenimento proprio e della famiglia. Il giudice a quo rileva che la disposizione impugnata - ispirata ad una concezione della famiglia non più rispondente alle mutate condizioni sociali che hanno trovato la loro regolamentazione nel "nuovo diritto di famiglia" - dà luogo ad una ingiustificata discriminazione dei cittadini in relazione al sesso (art. 3, comma primo, Cost.), al principio dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29, comma secondo, Cost.) al dovere della Repubblica di agevolare la formazione delle famiglie con misure economiche ed altre provvidenze (art. 31, primo comma, Cost.) e al principio (tutelato dall'art. 37, comma primo, Cost.) che garantisce alla donna lavoratrice gli stessi diritti che spettano al lavoratore. 2.- Questa Corte, nell'esaminare sotto i profili denunciati altre norme contenenti analoga limitazione, ha affermato nelle sentenze n. 105 del 1980 e n. 83 del 1983 che gli assegni familiari dei lavoratori privati e le quote aggiunte di famiglia dei pubblici dipendenti non possono collegarsi ad una concezione dell'organizzazione domestica basata sulla presunzione di estraneità della donna al mantenimento della famiglia. Detta concezione è da ritenersi in contrasto con il principio di parità dei coniugi, discendente direttamente dagli artt. 3 e 29 della Costituzione, per cui gli emolumenti retributivi familiari devono, essere, in ogni caso, corrisposti alla moglie lavoratrice alle stesse condizioni previste per il marito lavoratore. A questo principio si è uniformato anche il legislatore, perché l'art. 9 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 - non applicabile, ratione temporis, al rapporto controverso nel giudizio a quo - è ispirato all'esigenza di equiparazione della moglie al marito, nel regime familiare e nella regolazione dei rapporti di lavoro. Nella nuova indicata normativa è difatti prevista la corresponsione, in alternativa, delle quote aggiunte di famiglia alla donna lavoratrice o pensionata, alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato, nel mentre sono state abrogate tutte le disposizioni legislative in contrasto, ivi compresa la norma oggetto del presente incidente.3.- Come si è già rilevato, la norma impugnata è quella che tuttavia regola, ratione temporis, i rapporti oggetto del giudizio a quo, onde ne deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale, relativamente alla parte in cui non dispone che le quote aggiunte di famiglia, spettanti per il coniuge a carico, debbano essere corrisposte alla moglie lavoratrice alle stesse condizioni previste per il marito lavoratore.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma primo, del decreto legislativo luogotenenziale 21 novembre 1945, n. 722 ("Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali"), nella parte in cui esclude che le quote aggiunte di famiglia spettanti per il coniuge a carico debbano essere corrisposti anche alla moglie lavoratrice alle stesse condizioni previste per il marito lavoratore. Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1987.
Il Presidente: SAJA Il redattore: CAIANIELLO Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1987. Il direttore della cancelleria: MINELLI
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