N. 625 SENTENZA 16-30 DICEMBRE 1987
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 263 del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 5 giugno 1984 dal Tribunale di Lucca nel procedimento civile vertente tra Marsili Luigi e Pendibene Roberto ed altre, iscritta al n. 1139 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59- bis dell'anno 1985; 2) ordinanza emessa il 21 ottobre 1986 dal Tribunale di Ravenna nel procedimento civile vertente tra Bisulli Colombo e Benini Jonathan ed altri, iscritta al n. 828 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1987; Udito nella camera di consiglio del 25 novembre 1987 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 5 giugno 1984 il Tribunale di Lucca, nel procedimento civile vertente tra Marsili Luigi e Pendibene Roberto e altre, sollevava questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 29 della Costituzione, dell'art. 263, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui ammette l'impugnativa del riconoscimento, anche dopo l'avvenuta legittimazione, da parte di chiunque vi abbia interesse, senza limiti di tempo. Tale impugnativa, osserva il giudice a quo, una volta accolta, porrebbe nel nulla sia la legittimazione che il riconoscimento, col risultato che il minore verrebbe a perdere non solo lo status di figlio legittimo, ma anche quello di figlio naturale riconosciuto. Un riconoscimento in contrasto con lo status di figlio legittimato è oggi precluso dallo art. 253 del codice civile (nel testo modificato dalla legge 19 maggio 1975, n. 151): con tale norma, secondo il giudice a quo, il legislatore ha inteso tutelare la famiglia legittima "privilegiando i vincoli di affetto rispetto a quelli di sangue che non hanno dato buona prova". Viceversa l'art. 263 del codice civile, ammettendo l'impugnativa del riconoscimento, anche dopo la legittimazione, da parte di chiunque vi abbia interesse, consente di sottrarre il minore alla famiglia legittima "per ricondurlo, nella migliore delle ipotesi, in una situazione deteriore di figlio naturale di genitori che hanno vincoli matrimoniali con persone diverse". Pertanto l'incompatibilità tra le due norme (artt. 253 e 263, secondo comma, cod. civ.), concretandosi in un pregiudizio gravissimo per il minore che ha acquistato lo status di figlio legittimo, si risolve, secondo il giudice a quo, nella violazione dell'art. 29 della Costituzione, che garantisce e tutela i diritti della famiglia legittima fondata sul matrimonio e quindi anche la condizione dei minori che da quel matrimonio hanno tratto la fonte della loro legittimazione. Insomma il favor legitimitatis deve, ad avviso del giudice a quo, prevalere sul favor veritatis quando ad impugnare il riconoscimento sia un terzo estraneo al nucleo familiare. L'ordinanza si richiama in proposito alla sentenza di questa Corte n. 70 del 23 giugno 1965, ove, in sede di esame del rapporto tra i diritti del preteso padre naturale e i diritti costituzionali del figlio che ha ormai acquistato lo status di figlio legittimo, si è stabilito che l'incertezza sullo status ha di per sé effetti negativi sulla formazione della personalità del minore ed è causa di grave turbamento in seno alla famiglia legittima nella quale il minore stesso è inserito. 2. - Con ordinanza del 21 ottobre 1986 il Tribunale di Ravenna, nel procedimento civile vertente tra Bisulli Colombo e Benini Jonathan ed altri, sollevava, in termini sostanzialmente analoghi, questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, secondo comma, del codice civile, in riferimento, oltre che all'art. 29, anche all'art. 30 della Costituzione, che riconosce e garantisce pari tutela giuridica e sociale ai figli nati fuori dal matrimonio ed ai figli legittimi. Osserva in proposito il giudice a quo, richiamando anche l'art. 261 del codice civile, che la riforma del diritto di famiglia è stata improntata alla equiparazione dei diritti dei figli naturali riconosciuti rispetto a quelli dei figli legittimi.
Considerato in diritto
1. - Le due ordinanze in epigrafe pongono identiche questioni, che vanno decise con unica sentenza. 2. - Il Tribunale di Lucca, con ordinanza del 5 giugno 1984 (R.O. n. 1139/1984), e il Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 21 ottobre 1986 (R.O. n. 828/1986), sollevano questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui ammette l'impugnativa del riconoscimento per difetto di veridicità, anche dopo la legittimazione, da parte di chiunque vi abbia interesse, per il dubbio ch'esso contrasti a) con l'art. 29 della Costituzione, che garantisce e tutela i diritti della famiglia legittima fondata sul matrimonio e quindi anche la condizione dei minori, che da quel matrimonio hanno tratto la fonte della loro legittimazione e b) con l'art. 30 della Costituzione, che riconosce e garantisce pari tutela giuridica e sociale ai figli nati fuori del matrimonio e a quelli legittimi. 3. - La questione non è fondata. I giudici a quibus istituiscono un confronto tra l'art. 263 e l'art. 253 del codice civile. Il primo consente l'impugnazione del riconoscimento, per difetto di veridicità, all'autore del riconoscimento, a colui che è stato riconosciuto e a chiunque vi abbia interesse anche dopo la legittimazione e senza limite di tempo. Il secondo vieta il riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato. Le due norme sarebbero ispirate da opposte e confligenti finalità. L'art. 253 del codice civile mirerebbe a tutelare la famiglia degli affetti, nella quale la persona si trova in qualità di figlio legittimo o legittimato, anche contro il legame del vero sangue. L'art. 263 del codice civile, al contrario, minaccerebbe permanentemente, data l'imprescrittibilità dell'azione, anche ad opera di un terzo estraneo, l'unità della famiglia, sottraendovi il figlio legittimato per condurlo nella deterior condicio di figlio naturale non riconosciuto, dato che l'impugnativa del riconoscimento, per difetto di veridicità, caduca ad un tempo riconoscimento e legittimazione. Delle due norme, l'una, l'art. 253 del codice civile, sarebbe espressione di valori costituzionali, quali quelli contenuti nell'art. 29 della Costituzione, che riconosce i diritti della società familiare fondata sul matrimonio, e nello art. 30 della Costituzione, che assicura ogni tutela giuridica e sociale ai figli nati fuori del matrimonio, compatibilmente con i diritti dei membri della famiglia legittima. L'altra, l'art. 263 del codice civile, apparirebbe in contrasto con detti precetti costituzionali. 4. - Nella prospettazione dei giudici a quibus, l'art. 253 del codice civile funziona come tertium comparationis tra l'impugnato art. 263 del codice civile e i parametri costituzionali invocati. Ma le due norme non sono tra loro comparabili, perché regolano oggetti non omogenei: a) il riconoscimento da parte di un genitore esterno alla famiglia nella quale il figlio vive nello status di legittimo o legittimato; b) l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, da parte del genitore che ha già effettuato il riconoscimento, del figlio riconosciuto e del terzo che vi abbia interesse. Non è pertanto causa di contrasto se l'una, l'art. 253 del codice civile, è ispirata al favor per la stabilità della famiglia legittima - ed entro di essa dello stato di figlio legittimo o legittimato - e l'altra, l'art. 263 del codice civile, al favor per l'accertamento della verità biologica del rapporto di filiazione. A diversi e indipendenti fini dirette, esse sono secondo ragione diversamente orientate: se può essere provata la falsità del riconoscimento proprio o altrui, non può ovviamente essere più oltre garantita la stabilità di una finzione, quale si riduce nella specie la filiazione legittimata; se, invece, si volesse procedere ad un riconoscimento senza la previa dimostrazione del difetto di veridicità di quello altrui, è giusto che debba prevalere su di esso - fino ad impedirlo come inammissibile - la conservazione dello status di figlio legittimato. 5. - Entrambi i giudici a quibus sospettano la incostituzionalità dell'art. 263 del codice civile nella parte in cui "ammettendo l'impugnativa del riconoscimento, anche dopo la legittimazione, da parte di chiunque vi abbia interesse, consente di sottrarre il minore alla famiglia legittima, per riportarlo, nella più favorevole delle ipotesi, nella situazione deteriore di figlio naturale di genitori che hanno vincoli matrimoniali con persone diverse". Ma il minore è parimenti privato della famiglia legittima quando sia il genitore ad impugnare la veridicità del suo proprio riconoscimento o quando sia egli stesso, il minore riconosciuto, a promuovere l'impugnativa. Ciascuno dei tre legittimati ad impugnare per difetto di veridicità il riconoscimento - l'autore medesimo del riconoscimento, il riconosciuto e il terzo - determina lo stesso effetto dell'uscita del minore dalla famiglia ove egli si trova in forza del riconoscimento e susseguente legittimazione. Non si può dunque far risalire l'effetto, che si presume violare valori costituzionali, solo all'impugnativa del terzo. È tutta intera la norma che andrebbe allora indubbiata. Ma si è visto già sopra che, dei parametri costituzionali invocati, l'art. 29 della Costituzione non può avere forza per sostenere un vincolo familiare che non sia contemporaneamente naturale e legale. Quanto al secondo parametro, l'art. 30, terzo comma, della Costituzione, che garantisce tutela ai figli nati fuori del matrimonio, anch'esso non ha forza di conservare ai riconosciuti e legittimati la intangibilità dello status acquisito, se questo venga privato del fondamento della verità della filiazione. Questa Corte ha già altra volta osservato che la evoluzione della coscienza collettiva, che il legislatore del 1975, nel riformare il diritto familiare, ha inteso interpretare, accorda preminenza al fatto della procreazione sulla qualificazione giuridica della filiazione: "questa preminenza non costituisce sopraffazione, né tanto meno negazione del valore legittimità, posto che di legittimità in senso sostanziale metagiuridico si può parlare solo quando l'apparenza del rapporto di filiazione corrisponde alla realtà della procreazione" (sent. n. 134/1985). Diritto e natura dunque non possono contrapporsi, quando è in discussione il vincolo genetico, in base al principio "civilis ratio iura naturalia corrumpere non potest". per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, secondo comma, del codice civile, sollevata, in riferimento all'art. 29 della Costituzione, dal Tribunale di Lucca con ordinanza del 5 giugno 1984 (R.O. n. 1139/1984) e, in riferimento agli artt. 29 e 30 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Ravenna con ordinanza del 21 ottobre 1986 (R.O. n. 828/1986). Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1987.
Il Presidente: SAJA Il redattore: CASAVOLA Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1987. Il direttore della cancelleria: MINELLI
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