Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0644 del 1988 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: legge 222/1984 art.1 comma 4:
-Argomento sistematico: c) concettualistico (argomento dogmatico)
-Argomento teleologico (ipotesi del legislatore provvisto di fini)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.29 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.38 comma 1:
-Riferimento alla discrezionalità del legislatore (manca "norma a rime obbligate": no analogia iuris)
-Giustizia come convenienza (applicazioni residuali)
-Riferimento alla discrezionalità del legislatore (manca "norma a rime obbligate": no analogia iuris)

N. 644
SENTENZA 8-10 GIUGNO 1988

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof.
Luigi MENGONI, avv. Mauro FERRI, prof. Enzo CHELI;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge
12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina dell'invalidità
pensionabile) promosso con ordinanza emessa il 9 luglio 1987 dal
Pretore di Pisa nel procedimento civile vertente tra Bernacchi
Bandecchi Loriana e l'I.N.P.S., iscritta al n. 560 del registro
ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1987;
Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonché l'atto
d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice
relatore Renato Dell'Andro;
Uditi l'avv. Luigi Maresca per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato
Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 9 luglio 1987 il Pretore di Pisa ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 e 38 Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 12
giugno 1984, n. 222, nella parte in cui dispone che, per la
valutazione delle condizioni economiche richieste per il diritto
all'integrazione, nel limite massimo del trattamento minimo,
dell'assegno d'invalidità, debbano considerarsi anche i redditi del
coniuge dell'invalido.
Il giudice a quo osserva che la normativa impugnata determina una
disparità di trattamento tra invalidi coniugati e non coniugati a
favore di questi ultimi; ed osserva anche che non vale a giustificare
tale discriminazione il fatto che l'appartenenza ad un nucleo
familiare consenta, almeno di regola, all'invalido, grazie alla
riduzione di spese nonché all'assistenza e collaborazione del
coniuge, d'avere i mezzi necessari per vivere senza che occorra un
intervento assistenziale dello Stato (imposto, altrimenti, dall'art.
38 Cost.): infatti, come è stato notato nella sentenza n. 179 del
1976 della Corte costituzionale, data l'estrema varietà delle
situazioni concrete, non può essere escluso che gli oneri connessi
alla formazione della famiglia compensino il risparmio dovuto alla
convivenza.
Inoltre, in tal modo, secondo l'assunto sostenuto nell'ordinanza
di rimessione, verrebbe ad essere penalizzata la famiglia legittima a
vantaggio di quella di fatto, in evidente contrasto con gli artt. 29
e 31 Cost. Peraltro, tutto ciò potrebbe costituire incentivo per i
coniugi alla separazione o, comunque, a separazioni fittizie aventi
il solo scopo d'eludere la conseguenza, sul piano assistenziale, del
cumulo dei redditi familiari.
Il giudice a quo ritiene, infine, che escludere o limitare
l'intervento assistenziale dello Stato a favore dell'invalido in
relazione alla consistenza reddituale del coniuge equivalga ad
impedire all'invalido stesso di contribuire in misura rilevante
all'educazione, istruzione e mantenimento dei figli, ponendolo,
all'interno della famiglia, in uno stato d'inferiorità, mentre, in
base agli artt. 3 e 31, secondo comma, Cost., il matrimonio deve
essere fondato sull'eguaglianza non soltanto giuridica ma anche
morale dei coniugi.
2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
In primo luogo, l'Avvocatura afferma che, nella propria
discrezionale competenza d'intervento assistenziale, il legislatore
è libero d'esercitare le sue scelte, purché nei limiti della
ragionevolezza. La disparità di trattamento tra coniugati e non
coniugati, posta in essere dalla normativa impugnata, trova, a parere
dell'Avvocatura, la sua giustificazione in una situazione di fatto,
difforme e non equiparabile, che sottende, normalmente, una
ripartizione di spese, nell'ambito della famiglia, sulla base
dell'esistenza fra coniugi dell'obbligo d'assistenza reciproca
garantito giuridicamente.
La normativa impugnata, sempre a parere dell'Avvocatura generale
dello Stato, non contrasta neppure con l'obbligo d'assistenza dello
Stato a favore degli invalidi ex art. 38 Cost., che continua ad
esprimersi ed a sussistere pur nella caratterizzazione della norma
censurata. Le situazioni di fatto alle quali allude l'ordinanza di
rimessione costituiscono aspetti della vita che esulano dal campo
d'indagine del legislatore, il quale opera su presupposti e
situazioni tipiche e ricorrenti nella quasi totalità dei casi.
3. - Si è costituito in giudizio l'I.N.P.S. concludendo, in via
principale, per l'irrilevanza e la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n.
222 del 1984 e, in via subordinata, per l'infondatezza della
questione relativa alla legittimità costituzionale della norma che
regola la fattispecie concreta venuta all'esame della Corte
costituzionale, da individuare nell'art. 1, quarto comma, della legge
n. 222 del 1984.
In primo luogo, l'I.N.P.S. ritiene la questione non rilevante e
manifestamente infondata per l'errata indicazione della disposizione
della quale si contesta la legittimità costituzionale, l'art. 4
della legge n. 222 del 1984, che riguarda i "requisiti di
assicurazione e contribuzione per il riconoscimento del diritto
all'assegno di invalidità ed alla pensione di inabilità". La norma
di cui si lamenta l'incostituzionalità è contenuta, invece, nel
quarto comma dell'art. 1 della legge medesima.
Nell'esame del merito delle censure prospettate dal giudice a quo,
l'I.N.P.S. sostiene che non è violato l'art. 3 Cost., in quanto,
trattandosi, nella specie, d'intervento a carattere
incontestabilmente assistenziale, che non trova corrispondenza in una
provvista contributiva, è evidente che risponde ad una scelta
politico-economica e sociale quanto dal legislatore previsto per
individuare la ricorrenza o meno d'una situazione reddituale tale da
giustificare l'intervento statale. L'integrazione in questione,
peraltro, non è incondizionata neppure per i non coniugati: essa,
infatti, non spetta a coloro che posseggono redditi propri
assoggettabili all'IRPEF per un importo superiore a due volte
l'ammontare annuo della pensione sociale. E tale limite non resta
invariato per i soggetti coniugati per i quali è previsto il cumulo
dei redditi del coniuge: esso, infatti, è elevato a tre volte
l'ammontare annuo della stessa pensione sociale. Appare evidente,
pertanto, l'intenzione del legislatore d'attribuire carattere
sussidiario all'intervento solidaristico pubblico rispetto all'aiuto
che la famiglia, attraverso il coniuge, è in grado d'offrire.
L'I.N.P.S., infine, considera irrilevanti le argomentazioni
addotte a sostegno del preteso contrasto della norma impugnata con
gli artt. 29, 30 e 31 Cost. In particolare, non ritiene valido motivo
per sostenere l'illegittimità della norma un ipotizzato ed
indimostrato comportamento abnorme al quale gli interessati sarebbero
indotti al fine di non subire gli effetti determinati dalle norme
impugnate.

Considerato in diritto

1. - Va anzitutto rigettata la richiesta di dichiarazione
d'inammissibilità della proposta questione di legittimità
costituzionale. Se è vero che nell'ordinanza di rimessione
s'impugna, nel dispositivo, l'art. 4 della legge 12 giugno 1984, n.
222, è anche vero che si tratta, ed in maniera evidente, d'un errore
materiale. Sempre, infatti, ci si riferisce, nell'ordinanza in
discussione, al contenuto del quarto comma dell'art. 1 della citata
legge e mai a quello dell'art. 4 della stessa legge. È certamente da
escludere, in ogni caso, che sorgano incertezze, nell'interpretazione
dell'ordinanza di rimessione, evidentissima palesandosi, in essa, la
volontà del giudice a quo di sollevare questione di legittimità
costituzionale in ordine alla disposizione di cui all'art. 1, quarto
comma, e non a quella di cui all'art. 4, della legge n. 222 del 1984.
2. - La premessa sulla quale va fondata la valutazione della
proposta questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, quarto
comma, della legge 12 giugno 1984, n. 222, è costituita
dall'indagine sulla natura dell'assegno d'invalidità di cui alla
citata legge.
Si può, invero, anche prescindere dallo stabilire se sia corretto
o meno etichettare l'integrazione dell'assegno ordinario
d'invalidità, di cui in narrativa, come "integrabilità al minimo":
è ben vero, infatti, che nel terzo comma dell'art. 1 della legge in
esame è prevista (insieme al rinvio, ai fini della determinazione
dell'ammontare dell'assegno ordinario, alle norme relative
all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la
vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ovvero alle
gestioni speciali dei lavoratori autonomi) un'integrazione, a carico
del fondo sociale, dell'assegno d'invalidità fino alla concorrenza
d'un importo, al massimo, pari a quello della pensione sociale; ma è
del pari vero che non sono in discussione, nel giudizio a quo, né il
fatto che tale integrazione non avvenga secondo la disciplina
generale sui minimi di pensione né il fatto che il trattamento
pensionistico legale minimo delle singole gestioni costituisca il
limite massimo dell'ammontare dell'integrazione in esame; e, d'altra
parte, la discrezionalità del legislatore nella determinazione della
situazione economico-finanziaria dell'invalido, quale condizione per
la sua esclusione dal diritto all'integrazione, discende dalla
natura, almeno anche assistenziale e sussidiaria, dell'assegno
d'invalidità. In conseguenza, risulta superata ogni utilità
interpretativa dell'"etichetta" da assegnare all'integrazione in
esame.
Va rilevato che può anche discutersi sulle proposte di mutamenti
relativi alla natura giuridica dell'assegno d'invalidità e sulle
"tendenze" che, in proposito, vanno manifestandosi: ma oggi,
visualizza testo argomento nell'interpretare la legge n. 222 del 1984, va sottolineata la natura
assistenziale, od almeno mista, dell'assegno in esame. Il quarto
comma dell'art. 1 della citata legge, prima ancora dell'esclusione
del soggetto coniugato dal diritto all'integrazione dell'assegno
(qualora il reddito del medesimo, cumulato con quello del coniuge,
sia superiore a tre volte l'importo della pensione sociale) esclude
dalla stessa integrazione coloro che posseggono redditi propri
assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un
importo superiore a due volte (e non a tre, come per i coniugati)
l'ammontare annuo della pensione sociale. Non v'è dubbio, pertanto,
che il legislatore del 1984 è partito dalla concezione "sussidiaria"
dell'assegno d'invalidità, discendente appunto dalla natura almeno
parzialmente assistenziale dell'assegno stesso. Quest'ultimo, fra
l'altro, non trova corrispondenza in alcuna provvista contributiva;
sicché, è certamente da allontanare l'idea d'una prevalente natura
previdenziale dell'assegno di cui qui si discute.Deriva che visualizza testo argomento spetta al legislatore scegliere, in base alla generale
politica economico-sociale perseguita, le condizioni
economico-finanziarie alle quali subordinare l'intervento
solidaristico pubblico. Né ci si può esimere dal sottolineare che
l'onere finanziario relativo all'integrazione dell'assegno grava sul
fondo sociale di cui alla legge 21 luglio 1965, n.903 e, cioè, in
sostanza, sull'intera collettività nazionale e non su particolari
comunità di lavoratori. Non può, dunque, indiscriminatamente, senza
riferimento alcuno al reddito in effettiva disposizione
dell'invalido, consentirsi l'integrazione in discussione: ciò
equivarrebbe ad irrazionalmente estendere il principio solidaristico
pubblico oltre i limiti entro i quali lo stesso principio ha
fondamento.
3. - Per quanto attiene, specificamente, alla seconda parte del
quarto comma dell'art. 1 della legge in esame, va sottolineato che la
norma impugnata, in tanto fa riferimento all'invalido coniugato, in
quanto, attraverso l'ammontare del cumulo dei redditi tra l'invalido
ed il coniuge, la stessa norma ritiene esclusa l'effettiva situazione
di relativa non abbienza dell'invalido, alla quale la legge
condiziona l'integrazione qui in esame: non si tratta, pertanto, di
discriminazione o di diverso trattamento tra invalidi coniugati e non
coniugati ma di determinazione d'un criterio, quello dell'ammontare
del cumulo dei redditi dei coniugi, attraverso il quale escludere la
(relativa) non abbienza dell'invalido.
E visualizza testo argomento tal criterio non può ritenersi irrazionale: poiché, come si è
osservato, l'istituto dell'integrazione dell'assegno d'invalidità
trova la sua giustificazione (almeno anche) in un effettivo stato di
bisogno della categoria protetta, non sono rilevanti, al fine di
determinare le condizioni del sorgere del diritto all'integrazione,
né la qualità né la provenienza delle diverse voci che compongono
il reddito mentre determinante è il livello, derivante dal cumulo,
del reddito stesso, tenuto conto soprattutto dell'obbligo
d'assistenza reciproca fra coniugi. visualizza testo argomento Non soltanto è presumibile che,
dato un determinato livello del reddito, cumulato, dei coniugi, anche
l'invalido venga a godere, oltre che d'una normale riduzione delle
spese, anche dell'apporto e della collaborazione del consorte, ma
quel che più conta è l'obbligo d'assistenza che incombe su
quest'ultimo; rispetto a tale obbligo, quello d'assistenza dello
Stato, della collettività tutta, è sussidiario.
Come potrebbe, diversamente, ritenersi razionale un intervento
dello Stato nei confronti d'un invalido che, benché privo di redditi
propri superiori ai limiti di legge, versi effettivamente in
floridissima situazione economico-finanziaria a causa della
convivenza con un coniuge assai abbiente?
visualizza testo argomento Sono certamente ipotizzabili, data la variabilità ed
irripetibilità del concreto, situazioni anomale in cui gli oneri
connessi all'andamento della famiglia compensino (e superino, forse)
il risparmio dovuto alla convivenza: ma al legislatore non è dato
seguire la non raggiungibile varietà del concreto, dovendosi lo
stesso legislatore limitare a prevedere situazioni tipiche e
ricorrenti nella quasi totalità dei casi. Poiché l'opposta
disciplina dell'integrazione dell'assegno in discussione e cioè il
tener conto, ai fini dell'integrazione, del solo reddito
dell'invalido, e non anche di quelli del coniuge di quest'ultimo,
produrrebbe anche gli effetti perversi ai quali si è innanzi
accennato, mentre la scelta effettuata con la norma di cui alla
seconda parte del quarto comma dell'art. 1 della legge in discussione
tien conto della quasi totalità dei casi di convivenza familiare, si
deve escludere ogni censura d'irrazionalità della scelta legislativa
operata con la disposizione impugnata.Le sentenze di questa Corte citate nell'ordinanza di rimessione
non valgono a sostenere l'assunto del giudice a quo, riguardando esse
situazioni del tutto diverse da quelle qui in esame: non v'è chi non
veda che la materia che si va trattando in questa sede, attenendo
alla natura ed ai limiti dell'intervento solidaristico-assistenziale
dello Stato, non consente analogia con materie diversissime, quali,
ad es., quella del cumulo dei redditi tra coniugi ai fini della
tassazione dei redditi stessi.
Esistendo, dunque, particolare diversità tra la situazione
dell'invalido non coniugato il cui reddito è inferiore al minimo
della pensione sociale e la situazione dell'invalido il cui reddito,
cumulato con quello del coniuge, è superiore a tre volte la stessa
pensione sociale, la diversità di disciplina tra le predette
situazioni non soltanto non è ingiustificata ma, per le ragioni
sopra specificate, si manifesta razionale.
4. - Come non risulta violato, dalla norma impugnata, l'art. 3
Cost. così, e per le stesse ragioni innanzi indicate, non risultano
disattesi i principi di cui all'art. 38 Cost.: visualizza testo argomento la limitazione
contenuta nella seconda parte del quarto comma dell'art. 1 della
legge 12 giugno 1984, n. 222 non vanifica ma determina in concreto,
per la materia ivi prevista, talune condizioni del sorgere
dell'obbligo statale al mantenimento ed all'assistenza di cui al
primo comma dell'art. 38 Cost.: quest'ultimo, infatti, prevede che il
cittadino, oltre ad essere inabile al lavoro, ha diritto al
mantenimento ed all'assistenza sociale allorché manchi dei "mezzi
necessari per vivere"; ed è compito del legislatore precisare, nelle
diverse realtà, le situazioni nelle quali è razionalmente
ravvisabile la predetta mancanza.
5. - La norma impugnata non viola neppure gli artt. 29 e 31 Cost.
A parere del giudice a quo la seconda parte del quarto comma
dell'art. 1 della legge n. 222 del 1984 penalizzerebbe la famiglia
legittima a vantaggio di quella di fatto (non fondata sul matrimonio)
in contrasto con gli artt. 29 e 31 Cost. e potrebbe costituire
incentivo alla separazione legale dei coniugi o, comunque, a
separazioni fittizie idonee ad eludere gli effetti del cumulo dei
redditi di cui al comma in esame.
Di contro va osservato che, visualizza testo argomento fino al momento in cui la famiglia
naturale, non fondata sul matrimonio, non avrà un "qualche"
riconoscimento giuridico, non è dato equipararla, e neppure
giuridicamente "confrontarla", ai fini di verificare eventuali
violazioni degli artt. 3, 29 e 31 Cost., con la famiglia legittima.
E, d'altra parte, come s'è già osservato, il legislatore opera su
presupposti e situazioni tipiche e non su anomale situazioni
concrete.
In ordine alle indicate "frodi" alla legge, va ricordato che non
è in funzione delle stesse ipotetiche "frodi" che va giudicata la
legittimità costituzionale d'una norma: non potrebbe, peraltro,
ritenersi razionale una disciplina legislativa che, allo scopo
d'ovviare alle predette eventuali "frodi", scegliesse di non tener
conto, nella materia qui esaminata, del cumulo dei redditi tra
coniugi e, pertanto, consentisse, certamente contro la Costituzione,
l'intervento assistenziale dello Stato anche nelle ipotesi-limite in
cui non solo non risulti la "non abbienza" dell'invalido ma sia
provata una notevole sua agiatezza a causa dell'alto reddito del
consorte.
6. - In relazione all'ultima eccezione sollevata dal giudice a quo,
secondo la quale la limitazione dell'intervento assistenziale dello
Stato a favore dell'invalido, in relazione alla consistenza
reddituale del coniuge, impedirebbe all'invalido stesso di
contribuire in misura rilevante all'educazione, istruzione,
mantenimento dei figli (tale contribuzione costituisce, ex art. 30,
primo comma, Cost., oltre che dovere, anche diritto) ponendolo in una
situazione d'inferiorità nell'ambito della famiglia, va ancora
ribadito che l'intervento assistenziale dello Stato trova, nelle
ipotesi d'invalidità, la sua ragione nella "non abbienza"
dell'invalido e non certo nella necessità d'ovviare a diversi stati
d'inferiorità in cui lo stesso invalido possa eventualmente trovarsi
nell'ambito della famiglia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 1, quarto comma, della legge 12 giugno 1984, n. 222,
questione sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 e 38
Cost., con ordinanza emessa il 9 luglio 1987 dal Pretore di Pisa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 1988.

Il Presidente: SAJA
Il relatore: DELL'ANDRO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 10 giugno 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI

 
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