Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0027 del 1991 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto
Disposizione oggetto: legge 184/1983 art.44 comma 1 comma b:
-Bilanciamento come individuazione dell'ottima proporzione
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.30 comma 1:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)

N. 27
SENTENZA 17-24 GENNAIO 1991

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco
Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 44, lettera b),
della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e
dell'affidamento dei minori), promosso con ordinanza emessa il 19
giugno 1990 dalla Corte d'appello di Torino - Sezione speciale per i
minorenni, nel ricorso proposto da Mora Patrizio ed altra, iscritta
al n. 523 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno
1990.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 19 giugno 1990, la Corte d'appello di
Torino, Sezione speciale per i minorenni, ha sollevato, in
riferimento all'art. 29, secondo comma, Cost., una questione di
legittimità costituzionale dell'art. 44, primo comma, lettera b),
della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui, "prevedendo
l'adozione di un minore da parte del coniuge del genitore biologico
del minore stesso, non consente di dichiarare efficace nella
Repubblica italiana un provvedimento adozionale straniero con cui si
pronunci l'adozione, da parte di entrambi i coniugi, di un minore che
è figlio biologico di uno di essi".
Nel caso di specie, la Corte era investita della richiesta di
delibazione di un provvedimento svizzero che aveva sancito l'adozione
da parte di cittadino italiano e della di lui moglie, cittadina
italiana di originaria nazionalità elvetica, del figlio biologico di
quest'ultima, minore d'età, che porta il cognome della madre.
Ad avviso della Corte rimettente, un simile provvedimento, in
quanto sostituisce, o quanto meno sovrappone il rapporto di
filiazione adottiva a quello di filiazione biologica, sarebbe
contrario all'ordine pubblico italiano, dato che la legge italiana
non conosce casi in cui il genitore biologico diventi genitore
adottivo, prevede la prevalenza del primo rapporto sul secondo solo
nei casi di abbandono da parte dei genitori biologici o morte di essi
e vieta a costoro di adottare i figli nati fuori del matrimonio (art.
293 cod. civ.).
La legislazione svizzera - osserva peraltro la Corte - mira ad
assicurare la parità tra i coniugi, evitando che il genitore
adottivo venga a trovarsi in condizioni di inferiorità (giuridica e
morale) rispetto a quello biologico; ed allo stesso obiettivo sono
ispirate anche altre legislazioni europee, come quella inglese o
quella austriaca, nella quale l'adozione ha, nel caso in esame,
carattere legittimante.
Lo stesso ordinamento italiano, d'altra parte, non considera il
rapporto biologico di per sé sufficiente ai fini dell'inserimento
del bambino nella famiglia in quanto figlio, ed anzi tende a far
prevalere sul fattore biologico quello della "responsabilità" che è
proprio della filiazione adottiva, pur se connota anche quella
biologica. Tale prevalenza sarebbe dimostrata dall'inefficacia del
riconoscimento di figlio naturale quando sia intervenuta la
dichiarazione di adottabilità e l'affidamento preadottivo e
dall'estinzione del giudizio per la dichiarazione di paternità o
maternità naturale quando l'adozione sia divenuta definitiva (art.
11, settimo comma, legge n. 183 del 1984). Nello stesso senso
deporrebbe poi la riconosciuta possibilità di ridurre la differenza
minima di età tra adottante e adottato - ispirata al principio di
adoptio imitatur naturam - quando lo richieda il superiore interesse
dell'unità familiare (Corte cost., sent. n. 44 del 1990).
La disposizione impugnata - che ad avviso della Corte rimettente
costituisce un insuperabile ostacolo alla delibazione del
provvedimento svizzero - continua, invece, a privilegiare il dato
biologico: ed essa sarebbe perciò in contrasto col principio
dell'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, in quanto non dà
luogo ad un'adozione legittimante.
2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite
l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata
inammissibile o comunque infondata.
Sotto il primo profilo, l'Avvocatura osserva che, essendo la
declaratoria di efficacia di provvedimenti stranieri correlata al
rispetto dei "principi fondamentali" della materia (art. 32, lettera
c), legge cit.), - tra i quali necessariamente rientrano quelli
costituzionali - è contraddittorio ritenere che le norme straniere
poste a base del provvedimento sub iudice siano coerenti con
l'ordinamento costituzionale italiano e che ciononostante a tale
declaratoria non possa pervenirsi se non previa rimozione di norme di
legge ordinaria. E proprio perché la verifica demandata al giudice
nazionale va fatta alla stregua dei suddetti principi, e non di
singole norme - come quella impugnata - sarebbe erroneo ritenere che
questa impedisca la dichiarazione d'efficacia. Né d'altra parte
sarebbe consentito prospettare l'incostituzionalità di tale
disposizione, dato che di essa non deve farsi diretta applicazione
nel giudizio principale.
Nel merito, l'Avvocatura rileva che l'art. 293 cod. civ. -
richiamato dall'art. 55, legge n. 184 cit., ai fini della disciplina
dell'"adozione in casi particolari" - non è oggetto di censura, e
che il richiamo alla sentenza n. 44 del 1990 di questa Corte è
improprio, dato che, essendosi con essa dilatato l'ambito di
applicabilità della disposizione impugnata (adozione da parte del
coniuge non genitore), la si è implicitamente riconosciuta idonea a
salvaguardare l'unità familiare.
D'altro canto, la previsione di un'adozione da parte del genitore
biologico contestuale all'adozione da parte del di lui coniuge non
risponde, secondo l'Avvocatura, ad alcuna esigenza costituzionale,
sicché la diversa scelta del legislatore non è censurabile.
Tale mutamento del rapporto del genitore biologico non sarebbe
imposto, infatti, né dall'esigenza - perseguita dalla norma
impugnata - di tutelare l'interesse del minore alla ricostruzione
della coppia genitoriale ed all'inserimento nel nucleo familiare
costituito da detto genitore; né da quella di garantire
l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, dato che nel caso in
esame la potestà sul minore ed il relativo esercizio spettano ad
entrambi (art. 48, primo comma, legge cit.).

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di
Torino, Sezione speciale per i minorenni, dubita della legittimità
costituzionale dell'art. 44, primo comma, lettera b), della legge 4
maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei
minori), sostenendo che tale disposizione, in quanto configura come
adozione non legittimante quella effettuata dal coniuge del genitore
biologico del minore - facendo con ciò prevalere il dato biologico
su quello della "responsabilità" proprio della filiazione adottiva -
violerebbe il principio di uguaglianza morale o giuridica dei coniugi
sancito dall'art. 29, secondo comma, Cost.
2. - In punto di rilevanza, presupposto dell'impugnativa è che la
suddetta disposizione osti alla delibazione di un provvedimento
straniero (nella specie, svizzero) che pronuncia l'adozione da parte
di entrambi i coniugi di un minore che è figlio biologico di uno di
essi (cioè da lui generato).
Riferendosi a tale assunto, l'Avvocatura dello Stato contesta
l'ammissibilità della questione, sostenendo che sarebbe erroneo
ritenere che la norma in questione impedisca la declaratoria
d'efficacia del provvedimento straniero di adozione, dato che la
relativa valutazione va fatta alla stregua dei principi fondamentali
della materia ( ex art. 32, lettera c), legge cit.) e non di singole
norme. Poiché, quindi, della disposizione impugnata la Corte
rimettente non dovrebbe fare diretta applicazione, non potrebbe per
ciò stesso sospettarla d'incostituzionalità.
Anche a prescindere dal rilievo che il giudizio principale ha ad
oggetto non la dichiarazione d'efficacia di cui al citato art. 32, ma
la delibazione di cui agli artt. 796 ss. cod. proc. civ. - con la
conseguenza che non si tratta della costituzione di un effetto nuovo
sulla base del provvedimento straniero, ma del riconoscimento di
questo con gli effetti suoi propri - l'eccezione non può essere
accolta.
Essa, invero, comporta che si valuti se dalla norma impugnata sia
o meno ricavabile un principio fondamentale rientrante nella nozione
di ordine pubblico: ciò che sicuramente la Corte non può fare,
trattandosi di questione eminentemente interpretativa, per di più
riferita ad un concetto assai elastico ed indeterminato quale quello
di cui all'art. 797, n. 7, cod. proc. civ.
3. - Nel merito, la questione non è fondata.
visualizza testo argomento Questa Corte ha più volte sottolineato che, alla stregua delle
direttive costituzionali (artt. 2 e 30, primo e secondo comma,
Cost.), l'istituto dell'adozione deve avere il proprio centro di
gravità nella tutela del preminente interesse del minore, rispetto
al quale devono essere subordinati tanto gli interessi degli
adottanti (o aspiranti tali), quanto quelli della famiglia di origine
(sentenze nn. 11 del 1981, 197 e 198 del 1986, 182 del 1988). In
quest'ottica, la disciplina predisposta deve tendere alla soluzione
che sia "in concreto" ottimale per il minore, e quindi, da un lato,
conferire al giudice poteri idonei alla sua individuazione e,
dall'altro, tenere in adeguata considerazione i legami che il minore
abbia instaurato in precedenza (sentenze nn. 11 del 1981 e 198 del
1986). Di conseguenza, ove manchi il basilare presupposto per
l'adozione piena costituito dallo stato di abbandono, non può dirsi
precluso il ricorso all'istituto dell'adozione ordinaria, sempreché
nella sua regolamentazione sia salvaguardata l'esigenza di tutela dei
fondamentali interessi del minore (cfr. sentenza n. 11 del 1981).L'adozione del figlio del coniuge è indubbiamente un "caso
particolare" di adozione, e come tale è stata considerata dal
legislatore del 1983: in linea, del resto, con quasi tutte le
legislazioni europee, che, pur nella varietà delle soluzioni, le
hanno riservato una regolamentazione autonoma quanto a presupposti ed
effetti.
La particolarità del caso sta nella congiunta esigenza, per un
verso, di consolidare l'unità familiare, agevolando l'inserimento in
essa del minore che sia figlio (anche adottivo) di uno solo dei
coniugi, ed in particolare evitando il disagio sociale e le
disarmonie nella formazione morale e psicologica che possono
derivargli dal restare estraneo all'altro coniuge - pur se a lui
affettivamente legato - e dal portare un cognome diverso da quello
degli altri figli facenti parte del medesimo nucleo familiare (cfr.
sentenza n. 44 del 1990); per altro verso, di evitare che
l'instaurazione del nuovo rapporto comporti la rottura di quello
esistente con l'altro genitore biologico e/o con i di lui parenti,
pur quando con costoro il minore abbia instaurato e mantenga legami
significativi.
4. - Nella non facile composizione di tali esigenze, il
legislatore del 1983 ha costruito un istituto che, esaminato nelle
sue linee essenziali (a prescindere, cioè da aspetti particolari che
qui non rilevano), non solo è ben lontano dall'adozione ordinaria di
tipo tradizionale (ove era prevalente l'interesse di chi si continua
attraverso un figlio-erede) ma è effettivamente improntato alla
tutela del preminente interesse del minore. È sulla realizzazione in
concreto di questo che si incentra infatti la verifica demandata al
Tribunale, cui è fatto carico di indagare, tra l'altro,
sull'idoneità dell'adottante sul piano educativo, sulla rispondenza
all'interesse del minore dei motivi che lo spingono a desiderarne
l'adozione e sulla possibilità di idonea convivenza tra i due (art.
57).
Nella medesima prospettiva si colloca - dopo quanto deciso da
questa Corte con la sentenza n. 182 del 1988 - anche la disciplina
dei presupposti dell'adozione.
Il consenso dell'adottante e dell'adottando (art. 45) non ha
infatti carattere negoziale, ma è solo un dato della procedura
equivalente a due concorrenti domande di pronuncia dell'autorità
giudiziaria; e quello del legale rappresentante del minore non ha
più carattere dirimente, essendo degradato a mero parere non
vincolante. L'assenso del genitore dell'adottando, poi, ha valore
decisivo solo se costui eserciti la potestà sul minore, ed il
Tribunale può invece prescinderne non solo se egli sia incapace o
irreperibile, ma anche quando il rifiuto risulti ingiustificato o
contrario all'interesse dell'adottando; ed anche l'eventuale coniuge
di questi può impedire l'adozione solo se sia convivente (art. 46).
Sul piano degli effetti, il legislatore ha inteso, da un lato,
garantire la pienezza dei rapporti personali tra minore e coniuge del
genitore, attribuendo a costui (art. 48) l'esercizio della piena
potestà - con i connessi obblighi di mantenimento, educazione e
istruzione - e stabilendo che il minore ne assuma il cognome, da
anteporre al proprio (art. 55, che richiama l'art. 299 cod. civ.);
dall'altro, però, assicurare che il rapporto adottivo, nella sua
origine e nel suo svolgersi, sia scevro da interessi di altra natura.
Ha disposto, perciò, che l'adottante abbia bensì l'amministrazione
dei beni dell'adottato, con obbligo di inventario, ma non abbia
l'usufrutto legale sui medesimi e non possa perciò destinarli al
mantenimento proprio e degli altri membri della famiglia od
all'educazione e istruzione degli altri figli. Coerentemente a ciò,
i diritti successori sono regolati a senso unico: l'adottato, cioè,
succede pienamente all'adottante, mentre questi non partecipa in
alcun modo alla successione del primo (art. 55, che richiama l'art.
304 cod. civ.).
Per converso, all'esigenza che non siano artificiosamente troncati
i rapporti del minore con la famiglia di origine - cioè con
l'"altro" genitore biologico e con i suoi parenti - risponde la
statuizione per cui il minore, da un lato, mantiene nei confronti di
costoro, tutti i diritti (anche successori) ed i corrispondenti
doveri; dall'altro, non instaura rapporti con i parenti
dell'adottante né partecipa alla loro successione (art. 55, che
richiama l'art. 300 cod. civ.).
5. - Certo, una regolamentazione più analitica della materia, che
cioè tenesse conto del vario atteggiarsi dei rapporti del minore col
genitore biologico non convivente, avrebbe forse potuto suggerire
soluzioni parzialmente diverse e magari far propendere, in alcune
peculiari situazioni, per l'instaurazione di un rapporto di adozione
piena. visualizza testo argomento Ma nella valutazione generale dell'istituto che la Corte è
chiamata a compiere in questa sede, deve escludersi che le scelte
compiute dal legislatore in ordine al bilanciamento degli interessi
in gioco siano meritevoli di censura.Va negato, in particolare, che ne resti violato il principio di
parità morale e giuridica tra i coniugi (art. 29, secondo comma,
Cost.). Sul piano dei rapporti personali, una sostanziale parità è,
infatti, assicurata dall'attribuzione ad entrambi della piena
potestà sul minore e dei correlativi diritti ed obblighi; su quello
dei rapporti patrimoniali, le differenze si connettono, come si è
visto, non all'intento di privilegiare il genitore biologico ma a
quello di meglio garantire l'interesse del minore, nei cui confronti
quello del genitore adottivo deve cedere.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 44, primo comma, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n.
184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori),
sollevata in riferimento all'art. 29, secondo comma, della
Costituzione, dalla Corte d'appello di Torino, Sezione speciale per i
minorenni, con ordinanza del 19 giugno 1990.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1991.

Il Presidente: CONSO
Il redattore: SPAGNOLI
Il cancelliere: FRUSCELLA
Depositata in cancelleria il 24 gennaio 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI

 
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