Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0075 del 1991 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto con monito al legislatore
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.24:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Esplicita valutazione delle conseguenze pratiche dell'eventuale accoglimento
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
Pronuncia: Pronuncia di inammissibilità per vizi di carattere processuale
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.29 comma 1:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.38 comma 5:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
-Argomento della coerenza (orizzontale: interlegislativo)

N. 75
SENTENZA 28 GENNAIO-11 FEBBRAIO 1991

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, dott. Francesco
GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco
Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI,
dott. Renato GRANATA;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo
comma, del decreto-legge 8 febbraio 1988, n. 25 (Norme in materia di
assistenza ai sordomuti, ai mutilati ed invalidi civili
ultrasessantacinquenni), convertito nella legge 21 marzo 1988, n. 93,
26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti
pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), come
modificato dall'art. 3 del decreto-legge 15 febbraio (rectius: 2
marzo) 1974, n. 30, convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114 e
dall'art. 3 della legge 3 febbraio (rectius: giugno) 1975, n. 160,
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 5 marzo 1990 dal Pretore di Genova nel
procedimento civile vertente tra Fugazza Antonietta e l'I.N.P.S.,
iscritta al n. 341 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale,
dell'anno 1990;
2) ordinanza emessa il 14 marzo 1990 dal Pretore di Prato nel
procedimento civile vertente tra Bucchi Stefano e l'I.N.P.S.,
iscritta al n. 383 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale,
dell'anno 1990;
Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S. e di Fugazza
Antonietta, nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1991 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli;
Uditi l'avv. Pasquale Vario per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello
Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei Ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio civile per il conseguimento della
pensione sociale promosso nei confronti dell'I.N.P.S. da Fugazza
Antonietta dopo che la sua richiesta di pensione d'invalidità civile
era stata respinta perché lo stato d'invalidità (al 100%) le era
stato riconosciuto solo dopo il compimento del sessantacinquesimo
anno di età, il Pretore di Genova, con ordinanza del 5 marzo 1990,
ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale, e cioè:
a) dell'art. 1, primo comma, del decreto-legge 8 febbraio 1988, n.
25, convertito, con modificazioni, nella legge 21 marzo 1988, n. 93,
per contrasto con gli artt. 3, 38, primo comma, 24 e 113 Cost.; b)
dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 - come modificato
dagli artt. 3 del decreto-legge 15 febbraio (rectius: 2 marzo) 1974,
n. 30 (convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114) e 3 della legge
3 febbraio (rectius: giugno) 1975, n. 160 - in riferimento agli
artt. 3, 29, primo comma, 31 e 38 Cost.
1.1. - L'ordinanza muove da una ricognizione della disciplina in
materia di pensione d'invalidità e pensione sociale, rilevando come
l'originaria parificazione tra i due istituti quanto alle condizioni
reddituali richieste per il loro conseguimento era venuta meno per
effetto degli artt. 1 della legge n. 29 del 1977 e 14 septies della
legge n. 33 del 1980, che ai fini dei trattamenti d'invalidità
avevano, in particolare, escluso il cumulo dei redditi tra i coniugi.
La prassi amministrativa poi instauratasi di riconoscere il diritto
alla pensione sociale - in conversione di quella d'invalidità,
peraltro mai goduta - ai soggetti riconosciuti invalidi dopo i
sessantacinque anni ed alle condizioni reddituali previste per
quest'ultima, era stata ritenuta illegittima dai giudici ordinari ed
amministrativi; ed il successivo decreto-legge 9 dicembre 1987, n.
495, che si proponeva invece di convalidarla, non era stato
convertito in legge. Era poi intervenuto il citato decreto-legge n.
25 del 1988, che all'art. 1 aveva disposto la corresponsione delle
pensioni già liquidate in base all'anzidetta prassi, ma non erogate
per il contrario orientamento giurisprudenziale (primo comma) e la
liquidazione, nei limiti delle disponibilità di bilancio
dell'I.N.P.S., delle prestazioni conseguenti alle delibere dei
comitati provinciali di assistenza e beneficienza pubblica già
pervenute all'istituto alla data della sua entrata in vigore (secondo
e terzo comma). Questi ultimi due commi erano peraltro stati
soppressi dalla legge di conversione n. 93 del 1988, che aveva invece
aggiunto un secondo articolo del seguente tenore: "restano validi gli
atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti
prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 9
dicembre 1987, n. 495".
Ciò premesso, il Pretore rimettente esclude l'applicabilità
nella specie sia di quest'ultima disposizione, dato che nella vigenza
del decreto-legge n. 495 o anteriormente non erano intervenuti atti
aventi valore di riconoscimento del diritto a pensione dell'istante;
sia dell'art. 1, primo comma, della legge n. 93 del 1988, in quanto
esso concerne solo le pensioni già liquidate dall'I.N.P.S. alla data
di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 25.
Ravvisa, però, un contrasto di tale disposizione con l'art. 3
Cost., sostenendo che tale limitazione (già avvenuta liquidazione
della prestazione alla data anzidetta) sarebbe irrazionale in quanto
basata su un mero dato temporale riferito all'andamento dell'iter
burocratico di accertamento dei presupposti del diritto a pensione.
Sarebbero inoltre violati anche gli artt. 38, 24, e 113 Cost., "in
quanto i soggetti nei cui confronti non si è realizzato il requisito
temporale di cui si è detto sono, per questo motivo, privati della
possibilità di vedersi assicurati mezzi di sussistenza adeguati alle
proprie necessità di cui avrebbero astrattamente diritto e di
conseguire tale diritto attraverso provvedimenti giudiziali".
1.2. - Il problema di fondo - osserva peraltro il giudice a quo -
sta nella divaricazione di condizioni reddituali tra pensione
d'invalidità e pensione sociale, già ritenuta non coerente da
questa Corte nella sentenza n. 769 del 1988; ed egli lo prospetta
sotto un profilo diverso da quello allora esaminato, nel presupposto
che nel caso di specie l'attribuzione diretta della pensione sociale
sia stata preclusa dal cumulo dei redditi tra coniugi.
La previsione di tale cumulo - nell'art. 26 legge n. 153 del 1969
e successive modificazioni - viola a suo avviso il principio di
uguaglianza (art. 3 Cost.) in quanto discrimina tra soggetti
coniugati e non coniugati e preclude ai primi la pensione sociale
anche quando il loro reddito individuale consentirebbe di fruirne.
Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 29 e 31 Cost., dato che al
cumulo "consegue anche una situazione di trattamento deteriore della
famiglia "fondata sul matrimonio" rispetto ad altre formazioni
sociali o comunità minori, che pure, al pari di quella, sono
caratterizzate dal vincolo solidaristico tra i partecipanti (famiglia
di fatto, comunità religiose o di fratelli)".
Sarebbe leso, infine, l'art. 38, ultimo comma, Cost., dato che il
cumulo comporterebbe il trasferimento sulla famiglia di compiti
assistenziali spettanti allo Stato.
1.3. - La parte privata Fugazza Antonietta, costituitasi a mezzo
degli Avv.ti C. Pozzi e V. Biogetti, sostiene che la prima questione
( sub 1.1.) andrebbe risolta in via interpretativa, ritenendo che la
disposta salvezza degli effetti del decreto-legge n. 495 del 1987
equivalga a legittimazione della già ricordata prassi
amministrativa. In subordine, chiede l'accoglimento della seconda
questione ( sub 1.2.).
1.4. - L'I.N.P.S., costituitosi, osserva, quanto alla prima
questione, che la disposta erogazione delle sole pensioni già
liquidate è giustificata da ragioni di copertura finanziaria e che
la violazione del diritto di difesa va esclusa in quanto
l'ordinamento offre gli strumenti per ottenere il sollecito disbrigo
delle procedure amministrative.
Quanto alla seconda questione, l'I.N.P.S. osserva che la pensione
sociale, in quanto tipico mezzo assistenziale, presuppone lo stato di
bisogno, cioè la "mancanza dei mezzi necessari per vivere", e che
perciò non può essere sindacata la discrezionalità del legislatore
quando non ne riconosca il diritto solo se il ristrettissimo nucleo
familiare versi in situazione di indigenza e purché il coniuge del
richiedente non possa col proprio reddito assolvere al suo obbligo
giuridico di assistenza morale e materiale e di contribuire ai
bisogni della famiglia.
1.5. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto per
il tramite dell'Avvocatura dello Stato, osserva, quanto alla prima
questione, che la legittimità di trattamenti previdenziali
differenziati quanto alla data dell'evento trova giustificazione
nella necessaria gradualità dell'attuazione legislativa di tali
diritti - specie ove essi comportino oneri di bilancio - e che lo
stesso fluire del tempo è al riguardo sufficiente elemento di
diversificazione.
La seconda questione, poi, non è, secondo l'Avvocatura,
direttamente pertinente al caso di specie, dato che questo verterebbe
sulla concessione della pensione di invalidità civile. Essa sarebbe
comunque infondata, dato che la famiglia legittima comporta diritti e
doveri insussistenti per le altre formazioni sociali, basate su
vincoli religiosi, solidaristici o di mera convivenza.
2. - Una questione di costituzionalità dell'art. 1, primo comma,
della legge n. 93 del 1988 analoga a quella esposta sub 1.1. è stata
altresì sollevata dal Pretore di Prato, con ordinanza del 14 marzo
1990, in riferimento ad un caso di diniego della pensione sociale a
soggetto ultrasessantacinquenne riconosciuto invalido al 100%, dopo
il compimento di tale età, cui essa non era stata liquidata alla
data di entrata in vigore del decreto-legge n. 25 del 1988. Anche ad
avviso di detto Pretore, la limitazione del beneficio basata sul dato
meramente estrinseco ed occasionale dell'epoca della liquidazione
violerebbe gli artt. 3 e 38 Cost.
2.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto per
il tramite dell'Avvocatura dello Stato anche in tale giudizio, ha
chiesto il rigetto della questione sostenendo che essa sarebbe stata
già dichiarata non fondata con la sentenza n. 286 del 1990.

Considerato in diritto

1. - Poiché le ordinanze di rimessione hanno un oggetto
parzialmente identico, è d'uopo riunire i relativi procedimenti.
2. - La complessa vicenda legislativa dei rapporti tra i
trattamenti d'invalidità e la pensione sociale, che costituisce la
premessa delle censure in esame, è già stata analiticamente
ricostruita da questa Corte nella sentenza n. 769 del 1988.
Ai fini che qui interessano, è da ricordare che l'originaria
disciplina della materia prevedeva: a) l'automatica trasformazione in
pensione sociale, al compimento del sessantacinquesimo anno di età,
delle prestazioni (pensione o assegno d'invalidità) attribuite ai
cittadini riconosciuti totalmente o parzialmente inabili tra i 18 e i
65 anni di età; b) la parificazione delle condizioni reddituali
richieste per avere titolo a tali trattamenti (artt. 26 della legge
n. 153 del 1969, 12, 13 e 19 della legge n. 118 del 1971, 10 e 11
della legge n. 854 del 1973).
Con gli artt. 1 della legge n. 29 del 1977 e 14-septies della
legge n. 33 del 1980, peraltro, i limiti di reddito per le
prestazioni d'invalidità furono considerevolmente elevati e,
soprattutto, fu disposto che a tali fini dovessero considerarsi solo
i redditi individuali: con conseguente divaricazione rispetto alla
pensione sociale, per la quale continuava a vigere il precedente
limite dato dal cumulo del reddito del richiedente con quello del
coniuge. Di qui l'instaurarsi di una prassi amministrativa che,
aggirando tale ostacolo, riconosceva ai soggetti
ultrasessantacinquenniil diritto ai trattamenti d'invalidità - poi
commutati automaticamente in pensione sociale - alle condizioni
reddituali per essi previsti.
Tale prassi fu però ritenuta illegittima sia dalla magistratura
ordinaria che dal Consiglio di Stato (I sezione, parere n. 463/1987
del 3 aprile 1987), che precisò che, ove un trattamento
d'invalidità non preesista al compimento dei sessantacinque anni, la
pensione sociale può essere attribuita solo ai soggetti fruenti dei
redditi per essa stabiliti. Ed il successivo tentativo del Governo di
convalidare, anche per il futuro, detta prassi disponendo la
riconoscibilità dell'invalidità civile anche agli
ultrasessantacinquenni e l'attribuzione a costoro della pensione
sociale in base ai limiti di reddito previsti per gli invalidi civili
non sortì effetto, in quanto il decreto-legge 9 dicembre 1987, n.
495 - che così disponeva - decadde per mancata conversione.
ll successivo decreto-legge 8 febbraio 1988, n. 25, poi, è stato
convertito, con la legge 21 marzo 1988, n. 93, solo nella parte in
cui prevede che "l'I.N.P.S. è autorizzato a corrispondere le
prestazioni già liquidate in favore dei mutilati, invalidi civili e
sordomuti anche se riconosciuti tali dopo il compimento del
sessantacinquesimo anno di età" (art. 1, primo comma). Sono stati
invece soppressi, in sede di conversione, i commi secondo e terzo del
medesimo art. 1, che invece autorizzavano l'I.N.P.S., nei limiti
della disponibilità del proprio bilancio, a liquidare ai minorati
civili ultrasessantacinquenni le prestazioni conseguenti alle
delibere dei Comitati di assistenza e beneficienza pubblica pervenute
a detto istituto alla data di entrata in vigore dello stesso
decreto-legge n. 25 del 1988.
La legge di conversione ha, infine, disposto (art. 1, secondo
comma) la sanatoria delle posizioni già definite in forza del citato
decreto-legge n. 495 del 1987.
3. - Tanto il Pretore di Genova (ord. n. 341/1990) che quello di
Prato (ord. n. 383/1990) dubitano della legittimità costituzionale
del predetto art. 1, primo comma, del decreto-legge n. 25 del 1988,
così come convertito, in quanto limita la corresponsione della
pensione sociale ai soggetti riconosciuti invalidi dopo il compimento
dei sessantacinque anni ai quali tale prestazione sia già stata
liquidata alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge
(8 febbraio 1988), escludendola per coloro nei cui confronti la
liquidazione non sia avvenuta. A loro avviso, tale disposizione
contrasterebbe con gli artt. 3, 38, primo comma, 24 e 113 Cost., per
la ritenuta irrazionalità di una discriminazione fondata sul dato
estrinseco dell'andamento della procedura amministrativa, cui
conseguirebbe la violazione del diritto all'assistenza sociale ed al
suo conseguimento mediante provvedimenti giudiziali.
4. - La questione non è fondata.
La disposizione impugnata è invero, nella sostanza - al pari di
quella di cui al citato secondo comma dell'art. 1 della legge n. 93
del 1988, già scrutinata con la sentenza n. 286 del 1990 - una norma
di sanatoria, con la quale il legislatore ha inteso circoscrivere la
convalida degli effetti della precedente illegittima prassi
amministrativa, autorizzando l'erogazione delle sole prestazioni già
liquidate e per ciò stesso confermando implicitamente la regola
generale - poi ulteriormente ribadita nell'art. 8 del decreto
legislativo 23 novembre 1988, n. 509 - secondo cui non può darsi
riconoscimento dell'invalidità oltre i sessantacinque anni e la
pensione sociale può essere erogata solo alle condizioni per essa
previste.
visualizza testo argomento Trattandosi di norma derogatoria, essa non può fungere da
parametro ai fini del rispetto del principio di uguaglianza (cfr., da
ultimo, la citata sentenza n. 286 del 1990): e visualizza testo argomento la fondatezza di tale
principio balza evidente nel caso di specie, dato che accogliendo la
prospettazione dei giudici a quibus si perverrebbe al paradossale
risultato di ritenere che il legislatore sia vincolato a convalidare
indefinitamente nel tempo prassi instaurate contra legem.
Quanto alle altre censure, visualizza testo argomento questa Corte, ha più volte precisato
che il diritto all'assistenza sociale - e, quindi, al conseguimento
in via giudiziale delle relative prestazioni - non può dirsi
vulnerato da un sistema che prevede la corresponsione della pensione
sociale, in luogo di quella d'invalidità, nel momento in cui
l'inabilità al lavoro cui questa mira a sopperire diventa
praticamente indistinguibile da quella presuntivamente derivante
dall'età e che provvede alle ulteriori esigenze dell'invalido, non
correlate all'incapacità lavorativa, con gli strumenti
dell'assistenza socio-sanitaria e dell'indennità di accompagnamento
(cfr. le sentenze nn. 769 del 1988 e 286 del 1990).In realtà il problema resta quello - ripetutamente evidenziato in
tali decisioni - di riequilibrare i requisiti reddituali per
conseguire la pensione sociale e quella di invalidità, restituendo a
coerenza un sistema, la cui sopravvenuta disomogeneità non solo ha
provocato le denunziate distorsioni amministrative, ma finisce per
determinare serie sperequazioni, non sempre giustificabili, con
riflessi negativi su situazioni di effettivo bisogno. Nel segnalare
ancora una volta l'esigenza che a tale incoerenza si ponga rimedio
con un appropriato riequilibrio che realizzi un adeguato
contemperamento degli interessi in gioco, la Corte ritiene doveroso
sottolineare che tale segnalazione non può intendersi come mero
auspicio suscettibile di essere ulteriormente disatteso.
5. - Il Pretore di Genova dubita poi che l'art. 26 della legge 30
aprile 1969, n. 153 - come modificato dagli artt. 3 della legge n.
114 del 1974 e 3 della legge n. 160 del 1975 - nella parte in cui, ai
fini della determinazione del reddito massimo per il diritto alla
pensione sociale, dispone che il reddito dell'interessato sia
cumulato con quello del coniuge, violi:
l'art. 3 Cost., per la discriminazione che ciò comporta tra
soggetti coniugati il cui reddito individuale non superi il limite
previsto per i non coniugati, e questi ultimi;
gli artt. 29 e 31 Cost., per il deteriore trattamento così
riservato alla famiglia fondata sul matrimonio rispetto ad altre
formazioni sociali (famiglia di fatto, comunità religiose o di
fratelli);
l'art. 38, ultimo comma, Cost., operandosi con ciò il
trasferimento sulla famiglia di compiti assistenziali spettanti allo
Stato.
La questione è inammissibile.
Innanzi tutto la norma impugnata non discrimina tra soggetti
coniugati e non coniugati, ma stabilisce un criterio, quello
dell'ammontare del cumulo dei redditi dei coniugi, attraverso il
quale escludere la (relativa) non abbienza del soggetto e quindi il
diritto al trattamento assistenziale; e del resto, visualizza testo argomento la situazione del
non coniugato è diversa da quella del coniugato, dato che costui
può contare, oltre che su una normale riduzione di spese per effetto
della convivenza, anche e soprattutto sull'obbligo di assistenza che
incombe sull'altro coniuge.
visualizza testo argomento La mancanza, o il diverso atteggiarsi dell'obbligo giuridico di
assistenza diversificano, d'altra parte, la condizione della famiglia
legittima rispetto ad altre comunità (religiose, di fratelli) ed
alla famiglia di fatto; ed visualizza testo argomento il raffronto con quest'ultima è anzi
precluso in radice dal fatto che essa è tuttora sfornita di
disciplina, sia in generale, sia in riferimento a tale specifico
aspetto (cfr., per rilievi analoghi sulle due censure, la sentenza n.
644 del 1988).
Maggior riflessione richiede l'ultimo dei suindicati profili, che
investe il rapporto tra l'intervento dello Stato nell'assistenza in
funzione di solidarietà generale e gli obblighi di assistenza
nell'ambito della solidarietà coniugale.
visualizza testo argomento Questa Corte ha già sottolineato, nella sentenza n. 769 del 1988,
la validità del principio del cumulo dei redditi dei coniugi, cui si
ispira il vigente sistema di attribuzione della pensione sociale; ed
ha perciò evidenziato la singolarità di una soluzione - come
quella, peraltro reversibile, introdotta per i trattamenti
d'invalidità - che fondi "il ricorso alla solidarietà generale,
sulla considerazione del solo reddito individuale del soggetto,
prescindendo dall'intervento solidaristico delle collettività minori
ed in particolare dall'eventuale stato di abbienza del coniuge non
separato". visualizza testo argomento In effetti, in un sistema costituzionale che richiede, tra
l'altro, l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
economica e sociale (art. 2) e sancisce il diritto al mantenimento ed
all'assistenza sociale di chi sia inabile al lavoro e sprovvisto dei
mezzi necessari per vivere (art. 38, primo comma), l'apporto di chi
abbia specifici doveri solidaristici e quello della collettività si
presentano in una relazione non di esclusione, ma di integrazione
reciproca: sia nel senso che vi sono taluni interventi di sostegno
che vanno direttamente "predisposti" dallo Stato, sia nel senso che
vanno da esso "integrati" quelli privati laddove questi non risultino
sufficienti alla liberazione dallo stato di bisogno (art. 38, quarto
comma).
Così, considerando una situazione sotto questo profilo prossima a
quella qui esaminata, quale la disoccupazione involontaria, la Corte
ha escluso che il diritto alla relativa indennità possa farsi
mancare in ragione dell'obbligo alimentare gravante sul datore di
lavoro tenuto a fornire la relativa copertura assicurativa (sentenza
n. 103 del 1968); ed ha, per altro verso, qualificato come
"sussidiario" l'intervento statuale di integrazione dell'assegno
ordinario di invalidità (art. 4, legge n. 222 del 1984), avendo
riguardo alla situazione "d'un invalido che, benché privo di redditi
propri superiori ai limiti di legge, versi effettivamente in
floridissima situazione economico-finanziaria a causa della
convivenza con un coniuge assai abbiente" (sentenza n. 644 del 1988).
Al di fuori di casi di tal genere, che certo non giustificano
l'apporto della solidarietà collettiva, il problema si ripresenta,
però, nelle ipotesi in cui l'inabile sia sprovvisto di mezzi
sufficienti, o addirittura inesistenti, ed il coniuge, dal canto suo,
fruisca di redditi modesti: perché si tratta, qui, di stabilire i
limiti che i doveri di solidarietà dei privati incontrano in ragione
dei loro concorrenti diritti a condurre un'esistenza dignitosa ed a
godere dei frutti del proprio lavoro.
Così come l'intervento statuale non si rende necessario qualora
la consistenza patrimoniale del coniuge consenta ad entrambi
condizioni di vita agiate o comunque pienamente dignitose, allo
stesso modo la sua esclusione non potrebbe dirsi giustificata se, in
ragione dell'apporto fatto gravare su di lui, il coniuge venisse
ridotto in condizioni che si approssimino alla mera sussistenza.
In tal caso, il diritto del lavoratore (o pensionato) ad
un'esistenza libera e dignitosa (art. 36) verrebbe ingiustamente
sacrificato per l'inadempimento da parte dello Stato dei compiti di
assistere i soggetti bisognosi (art. 38, primo e quarto comma) e di
contribuire all'assolvimento dei doveri familiari (art. 31).
La delicata opera di bilanciamento degli interessi in gioco spetta
certamente al legislatore: ma la discrezionalità delle sue
determinazioni incontra il limite dell'effettiva individuazione di un
equo e ragionevole punto di equilibrio tra la solidarietà collettiva
e quella del coniuge (o, se del caso, anche di altri familiari
conviventi tenuti all'assistenza: cfr., in tema di pensione sociale,
la soluzione - peraltro sporadica - adottata con l'art. 2 della legge
n. 140 del 1985). Non potrebbe perciò ritenersi consentito un
assetto che escluda l'intervento dello Stato quando l'accollo alla
famiglia degli oneri assistenziali finisca per comprimerne in modo
intollerabile le condizioni di vita.
La questione sollevata dal giudice a quo andrebbe esaminata alla
stregua dei suesposti principi: ma nel caso in esame la loro
applicazione non risulta possibile, dato che il quesito investe non
il (legittimo) principio del cumulo, ma i concreti livelli di esso e
la loro idoneità ad escludere, o meno, la necessità dell'intervento
dello Stato attributivo della pensione sociale. Il giudice a quo ha
infatti omesso, da un lato, di individuare, tra le tante norme che
nel tempo hanno via via adeguato i livelli di reddito cumulato
ostativi alla pensione sociale, quelle che hanno concretamente
regolato la situazione sottoposta al suo esame; dall'altro, di
specificare quale fosse, in questa, la concreta consistenza dei
redditi cumulati, ciò che sarebbe stato necessario per poter
apprezzare l'incidenza della decisione nel giudizio principale.
La questione va perciò dichiarata inammissibile in quanto non
risulta soddisfatto il requisito della sua rilevanza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 1, primo comma, del decreto-legge 8 febbraio 1988, n. 25
(Norme in materia di assistenza ai sordomuti, ai mutilati ed invalidi
civili ultrasessantacinquenni), convertito nella legge 21 marzo 1988,
n. 93, sollevata dal Pretore di Genova e dal Pretore di Prato, in
riferimento agli artt. 3, 24, 38, primo comma e 113 della
Costituzione, con le ordinanze di cui in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153
(Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di
sicurezza sociale), come modificato dall'art. 3 del decreto- legge 2
marzo 1974, n. 30, convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114 e
dall'art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160, sollevata con la
predetta ordinanza dal Pretore di Genova in riferimento agli artt. 3,
29, 31 e 38, ultimo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.

Il Presidente: CONSO
Il redattore: SPAGNOLI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria l'11 febbraio 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI

 
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