N. 341 SENTENZA 11-15 LUGLIO 1991
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: prof. Ettore GALLO; Giudici: dott. Aldo CORASANITI, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1990 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Sabatino Mario e S.p.A. Baxter ed altro, iscritta al n. 224 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visti gli atti di costituzione di Sabatino Mario e dell'I.N.P.S.; Udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 1991 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Udito l'Avvocato Vito Lipari per l'I.N.P.S.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento civile - nel quale Mario Sabatino aveva chiesto, nei confronti dell'I.N.P.S. e della S.p.a. Baxter, sua datrice di lavoro, il riconoscimento del diritto all'astensione dal lavoro previsto dall'art. 4, lettera c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, con condanna dell'I.N.P.S. a corrispondergli le relative provvidenze economiche, deducendo, a tal fine, che a lui e a sua moglie, anch'essa lavoratrice dipendente, il Tribunale per i minorenni di Firenze aveva affidato in via provvisoria un minore in stato di abbandono ai sensi dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 e che lui e sua moglie, di comune accordo, avevano ritenuto necessario ed opportuno, per il migliore inserimento del bambino loro affidato (affetto da ritardo psicomotorio), che fosse il marito, anziché la moglie, ad usufruire dell'astensione dal lavoro prevista dalla norma già citata - il Pretore di Firenze, quale giudice del lavoro, con ordinanza del 4 dicembre 1990 (r.o. n. 224/91), ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, 29, primo e secondo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, nella parte in cui non consente al lavoratore, affidatario in via provvisoria di un minore ai sensi dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, di fruire dell'astensione dal lavoro durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria, qualora la moglie, anch'essa lavoratrice, vi abbia rinunciato d'accordo con lui. Il giudice a quo richiama la sentenza n. 1 del 1987 di questa Corte, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del medesimo art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, nella parte in cui non prevede che il diritto all'astensione dal lavoro e il diritto al godimento dei riposi giornalieri, riconosciuti alla sola madre lavoratrice, rispettivamente dagli artt. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, 4, lettera c) e 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 vengano riconosciuti anche al padre lavoratore, nei casi in cui l'assistenza della madre al minore sia divenuta impossibile per decesso o grave infermità. Alla luce della motivazione di tale pronunzia, il Pretore di Firenze ritiene che riservare alla sola donna lavoratrice il diritto all'astensione dal lavoro per i tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria, senza prevedere la facoltà dei coniugi, entrambi lavoratori, di accordarsi affinché sia il marito a fruire di tale diritto, non può essere giustificato dalle specifiche esigenze di tutela della salute della donna connesse al parto e si pone, quindi, in contrasto con le norme costituzionali sopra richiamate ed in particolare con il principio dell'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi stabilito dall'art. 29, secondo comma, della Costituzione, attuando una ingiustificata disparità di trattamento del marito rispetto alla moglie in rapporto al di lui diritto e interesse ad una libera ed integrale partecipazione alla prima e più delicata fase d'inserimento del minore. Ne conseguirebbe anche una possibile diminuzione delle garanzie del minore stesso rispetto all'apporto dell'affidatario. Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti Mario Sabatino e l'I.N.P.S. Il primo sulla base di una approfondita illustrazione delle ragioni enunciate nell'ordinanza di rimessione, con particolare riguardo alle affermazioni contenute nella citata sentenza n. 1 del 1987 di questa Corte circa la funzione complessiva dell'istituto in discussione, ha chiesto che della norma impugnata fosse dichiarata l'illegittimità costituzionale nei termini prospettati dal Pretore. L'istituto ha invece sostenuto l'infondatezza della questione perché "l'esperienza quotidiana dimostra incontestabilmente che, nel primo periodo di vita del figlio o, trattandosi di bambino ottenuto in affidamento provvisorio o preadottivo, nel primo periodo del suo ingresso in famiglia, la persona più idonea e qualificata per accudirlo e guidarlo nella delicata fase dello sviluppo psicofisico o dell'adattamento al nuovo ambiente familiare, è la madre: non certamente il padre". Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto.
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Firenze ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, nella parte in cui non consente al padre lavoratore, affidatario del minore ai sensi dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 insieme alla madre lavoratrice, l'astensione dal lavoro durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria, qualora la moglie, in accordo col coniuge, vi abbia rinunziato: e ciò per violazione degli artt. 3, 29, primo e secondo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione. Ritiene il giudice a quo, anche sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 1 del 1987), che riservare alla sola donna lavoratrice il diritto all'astensione dal lavoro per i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria, senza prevedere la facoltà dei coniugi, entrambi lavoratori, di accordarsi affinché sia il marito a fruire di tale diritto, non può essere giustificato dalle specifiche esigenze di tutela della salute della donna durante il parto. La norma pertanto si pone in contrasto con le disposizioni costituzionali sopra richiamate ed in particolare con il principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, in quanto attua una ingiustificata disparità di trattamento del marito rispetto alla moglie in rapporto al di lui diritto ed interesse alla partecipazione alla prima e più delicata fase di inserimento del minore nella famiglia. 2. - La questione è fondata. È noto che la legge n. 903 del 1977, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro ha investito, estendendone la portata, alcuni degli istituti previsti dalla legge n. 1204 del 30 dicembre 1971, a tutela delle lavoratrici madri. L'art. 6 estende alle lavoratrici che abbiano adottato bambini o li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo (oggi disciplinato dagli artt. 22 e seguenti della legge 4 maggio 1983, n. 184) istituti in precedenza riservati solo alla madre naturale, e precisamente: a) l'astensione obbligatoria dal lavoro, prevista dall'art. 4, lettera c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria, sempreché il bambino non abbia superato i sei anni di età; b) il diritto di astenersi successivamente dal lavoro, in conformità a quanto previsto dal primo e secondo comma dell'art. 7 della citata legge 1204, sia per un periodo di sei mesi entro il primo anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia, sia durante le malattie del bambino, sempreché, in entrambi i casi, il medesimo non abbia superato i tre anni di età. Con l'art. 7 della medesima legge n. 903 del 1977, l'astensione facoltativa dal lavoro e il diritto di ottenere permessi in caso di malattia del bambino, sono stati riconosciuti anche al padre lavoratore, pur se adottivo o affidatario, in alternativa alla madre lavoratrice, ovvero in esclusiva quando i figli siano affidati al solo padre. È, questa, la prima disposizione di legge con la quale il padre viene concretamente chiamato e messo in grado di esercitare il suo diritto-dovere di partecipazione paritaria alla cura e all'assistenza del figlio naturale, dell' adottato o dell'affidato. L'art. 80 della successiva legge 4 maggio 1983, n. 184 ha poi riconosciuto l'applicabilità dei suddetti artt. 6 e 7 della legge 903 del 1977 anche alle ipotesi di affidamento provvisorio. Infine, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha già esteso le condizioni per la partecipazione del padre anche al primo periodo di vita del bambino riconoscendogli, nei casi di filiazione naturale, il diritto all'astensione obbligatoria (oltreché ai riposi di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971), allorquando l'assistenza al minore da parte della madre sia divenuta impossibile per decesso o per grave malattia. Nella sentenza n. 1 del 1987 la Corte ha infatti affermato che l'istituto della astensione obbligatoria dal lavoro, pur perseguendo, nelle ipotesi di maternità naturale, il fine di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto onde consentirle di recuperare le necessarie energie, considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si svolge tra madre e figlio e tanto non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino. Riguardo a tali esigenze la Corte ha richiamato il principio - al quale è del resto orientata la moderna evoluzione del diritto di famiglia - di una paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all'educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi, tanto nella famiglia quanto rispetto alle attività extrafamiliari. Viene in tal modo riconosciuto che anche il padre è idoneo - e quindi tenuto - a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore, sì che non vi è ragione per negare al padre - che proprio in funzione di tale dovere e di tale capacità di assistere può già usufruire dell'astensione facoltativa - il diritto di avvalersi altresì - in caso di mancanza o di grave malattia della madre - della astensione obbligatoria nei primi tre mesi di vita del bambino. 3. - Il problema posto dalla ordinanza di remissione concerne la estensione dell'istituto della c.d. astensione obbligatoria dal lavoro - ad oggi, come più sopra ricordato, riconosciuto al padre naturale solo in surrogazione della moglie deceduta o gravemente malata - anche all'affidatario ex art. 10 della legge n. 184 del 1983, sì che questi possa vedere esteso il diritto di astensione dal lavoro di cui oggi gode in alternativa alla moglie affidataria, anche ai primi tre mesi dell'inserimento del minore nella famiglia, con il trattamento economico proprio della astensione obbligatoria. Va a questo proposito innanzitutto precisato che per l'art. 10 della legge n. 184 del 1983, il Tribunale dei minorenni, nel corso degli accertamenti sullo stato di abbandono, può emettere ogni opportuno provvedimento nei confronti del minore, ivi compresa la sospensione della potestà e la nomina di un tutore, e può altresì provvedere ad un affidamento provvisorio del minore, onde favorire il superamento dei guasti dell'abbandono mediante l'inserimento in un ambiente familiare idoneo, certamente più favorevole allo sviluppo del minore rispetto alla permanenza in istituto e ciò indipendentemente dagli sviluppi cui l'affidamento possa successivamente dar luogo in funzione di una possibile adozione. Con riferimento a tale istituto, questa Corte, con la sentenza n. 332 del 1988, ha già affermato, che non è possibile "ritenere che la provvisorietà dell'affidamento possa giustificare la esclusione della operatività di istituti che - consentendo una maggiore presenza ed attenzione del soggetto affidatario - sono volti essenzialmente, quando non esclusivamente, ad agevolare il processo di sviluppo anche relazionale ed affettivo del bambino".Nell'ipotesi di affidamento provvisorio (così come in quella di affidamento preadottivo e di adozione) il beneficio della astensione obbligatoria non ha per fine la tutela della salute della madre, che è collegata strettamente al parto, ma mira esclusivamente ad agevolare il processo di sviluppo - anche relazionale ed affettivo - del bambino, creando le condizioni di una più intensa presenza della coppia, i cui componenti sono entrambi affidatari, e come tali entrambi protagonisti, nell'esercizio dei loro doveri e diritti, della buona riuscita del delicato compito loro commesso dalla legge e dall'autorità giudiziaria. Non vi è, già per questo, ragione alcuna per limitare i diritti dell'affidatario all'astensione facoltativa e non estenderli a quella obbligatoria. Il diritto all'astensione obbligatoria spetta certamente alla lavoratrice affidataria ma - una volta esclusa la tutela della sua salute - non vi è motivo perché, in relazione ad una più funzionale e completa assistenza al bambino (che costituisce l'unica finalità dell'istituto), esso non possa essere anche riconosciuto in via alternativa al coniuge affidatario.Non vi è dubbio che la funzione "materna" dell'affidataria sia particolarmente importante nella fase dell'ingresso del minore abbandonato nel nuovo nucleo familiare. Ma ciò non significa che tale funzione non possa e non debba essere svolta in piena integrazione con una altrettanto incisiva presenza dell'affidatario, il quale anzi potrebbe a volte essere in grado, in relazione alle variabili peculiarità delle situazioni concrete, di meglio seguire e assistere il minore in questa particolare fase del suo sviluppo: e ciò nel quadro di una organizzazione della vita familiare e di lavoro valutata concordemente dai coniugi come idonea a meglio rispondere alle esigenze di cura e di assistenza del minore da parte di entrambe le figure "genitoriali". In questo senso, è ben possibile che, in relazione alle diverse situazioni che in concreto si possono manifestare, ed anche alla durata e al modo di svolgimento dei rispettivi impegni di lavoro, appaia razionale e necessario che l'astensione obbligatoria dal lavoro, sia usufruita dall'affidatario in alternativa alla moglie, sulla base di valutazioni effettuate congiuntamente tra i coniugi e finalizzate esclusivamente al preminente interesse del bambino, la mancata salvaguardia del quale potrebbe d'altronde comportare la revoca dello stesso affidamento. D'altra parte lo stesso principio di parità sancito nella Costituzione ha determinato la crescita di un processo culturale orientato, come già si è detto, al superamento della separatezza dei ruoli della donna e dell'uomo, nella famiglia e fuori di essa, e verso una più paritetica partecipazione di entrambi ai compiti di cura, di assistenza e di educazione dei minori. E non è in tal senso privo di significato il fatto che - con riferimento alla questione all'attenzione della Corte - diverse proposte di legge siano state presentate e siano in discussione in Parlamento per estendere il diritto del padre naturale all'astensione obbligatoria al di là dei casi di impedimento considerati da questa Corte nella sentenza n. 1 del 1987 e per consentire ai padri preadottivi e adottivi l'astensione obbligatoria in alternativa alla madre nei primi tre mesi di ingresso nella famiglia.Con questi interessi e valori costituzionalmente protetti, che tendono ad una completa tutela dell'interesse del bambino attraverso una più piena realizzazione dei principi di uguaglianza sostanziale dei coniugi, e di una loro paritaria partecipazione alla sua cura ed assistenza, contrasta una normativa che, riconoscendo il diritto all'astensione obbligatoria solo alla donna affidataria e non anche al coniuge in alternativa ad essa, non consente la possibilità di una più completa, razionale ed equilibrata presenza di entrambi i componenti la coppia affidataria al processo di educazione, impedendo una organizzazione della loro vita familiare e di lavoro meglio rispondente a tale finalità. Ne consegue l'incostituzionalità dell' art. 7 della legge n. 903 del 1977 - che si applica anche all'affidamento provvisorio disposto ai sensi dell'art. 10 della legge n. 184 del 1983 (e ciò per effetto dell'art. 80 della medesima legge) - sia con riferimento al principio di uguaglianza tra i coniugi, stabilito dall'art. 29, secondo comma, della Costituzione, in relazione anche ai compiti di cui all'art. 30, sia con riferimento all'art. 31, secondo comma, che pone la tutela del minore come compito fondamentale dell'ordinamento. La normativa impugnata, inoltre, si pone in contrasto con l'art. 37, che garantisce la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, e con l'art. 3, primo e secondo comma, in quanto, indirettamente imponendo solo alla donna di sacrificare le esigenze e gli interessi inerenti al suo lavoro per accudire il minore affidato, colloca lo svolgimento della personalità della donna nella dimensione del lavoro in posizione sottordinata rispetto alla considerazione che viene attribuita al lavoro dell'uomo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui non consente al lavoratore, affidatario di minore ai sensi dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, l'astensione dal lavoro durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria, in alternativa alla moglie lavoratrice.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.
Il Presidente: GALLO Il redattore: SPAGNOLI Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 15 luglio 1991. Il direttore della cancelleria: MINELLI
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