N. 150 SENTENZA 14-21 APRILE 1994
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: prof. Gabriele PESCATORE; Giudici: Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 907 (recte: n. 903) (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), promosso con ordinanza emessa l'11 maggio 1993 dal Pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Demoro Maurizio e l'A.M.T. di Genova, iscritta al n. 349 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di costituzione dell'A.M.T. di Genova; Udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso; Udito l'avv. Sergio Medina per l'A.M.T. di Genova.
Ritenuto in fatto
1. - Nel giudizio promosso da Demoro Maurizio, dipendente dell'A.M.T. (Azienda Municipalizzata Trasporti) di Genova, con ricorso ex art. 700 c.p.c., con il quale il ricorrente chiedeva di essere ammesso, ai sensi dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, a fruire di un periodo di astensione facoltativa post-partum parzialmente retribuita (di cui all'art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204) in alternativa alla moglie, esercente l'attività di commerciante, il Pretore di Genova, con ordinanza emessa l'11 maggio 1993, ha sollevato d'ufficio - in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, 31, secondo comma, e 37 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 907 (recte, n. 903) (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui riconosce al padre lavoratore il diritto all'astensione facoltativa dal lavoro per sei mesi nel primo anno di vita del bambino soltanto nell'ipotesi in cui anche la madre sia lavoratrice subordinata e non anche nel caso in cui questa sia lavoratrice autonoma. Il giudice rimettente rileva che la disciplina vigente riconosce al padre lavoratore il diritto a godere di detta astensione facoltativa solo qualora entrambi i coniugi siano lavoratori subordinati, mentre la madre ne usufruisce in ogni caso, purché svolga attività lavorativa subordinata. Il Pretore ritiene che la questione di legittimità costituzionale sia non manifestamente infondata. Infatti, sotto un primo profilo, ad avviso del giudice a quo, la disciplina attuale realizzerebbe una disparità di trattamento basata sul sesso, perché consente alla madre coniugata con un lavoratore autonomo di usufruire di questo diritto, che è, invece, negato al padre coniugato con una lavoratrice autonoma, in contrasto con quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 179 del 1993. Inoltre, a parere del giudice rimettente, verrebbe sacrificato il superiore interesse del bambino, non potendo i genitori scegliere chi tra loro debba momentaneamente sospendere la propria attività lavorativa per dedicarsi al figlio. Infine, secondo il Pretore, la disciplina su illustrata determinerebbe un trattamento deteriore delle lavoratrici autonome rispetto a quelle subordinate, quando entrambe siano coniugate con un lavoratore subordinato, poiché è negata alle prime la possibilità di scegliere - d'accordo con il marito - chi debba sospendere l'attività lavorativa per accudire al figlio. Ritiene il giudice a quo che nella fattispecie non assumono rilievo le differenze relative alla diversità delle situazioni del lavoratore autonomo e subordinato, poste a base della sentenza n. 181 del 1993 di questa Corte, perché "non si tratta di estendere norme previste per il lavoro subordinato a quello autonomo, ma di equiparare il lavoratore subordinato alla lavoratrice subordinata". 2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita l'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile, ovvero non fondata ovvero ancora, ed in subordine, che venga accolta mediante una pronuncia relativa all'intero "sistema" e non alla singola norma, seguendo una tipologia simile a quella della sentenza n. 243 del 1993. Rileva anzitutto l'Azienda Municipalizzata Trasporti che la questione è inammissibile per una molteplicità di profili. In primo luogo, ritiene la parte che la questione difetti di rilevanza, in quanto il Pretore di Genova ha successivamente deciso il ricorso con decreto emesso inaudita altera parte, confermato con ordinanza, nella quale è stato riconosciuto, in via cautelare, il diritto per cui era stato adito, fissandosi ulteriormente il termine di trenta giorni dalla comunicazione per l'inizio della causa di merito. In secondo luogo, la soluzione della questione sollevata dal Pretore di Genova, secondo quanto già rilevato da questa Corte con la sentenza n. 181 del 1993, non potrebbe che rientrare nella discrezionalità del legislatore. Se poi si superassero tali profili pregiudiziali, la questione dovrebbe dichiararsi non fondata, in quanto l'obiettiva differenza delle situazioni giustifica la diversità di trattamento tra padre lavoratore e madre lavoratrice, ambedue subordinati, ove coniugati rispettivamente con una lavoratrice o con un lavoratore autonomo. Tale obiettiva differenza escluderebbe, a parere della deducente, anche la presunta violazione degli artt. 29, secondo comma, e 30 della Costituzione, mentre il riferimento agli artt. 31, secondo comma, e 37 della Costituzione apparirebbe inconferente poiché la "protezione della maternità" è indipendente dallo status del padre lavoratore e l'art. 37 della Costituzione riguarda soltanto il lavoro subordinato. Infine, ad avviso dell'Azienda municipalizzata trasporti, ove si ritenesse fondata la questione, la Corte non potrebbe pervenire ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma con una sentenza di tipo additivo, ma dovrebbe seguire la tipologia della sentenza n. 243 del 1993, dichiarando illegittimo "il sistema" che concerne il diritto a fruire dell'astensione facoltativa, nella parte in cui non preveda meccanismi legislativi a favore del padre lavoratore subordinato, qualora la madre sia lavoratrice autonoma, così da consentire al legislatore di predisporre adeguata tutela.
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Genova dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, 31, secondo comma, e 37 della Costituzione, dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 907 (recte, n. 903) (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui riconosce al padre lavoratore il diritto all'astensione facoltativa dal lavoro per sei mesi nel primo anno di vita del bambino soltanto nell'ipotesi in cui la madre sia lavoratrice subordinata, e non anche nel caso in cui questa sia lavoratrice autonoma. 2. - Devono anzitutto essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa dell'Azienda Municipalizzata Trasporti. Mentre la seconda di esse - circa la discrezionalità delle scelte fatte in materia dal legislatore - può essere considerata insieme alla valutazione del merito della questione, in ordine alla prima eccezione è sufficiente osservare che il Pretore, adito ai sensi dell'art. 700 c.p.c., avendo sollevato la questione di costituzionalità prima di concedere o negare i richiesti provvedimenti cautelari e prima dell'apertura della fase di piena cognizione della domanda, non aveva ancora esaurito la sua funzione giurisdizionale ed era pertanto legittimato nel momento in cui ha rilevato d'ufficio i dubbi di costituzionalità. La questione di costituzionalità deve quindi ritenersi, sotto questo profilo, ammissibile. 3. - Nel merito la questione non è fondata. Giova premettere il rilievo circa le notevoli differenze riscontrabili fra le caratteristiche del lavoro subordinato rispetto a quelle del lavoro autonomo in relazione a molteplici profili, per cui questa Corte (sent. n. 31 del 1986) ebbe già ad affermare che non può pretendersi - ai sensi degli artt. 3 e 38 della Costituzione - che il sistema previdenziale sia identico per entrambi i tipi di lavoro. Per quanto in particolare riguarda le norme relative alla tutela della maternità, con la sent. n. 181 del 1993 la Corte ha avuto modo di affermare (a proposito dell'art. 5 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204) la non estensibilità alle lavoratrici autonome del diritto riconosciuto da quella disposizione soltanto a favore delle lavoratrici subordinate, proprio per i richiamati caratteri distintivi, osservando, tra l'altro, che "sussistono ragionevoli margini per una certa differenziazione del trattamento a motivo delle diverse situazioni in cui si trovano ad operare le lavoratrici autonome e subordinate, nonché per i differenti rispettivi sistemi contributivi". In quella stessa occasione, la Corte rivolgeva, sì, un forte invito al legislatore per una più adeguata normativa a favore della maternità delle lavoratrici autonome, ma non in forza di una comparazione ( ex art. 3 della Costituzione) con la disciplina prevista per le lavoratrici subordinate, bensì unicamente in considerazione della esigenza di tutela della salute della madre e del bambino (art. 32 della Costituzione), oltre che del valore della maternità (art. 31 della Costituzione).4. - Le osservazioni ora fatte valgono a dare risposta negativa ai vari profili di incostituzionalità prospettati dal giudice a quo, ed anzitutto a quello col quale si lamenta l'ingiustificata disparità di trattamento che la norma impugnata determinerebbe fra la lavoratrice subordinata e quella autonoma. In proposito, deve anzitutto precisarsi che la norma denunziata (art. 7 della legge n. 903 del 1977) riguarda la posizione del padre lavoratore e non quella della madre, per cui la comparazione non può essere fatta in questa sede fra le differenti situazioni delle due lavoratrici madri. Va comunque osservato che la diversa norma specifica (art. 7 della legge n. 1204 del 1971) riconosce il prioritario diritto di astensione semestrale solo alla madre lavoratrice subordinata, appunto per la ragionevole non comparabilità di questa situazione con quella della lavoratrice autonoma. 5. - Meritano più attento esame gli altri due profili della questione proposti dall'ordinanza di rimessione: quello cioè della disparità di trattamento basata sul sesso e quello del pregiudizio per il superiore interesse del bambino. In ordine al primo profilo la questione non può ritenersi fondata, dal momento che sussistono delle diversità fra la madre ed il padre (ancorché entrambi lavoratori subordinati) in relazione al diritto di astensione semestrale dal lavoro nel corso del primo anno di vita del figlio. Per la madre, invero, tale diritto può in certa misura qualificarsi proprio o "primario", per il padre esso ha invece carattere derivato o "sussidiario". E ciò sia per la maggiore importanza della presenza della madre nel primo anno di vita del bambino ("natura clamat"), sia per i diversi riconoscimenti normativi. A tal proposito, deve notarsi che la legge n. 1204 del 1971 prevedeva l'astensione semestrale solo a favore della madre (nel quadro appunto delle provvidenze a tutela della maternità). Quando, successivamente, tale diritto è stato riconosciuto anche al padre, la legge n. 903 del 1977, oltre a fare espresso rinvio alla precedente disciplina, confermando la titolarità prioritaria del diritto stesso in capo alla madre, ha limitato il subentro del padre al verificarsi di precise condizioni: a) nell'ipotesi in cui il figlio sia stato a lui solo affidato dal giudice; b) nelle altre ipotesi, alle condizioni che la madre consenta di farsi sostituire e dichiari espressamente di rinunziare ad esercitare il proprio diritto. Dal che si evince chiaramente che, nell'intenzione del legislatore, il diritto materno, oltre ad essere prioritario, costituisce il presupposto indispensabile affinché lo stesso possa essere esercitato, in via sussidiaria, dal padre.6. - Questa differenza, nonché quella di fondo fra lavoro subordinato e lavoro autonomo, illuminano anche la soluzione del dubbio espresso circa l'interesse del bambino, dal momento che proprio la tutela di questo superiore interesse giustifica l'astensione semestrale dal lavoro dell'uno o dell'altro dei genitori quando essi sono lavoratori subordinati, dato che tali prestazioni vengono il più delle volte a sovrapporsi in relazione a diversi aspetti (orari, dipendenza da superiori, destinazione nelle diverse sedi e così via); mentre nel caso di madre lavoratrice autonoma è più agevole realizzare in vario modo la sua vicinanza al figlio, e di converso l'astensione dal lavoro del padre potrebbe mirare a favorire piuttosto l'interesse all'attività della moglie. Tutto ciò senza considerare che, ove si ritenesse prevalente una diversa soluzione della questione, sussisterebbero notevoli difficoltà di prova circa l'effettivo espletamento o l'astensione della madre dal lavoro autonomo, i cui connotati peculiari, oltre a consentire una più compatibile redistribuzione dello stesso, potrebbero prestarsi ad una sostanziale elusione delle finalità e dei presupposti ai quali si ispira la norma impugnata.Le esposte osservazioni conducono quindi a ritenere non irragionevole la differente disciplina delle situazioni considerate, rimanendo ovviamente aperta la possibilità, di cui è auspicabile la realizzazione, che il futuro legislatore perfezioni nel modo che riterrà opportuno la normativa vigente nel senso di una maggiore protezione del valore della maternità anche a favore delle lavoratrici autonome.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, 31, secondo comma, e 37 della Costituzione, dal Pretore di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1994.
Il Presidente: PESCATORE Il redattore: SANTOSUOSSO Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 21 aprile 1994. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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