Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0150 del 1994 inserita nel sistema il 10/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di rigetto con monito al legislatore
Disposizione oggetto: legge 903/1977 art.7:
-Esplicita valutazione delle conseguenze pratiche dell'eventuale accoglimento
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.29 comma 2:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.31:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)

N. 150
SENTENZA 14-21 APRILE 1994

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: prof. Gabriele PESCATORE;
Giudici: Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo
CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9
dicembre 1977, n. 907 (recte: n. 903) (Parità di trattamento tra
uomini e donne in materia di lavoro), promosso con ordinanza emessa
l'11 maggio 1993 dal Pretore di Genova nel procedimento civile
vertente tra Demoro Maurizio e l'A.M.T. di Genova, iscritta al n. 349
del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1993;
Visto l'atto di costituzione dell'A.M.T. di Genova;
Udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1994 il Giudice
relatore Fernando Santosuosso;
Udito l'avv. Sergio Medina per l'A.M.T. di Genova.

Ritenuto in fatto

1. - Nel giudizio promosso da Demoro Maurizio, dipendente
dell'A.M.T. (Azienda Municipalizzata Trasporti) di Genova, con
ricorso ex art. 700 c.p.c., con il quale il ricorrente chiedeva di
essere ammesso, ai sensi dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n.
903, a fruire di un periodo di astensione facoltativa post-partum
parzialmente retribuita (di cui all'art. 7 della legge 30 dicembre
1971, n. 1204) in alternativa alla moglie, esercente l'attività di
commerciante, il Pretore di Genova, con ordinanza emessa l'11 maggio
1993, ha sollevato d'ufficio - in riferimento agli artt. 3, 29,
secondo comma, 30, 31, secondo comma, e 37 della Costituzione -
questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9
dicembre 1977, n. 907 (recte, n. 903) (Parità di trattamento tra
uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui riconosce al
padre lavoratore il diritto all'astensione facoltativa dal lavoro per
sei mesi nel primo anno di vita del bambino soltanto nell'ipotesi in
cui anche la madre sia lavoratrice subordinata e non anche nel caso
in cui questa sia lavoratrice autonoma.
Il giudice rimettente rileva che la disciplina vigente riconosce
al padre lavoratore il diritto a godere di detta astensione
facoltativa solo qualora entrambi i coniugi siano lavoratori
subordinati, mentre la madre ne usufruisce in ogni caso, purché
svolga attività lavorativa subordinata.
Il Pretore ritiene che la questione di legittimità costituzionale
sia non manifestamente infondata.
Infatti, sotto un primo profilo, ad avviso del giudice a quo, la
disciplina attuale realizzerebbe una disparità di trattamento basata
sul sesso, perché consente alla madre coniugata con un lavoratore
autonomo di usufruire di questo diritto, che è, invece, negato al
padre coniugato con una lavoratrice autonoma, in contrasto con quanto
affermato da questa Corte con la sentenza n. 179 del 1993.
Inoltre, a parere del giudice rimettente, verrebbe sacrificato il
superiore interesse del bambino, non potendo i genitori scegliere chi
tra loro debba momentaneamente sospendere la propria attività
lavorativa per dedicarsi al figlio.
Infine, secondo il Pretore, la disciplina su illustrata
determinerebbe un trattamento deteriore delle lavoratrici autonome
rispetto a quelle subordinate, quando entrambe siano coniugate con un
lavoratore subordinato, poiché è negata alle prime la possibilità
di scegliere - d'accordo con il marito - chi debba sospendere
l'attività lavorativa per accudire al figlio.
Ritiene il giudice a quo che nella fattispecie non assumono
rilievo le differenze relative alla diversità delle situazioni del
lavoratore autonomo e subordinato, poste a base della sentenza n. 181
del 1993 di questa Corte, perché "non si tratta di estendere norme
previste per il lavoro subordinato a quello autonomo, ma di
equiparare il lavoratore subordinato alla lavoratrice subordinata".
2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita
l'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova, chiedendo che la
questione venga dichiarata inammissibile, ovvero non fondata ovvero
ancora, ed in subordine, che venga accolta mediante una pronuncia
relativa all'intero "sistema" e non alla singola norma, seguendo una
tipologia simile a quella della sentenza n. 243 del 1993.
Rileva anzitutto l'Azienda Municipalizzata Trasporti che la
questione è inammissibile per una molteplicità di profili.
In primo luogo, ritiene la parte che la questione difetti di
rilevanza, in quanto il Pretore di Genova ha successivamente deciso
il ricorso con decreto emesso inaudita altera parte, confermato con
ordinanza, nella quale è stato riconosciuto, in via cautelare, il
diritto per cui era stato adito, fissandosi ulteriormente il termine
di trenta giorni dalla comunicazione per l'inizio della causa di
merito.
In secondo luogo, la soluzione della questione sollevata dal
Pretore di Genova, secondo quanto già rilevato da questa Corte con
la sentenza n. 181 del 1993, non potrebbe che rientrare nella
discrezionalità del legislatore.
Se poi si superassero tali profili pregiudiziali, la questione
dovrebbe dichiararsi non fondata, in quanto l'obiettiva differenza
delle situazioni giustifica la diversità di trattamento tra padre
lavoratore e madre lavoratrice, ambedue subordinati, ove coniugati
rispettivamente con una lavoratrice o con un lavoratore autonomo.
Tale obiettiva differenza escluderebbe, a parere della deducente,
anche la presunta violazione degli artt. 29, secondo comma, e 30
della Costituzione, mentre il riferimento agli artt. 31, secondo
comma, e 37 della Costituzione apparirebbe inconferente poiché la
"protezione della maternità" è indipendente dallo status del padre
lavoratore e l'art. 37 della Costituzione riguarda soltanto il lavoro
subordinato.
Infine, ad avviso dell'Azienda municipalizzata trasporti, ove si
ritenesse fondata la questione, la Corte non potrebbe pervenire ad
una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma con
una sentenza di tipo additivo, ma dovrebbe seguire la tipologia della
sentenza n. 243 del 1993, dichiarando illegittimo "il sistema" che
concerne il diritto a fruire dell'astensione facoltativa, nella parte
in cui non preveda meccanismi legislativi a favore del padre
lavoratore subordinato, qualora la madre sia lavoratrice autonoma,
così da consentire al legislatore di predisporre adeguata tutela.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Genova dubita della legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30,
31, secondo comma, e 37 della Costituzione, dell'art. 7 della legge 9
dicembre 1977, n. 907 (recte, n. 903) (Parità di trattamento tra
uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui riconosce al
padre lavoratore il diritto all'astensione facoltativa dal lavoro per
sei mesi nel primo anno di vita del bambino soltanto nell'ipotesi in
cui la madre sia lavoratrice subordinata, e non anche nel caso in cui
questa sia lavoratrice autonoma.
2. - Devono anzitutto essere esaminate le eccezioni di
inammissibilità sollevate dalla difesa dell'Azienda Municipalizzata
Trasporti. Mentre la seconda di esse - circa la discrezionalità
delle scelte fatte in materia dal legislatore - può essere
considerata insieme alla valutazione del merito della questione, in
ordine alla prima eccezione è sufficiente osservare che il Pretore,
adito ai sensi dell'art. 700 c.p.c., avendo sollevato la questione di
costituzionalità prima di concedere o negare i richiesti
provvedimenti cautelari e prima dell'apertura della fase di piena
cognizione della domanda, non aveva ancora esaurito la sua funzione
giurisdizionale ed era pertanto legittimato nel momento in cui ha
rilevato d'ufficio i dubbi di costituzionalità.
La questione di costituzionalità deve quindi ritenersi, sotto
questo profilo, ammissibile.
3. - Nel merito la questione non è fondata.
Giova premettere il rilievo circa le notevoli differenze
riscontrabili fra le caratteristiche del lavoro subordinato rispetto
a quelle del lavoro autonomo in relazione a molteplici profili, per
cui questa Corte (sent. n. 31 del 1986) ebbe già ad affermare che
non può pretendersi - ai sensi degli artt. 3 e 38 della Costituzione
- che il sistema previdenziale sia identico per entrambi i tipi di
lavoro.
visualizza testo argomento Per quanto in particolare riguarda le norme relative alla tutela
della maternità, con la sent. n. 181 del 1993 la Corte ha avuto modo
di affermare (a proposito dell'art. 5 della legge 30 dicembre 1971,
n. 1204) la non estensibilità alle lavoratrici autonome del diritto
riconosciuto da quella disposizione soltanto a favore delle
lavoratrici subordinate, proprio per i richiamati caratteri
distintivi, osservando, tra l'altro, che "sussistono ragionevoli
margini per una certa differenziazione del trattamento a motivo delle
diverse situazioni in cui si trovano ad operare le lavoratrici
autonome e subordinate, nonché per i differenti rispettivi sistemi
contributivi".
In quella stessa occasione, la Corte rivolgeva, sì, un forte
invito al legislatore per una più adeguata normativa a favore della
maternità delle lavoratrici autonome, ma non in forza di una
comparazione ( ex art. 3 della Costituzione) con la disciplina
prevista per le lavoratrici subordinate, bensì unicamente in
considerazione della esigenza di tutela della salute della madre e
del bambino (art. 32 della Costituzione), oltre che del valore della
maternità (art. 31 della Costituzione).4. - Le osservazioni ora fatte valgono a dare risposta negativa ai
vari profili di incostituzionalità prospettati dal giudice a quo, ed
anzitutto a quello col quale si lamenta l'ingiustificata disparità
di trattamento che la norma impugnata determinerebbe fra la
lavoratrice subordinata e quella autonoma. In proposito, deve
anzitutto precisarsi che la norma denunziata (art. 7 della legge n.
903 del 1977) riguarda la posizione del padre lavoratore e non quella
della madre, per cui la comparazione non può essere fatta in questa
sede fra le differenti situazioni delle due lavoratrici madri. Va
comunque osservato che la diversa norma specifica (art. 7 della legge
n. 1204 del 1971) riconosce il prioritario diritto di astensione
semestrale solo alla madre lavoratrice subordinata, appunto per la
ragionevole non comparabilità di questa situazione con quella della
lavoratrice autonoma.
5. - Meritano più attento esame gli altri due profili della
questione proposti dall'ordinanza di rimessione: quello cioè della
disparità di trattamento basata sul sesso e quello del pregiudizio
per il superiore interesse del bambino.
visualizza testo argomento In ordine al primo profilo la questione non può ritenersi
fondata, dal momento che sussistono delle diversità fra la madre ed
il padre (ancorché entrambi lavoratori subordinati) in relazione al
diritto di astensione semestrale dal lavoro nel corso del primo anno
di vita del figlio. Per la madre, invero, tale diritto può in certa
misura qualificarsi proprio o "primario", per il padre esso ha invece
carattere derivato o "sussidiario". E ciò sia per la maggiore
importanza della presenza della madre nel primo anno di vita del
bambino ("natura clamat"), sia per i diversi riconoscimenti
normativi. A tal proposito, deve notarsi che la legge n. 1204 del
1971 prevedeva l'astensione semestrale solo a favore della madre (nel
quadro appunto delle provvidenze a tutela della maternità). Quando,
successivamente, tale diritto è stato riconosciuto anche al padre,
la legge n. 903 del 1977, oltre a fare espresso rinvio alla
precedente disciplina, confermando la titolarità prioritaria del
diritto stesso in capo alla madre, ha limitato il subentro del padre
al verificarsi di precise condizioni: a) nell'ipotesi in cui il
figlio sia stato a lui solo affidato dal giudice; b) nelle altre
ipotesi, alle condizioni che la madre consenta di farsi sostituire e
dichiari espressamente di rinunziare ad esercitare il proprio
diritto. Dal che si evince chiaramente che, nell'intenzione del
legislatore, il diritto materno, oltre ad essere prioritario,
costituisce il presupposto indispensabile affinché lo stesso possa
essere esercitato, in via sussidiaria, dal padre.6. - visualizza testo argomento Questa differenza, nonché quella di fondo fra lavoro
subordinato e lavoro autonomo, illuminano anche la soluzione del
dubbio espresso circa l'interesse del bambino, dal momento che
proprio la tutela di questo superiore interesse giustifica
l'astensione semestrale dal lavoro dell'uno o dell'altro dei genitori
quando essi sono lavoratori subordinati, dato che tali prestazioni
vengono il più delle volte a sovrapporsi in relazione a diversi
aspetti (orari, dipendenza da superiori, destinazione nelle diverse
sedi e così via); mentre nel caso di madre lavoratrice autonoma è
più agevole realizzare in vario modo la sua vicinanza al figlio, e
di converso l'astensione dal lavoro del padre potrebbe mirare a
favorire piuttosto l'interesse all'attività della moglie. visualizza testo argomento Tutto ciò senza considerare che, ove si ritenesse prevalente una
diversa soluzione della questione, sussisterebbero notevoli
difficoltà di prova circa l'effettivo espletamento o l'astensione
della madre dal lavoro autonomo, i cui connotati peculiari, oltre a
consentire una più compatibile redistribuzione dello stesso,
potrebbero prestarsi ad una sostanziale elusione delle finalità e
dei presupposti ai quali si ispira la norma impugnata.Le esposte osservazioni conducono quindi a ritenere non
irragionevole la differente disciplina delle situazioni considerate,
rimanendo ovviamente aperta la possibilità, di cui è auspicabile la
realizzazione, che il futuro legislatore perfezioni nel modo che
riterrà opportuno la normativa vigente nel senso di una maggiore
protezione del valore della maternità anche a favore delle
lavoratrici autonome.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di
trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, 31, secondo comma, e
37 della Costituzione, dal Pretore di Genova con l'ordinanza indicata
in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1994.

Il Presidente: PESCATORE
Il redattore: SANTOSUOSSO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 21 aprile 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA

 
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