N. 12 SENTENZA 28 GENNAIO-5 FEBBRAIO 1998
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: prof. Francesco GUIZZI; Giudici: prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) e 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 550 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1996)), promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1996 dalla Commissione tributaria di primo grado di Genova sul ricorso proposto da Giancarlo Alberti ed altra contro l'Intendenza di finanza di Genova iscritta al n. 848 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1996; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 12 novembre 1997 il giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto in fatto
1. - Nel giudizio promosso dai coniugi Giancarlo Alberti e Luisa Franceschini contro la rettifica, operata dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Chiavari, nei riguardi delle denunce dei redditi congiunte da loro presentate in riferimento agli anni 1981/1983 - con le quali si erano attribuiti la contitolarità del reddito del marito, dividendolo in parti uguali ed applicando a ciascuno l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo - la Commissione tributaria di primo grado di Genova, con una prima ordinanza emessa il 16 giugno 1994, sollevò questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) - ed in particolare dell'art. 3 "nella parte in cui non prevede che il reddito del marito venga imputato in parte anche alla moglie priva di redditi propri, al fine della imposizione tributaria, anziché essere attribuito al solo coniuge produttore del reddito stesso", in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione. La questione fu dichiarata inammissibile con la sentenza n. 358 del 1995, in quanto questa Corte, pur riconoscendo che "l'attuale trattamento fiscale della famiglia penalizza i nuclei monoreddito e le famiglie numerose con componenti che non producono o svolgono lavoro casalingo", ha ritenuto che i rimedi per il necessario ristabilimento dell'equità fiscale in materia e la tutela della famiglia sotto questo aspetto non potevano essere apprestati dal giudice delle leggi mediante l'accoglimento della questione nei termini in cui era proposta. Ora la Commissione tributaria, con ordinanza del 16 giugno 1994, solleva nuovamente la questione, ricomprendendovi non solo il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 - e specificamente l'art. 3 - ma anche l'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 550 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1996)), in riferimento, oltre che agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione, anche all'art. 24. Secondo il giudice rimettente: a) i dubbi sollevati in dottrina circa le conseguenze delle sentenze della Corte che dichiarano l'inammissibilità della questione in quanto rientrante nella discrezionalità del legislatore (che comporterebbero "il pericolo di un grave sovvertimento dei valori costituzionali, di una iperprotezione dell'inerzia del legislatore e di una abdicazione della funzione della Corte costituzionale come giudice delle leggi") sono "argomenti nuovi nel caso specifico in quanto non sollevati nella precedente ordinanza di rimessione alla Corte, così che la questione, sotto questo nuovo profilo argomentativo, appare riproponibile"; b) anche la normativa introdotta in materia con la legge n. 550 del 1995 al fine di rispondere al precedente monito della Corte appare illegittima, violando "i valori costituzionali della parità di trattamento, della equità fiscale e della tutela della famiglia": da un lato, essendo "rivolta esclusivamente al futuro, lascia completamente prive di tutela proprio quelle situazioni - come quella del ricorrente - rispetto a cui è stato adito il giudice (e tale scelta appare anche contraria all'art. 24 della Costituzione, perché vanifica la tutela giurisdizionale dei diritti)"; dall'altro, la Corte, nella sentenza n. 358 del 1995, aveva indicato "la necessità costituzionale di modificazioni di una certa ampiezza, con implicita inadeguatezza, secondo i parametri costituzionali di cui la Corte è custode ed interprete, di soluzioni molto più limitate, quale è appunto quella adottata"; c) una delle possibili modalità di intervento della Corte costituzionale, non suggerita precedentemente, è rappresentata da una sentenza "additiva di principio", cioè dalla dichiarazione di incostituzionalità accompagnata dalla fissazione di "un termine entro cui il legislatore debba (e non soltanto possa) intervenire". 2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso della manifesta inammissibilità o, in subordine, dell'infondatezza della questione. Secondo la difesa erariale, con la sentenza n. 358 del 1995 la Corte aveva precisato che il ristabilimento dell'equità fiscale, pur necessario, non le competeva, spettando solo al legislatore, il quale è in realtà intervenuto, nei limiti consentiti dalle condizioni della finanza pubblica. "Ma è ovvio che il suo intervento non avrebbe potuto essere che per l'avvenire, giammai per il passato, in quanto un intervento correttivo anche per le situazioni pregresse non avrebbe potuto essere compensato adeguatamente nel giuoco degli equilibri finanziari. E la Corte, del resto, segnala al legislatore la necessità non già di ripristinare l'equilibrio anche per il passato, ma solo di non protrarre ulteriormente la sperequazione, evidentemente per il futuro".
Considerato in diritto
1. - La Commissione tributaria di primo grado di Genova dubita della legittimità costituzionale: a) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (recante "Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche", che è stato poi trasfuso nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) - e specificamente dell'art. 3 - "nella parte in cui non prevede che il reddito del marito venga imputato in parte anche alla moglie priva di redditi propri, al fine della imposizione tributaria, anziché essere attribuito al solo coniuge produttore del reddito stesso", in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione; b) dell'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 550 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1996)) - che ha elevato le detrazioni di imposta per il coniuge a carico ed ha aumentato l'importo dell'assegno per il nucleo familiare - in riferimento, oltre che ai parametri già indicati, anche all'art. 24 della Costituzione, poiché la norma, essendo "rivolta esclusivamente al futuro, lascia completamente prive di tutela proprio quelle situazioni - come quella del ricorrente - rispetto a cui è stato adito il giudice". 2. - La questione è inammissibile. È infatti ius receptum che il giudice a quo non può rimettere una seconda volta alla Corte costituzionale la medesima questione nel corso dello stesso grado del giudizio pendente fra le stesse parti (nel caso in cui la Corte abbia emesso una pronuncia di carattere decisorio fondata su motivi non rimuovibili dal giudice a quo: cfr. ordinanza n. 536 del 1988 e sentenza n. 433 del 1995), salvo che essa non venga riformulata in termini nuovi, con riferimento cioè ad un quadro normativo ed argomentativo sostanzialmente diverso (cfr. sentenze n. 350 del 1987 e n. 257 del 1991); e ciò per evitare un bis in idem che si risolverebbe nella impugnazione della precedente decisione della Corte (cfr. ordinanze. n. 197 del 1983 e n. 536 del 1988).3. - Nella specie, in un giudizio tributario avverso la rettifica operata dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Chiavari nei confronti di denunce dei redditi relative agli anni 1981/1983, i coniugi Giancarlo Alberti e Luisa Franceschini avevano invocato l'applicazione del sistema del c.d. splitting vigente in alcuni Paesi occidentali. In proposito la Commissione tributaria di primo grado di Genova, con ordinanza del 16 giugno 1994, aveva già sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 "nella parte in cui non prevede che il reddito del marito venga imputato in parte alla moglie priva di redditi propri, al fine della imposizione tributaria, anziché essere attribuito al solo coniuge produttore del reddito stesso", in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione. Tale questione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte con sentenza n. 358 del 1995. Mentre appare evidente che nel caso attualmente in esame il giudizio a quo è il medesimo in ordine alle parti in causa ed al giudice rimettente, resta da stabilire se anche l'oggetto della presente questione sia in tutto identico a quello sul quale questa Corte ha deciso con la citata sentenza n. 358 del 1995. 4. - Sotto il profilo oggettivo la questione ora prospettata sub a) riproduce testualmente quella sollevata nel precedente giudizio. Rispetto alla prima ordinanza di rimessione la Commissione tributaria di Genova ha cercato di allargarne i confini: ha, infatti, indicato sub b) un ulteriore parametro (l'art. 24 della Costituzione) ed una nuova norma (l'art. 3 della legge finanziaria per il 1996), denunciando inoltre l'asserita inadempienza del legislatore, che al precedente monito della Corte avrebbe dato una risposta del tutto inadeguata, per di più riferita soltanto al futuro. Queste ulteriori indicazioni e doglianze non spostano, tuttavia, i termini e gli argomenti della questione precedentemente proposta. Nella presente materia, questa Corte, fin dalla sentenza n. 179 del 1975, con cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del cumulo dei redditi dei coniugi pur invitando più volte il legislatore ad evitare le sperequazioni, che dal sistema della tassazione separata di tali redditi potevano derivare "in danno della famiglia nella quale uno solo dei coniugi possegga reddito tassabile", e sottolineando poi che, a causa della perdurante mancanza di tali interventi, "l'attuale trattamento fiscale della famiglia penalizza i nuclei monoreddito e le famiglie numerose con componenti che non producono o svolgono lavoro casalingo" - ha sempre rilevato come esista al riguardo una pluralità di possibili rimedi, la cui scelta è rimessa alla discrezionalità del legislatore. 5. - D'altronde, relativamente al profilo normativo, la parte "nuova" della questione sollevata dalla Commissione tributaria ha per oggetto, come già rilevato, l'art. 3 della legge n. 550 del 1995 (legge finanziaria per il 1996), che non determina un'organica revisione della disciplina impugnata, ma, aumentando le detrazioni di imposta per il coniuge a carico e l'assegno per il nucleo familiare, riguarda pur sempre un aspetto del trattamento fiscale della famiglia. Il giudice a quo censura la norma non ritenendola adeguata a rispondere al monito della Corte, né intesa a tutelare le famiglie monoreddito; ed essendo rivolta al futuro, "lascia completamente prive di tutela proprio quelle situazioni - come quella dei ricorrenti - rispetto a cui è stato adito il giudice (e tale scelta appare anche contraria all'art. 24 della Costituzione, perché vanifica la tutela giurisdizionale dei diritti)". Ora, se nel merito i predetti interventi possono apparire inadeguati, tanto che risultano essere allo studio del Governo specifiche misure a favore delle famiglie monoreddito, tuttavia, sul piano processuale, la questione non è diversa da quella precedente, rappresentandone una riformulazione "aggiornata" agli sviluppi intercorsi nel frattempo, sfornita di un contesto normativo e argomentativo sostanzialmente nuovo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) - ed in particolare dell'art. 3 - e dell'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 550 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1996), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 29, 31 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1998.
Il Presidente: Guizzi Il redattore: Santosuosso Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1998. Il direttore della cancelleria: Di Paola
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