N. 97 SENTENZA 26 MARZO-6 APRILE 1998
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: dott. Renato GRANATA; Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 90, secondo comma del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa l'11 febbraio 1997 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Primitivo Lorenzo, iscritta al n. 253 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1997; Udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1997 il giudice relatore Francesco Guizzi;
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento penale a carico di un imputato dei reati di forzata consegna e introduzione clandestina in luoghi militari, in concorso formale (artt. 81 del codice penale, 140 e 90, secondo comma, del codice penale militare di pace), il Tribunale militare di Padova ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del predetto art. 90, secondo comma. Osserva il Tribunale che all'imputato si contesta il reato di cui all'art. 90, secondo comma, testé menzionato, il quale si perfeziona "per il solo fatto" di introdursi clandestinamente, o con inganno, in quei luoghi in cui è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato. Per tale reato, prosegue il rimettente, è prevista la pena della reclusione militare da due a cinque anni, mentre - a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 49 del 1989 e n. 298 del 1995 - si commina una pena meno grave qualora l'introduzione fraudolenta o clandestina nei luoghi militari si verifichi allo scopo di commettere reati contro la difesa militare: onde la violazione del principio contenuto nell'art. 3 della Costituzione.
Considerato in diritto
1. - Viene all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 90, secondo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui prevede, con lesione dell'art. 3 della Costituzione, la pena della reclusione militare da due a cinque anni per la mera introduzione clandestina o fraudolenta in luoghi militari. Pena, ad avviso del giudice a quo, di gran lunga più grave della reclusione da uno a cinque anni che, a seguito delle sentenze costituzionali n. 49 del 1989 e n. 298 del 1995, l'art. 90 commina, al primo comma, per l'introduzione in luoghi militari allo scopo di commettere reati contro la difesa militare. Sì che ancora in attesa d'un intervento organico del legislatore, invocato con la sentenza n. 49, si pone ora nella sua ineludibilità - conclude il rimettente - il problema della razionalizzazione del codice penale militare di pace circa l'entità della pena prevista nel più volte menzionato art. 90, secondo comma. 2. - La questione è fondata. Palese è la disparità di trattamento edittale determinatasi a seguito delle citate sentenze n. 49 e n. 298 fra l'ipotesi disciplinata dal secondo comma dell'articolo denunciato (pena da due a cinque anni) e quelle previste dal primo comma, alle quali, appunto in forza delle sentenze richiamate, si applica la pena stabilita dall'art. 260, primo comma, n. 1, del codice penale per chiunque si introduca clandestinamente, o con inganno, in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria in cui è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato (pena da uno a cinque anni). Tanto più che una delle ipotesi contenute nel primo comma, quella di cui al n. 2, oggi meno gravemente punita, riguarda una fattispecie i cui elementi costitutivi sono gli stessi previsti dal secondo comma (introduzione clandestina o con inganno nei luoghi vietati), qualificati però dal fine di compiere altre attività vietate, come eseguire disegni, fotografie o altre rilevazioni. Tale disparità impone, dunque, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 90, secondo comma, in esame. Potendo l'equiparazione dei trattamenti sanzionatori avvenire solo all'interno delle previsioni compiute dal legislatore, questa Corte non può certo estendere il proprio intervento sul secondo comma dell'art 90 sino a ristabilire il rapporto di proporzione originariamente esistente fra le pene previste dal primo e secondo comma, e cioè ripristinare il rapporto di uno a due, con riferimento al massimo, e di uno a due e mezzo con riferimento al minimo edittale. Sì che, in attesa dell'auspicata riforma legislativa, soluzione obbligata per il secondo comma, quanto al minimo della pena, non può non essere quella stessa già seguita nelle precedenti pronunce per le ipotesi del primo comma, in corrispondenza alla pena minima statuita per la fattispecie incriminatrice contenuta nell'art. 260, primo comma, n. 1, del codice penale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 90, secondo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da due a cinque anni, anziché da uno a cinque anni.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1998.
Il Presidente: Granata Il redattore: Guizzi Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 6 aprile 1998. Il direttore della cancelleria: Di Paola
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