Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche

Tecniche Interpretative della Corte Costituzionale

Sentenza numero 0532 del 2000 inserita nel sistema il 9/11/2012
Pronuncia: Pronuncia di manifesta infondatezza
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.3 comma 1:
-Giustizia come convenienza: ragionevolezza intersoggettiva
Disposizione parametro: Costituzione della Repubblica art.30 comma 3:
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)
-Riferimento alla discrezionalità del legislatore (spazio impregiudicato dalla norma parametro)
-Argomento a contrario
-Argomento ab exemplo (riferimento ai propri precedenti)

N. 532
SENTENZA 15-23 NOVEMBRE 2000

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI,
Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;

ha pronunciato la seguente

Sentenza


nei giudizi di legittimità costituzionalità dell'art. 565 del
codice civile promossi con ordinanze emesse il 1 dicembre 1999 dalla
Corte di appello di Roma nei procedimenti civili vertenti tra
Camerani Guglielmina ed altri, Waldner Mathilde e il Ministero delle
finanze ed iscritte al n. 50 e 52 del registro ordinanze 2000 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, 1 serie
speciale, dell'anno 2000.
Visti gli atti di costituzione di Camerani Guglielmina ed altri,
di Quattrini Roberto ed altro, e del curatore dell'eredità giacente
di Flora Gertrude;
Udito nell'udienza pubblica del 10 ottobre 2000 il giudice
relatore Fernando Santosuosso;
Uditi gli avvocati Simonetta Belletti per Camerani Guglielmina ed
altri e Orazio Gentile per il custode dell'eredità giacente di Flora
Gertrude.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile instaurato da alcuni
privati nei confronti dell'amministrazione finanziaria dello Stato,
la Corte di appello di Roma ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, 29, primo comma, e 30, terzo comma, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 del codice
civile, nella parte in cui detta norma, in mancanza di altri
successibili chiamati all'eredità, non prevede la successione
legittima dei c.d. parenti naturali di grado corrispondente al
quarto.
La Corte rimettente premette che il tribunale di Roma ha accolto
la domanda proposta dall'amministrazione finanziaria, dichiarando lo
Stato erede universale della de cuius. Proposto appello avverso la
menzionata sentenza, il giudice a quo osserva, in punto di rilevanza,
che tale impugnazione dovrebbe essere respinta, perché il sistema
attuale non prevede la successione del figlio legittimo al figlio
naturale (o viceversa) del fratello o della sorella del genitore,
ossia non prevede la successione tra i c.d. cugini naturali. La
necessità di un'apposita norma al riguardo risulta dall'art. 565
cod. civ. e dall'art. 258 del medesimo codice, in base al quale gli
effetti del riconoscimento del figlio naturale sono limitati al
genitore che lo ha compiuto, nonché dalle sentenze n. 55 del 1979 e
n. 184 del 1990 di questa Corte, che hanno dichiarato
l'illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in
cui essa non prevedeva, in mancanza di altri successibili all'infuori
dello Stato, la successione legittima tra fratelli e sorelle
naturali.
Oltre che rilevante, la prospettata questione appare alla Corte
romana anche non manifestamente infondata in relazione agli invocati
parametri. Osserva in proposito che l'esclusione dei cugini naturali
dalle categorie dei successibili sarebbe in contrasto con l'art. 30,
terzo comma, della Costituzione, che assicura la parità tra figli
legittimi e figli naturali; tale norma dimostra che, in mancanza di
altri successibili, il favore per i c.d. parenti naturali non entra
in conflitto con i principi della successione familiare. Lo Stato,
del resto, non è successore in quanto titolare di un interesse
patrimoniale paragonabile con quello dei componenti della famiglia,
bensì è chiamato soltanto ad assicurare la continuità nella
titolarità dei beni e dei rapporti giuridici che facevano capo al
titolare.
Evidente sarebbe anche il contrasto con l'art. 3 Cost., per
lesione del principio di eguaglianza e di pari dignità sociale, e
con l'art. 29 Cost., perché il concetto di famiglia intesa come
gruppo fonte di solidarietà fa sì che, una volta salvaguardati i
diritti dei componenti della famiglia legittima, non esista una
valida ragione per escludere dalla successione i cugini naturali.
2.- Si sono costituiti gli eredi, chiedendo l'accoglimento della
questione.
Osservano queste parti private che gli articoli 74 e 565 cod.
civ., con riferimento all'art. 29 Cost., dimostrano che nel nostro
ordinamento il vincolo della consanguineità assume un ruolo primario
nell'identificazione della parentela. La norma impugnata, inoltre,
innovata sul punto dalla legge di riforma del diritto di famiglia,
ricomprende tra i successibili anche gli "altri parenti",
evidentemente diversi da quelli già individuati dalle sentenze n. 55
del 1979 e n. 184 del 1990, sicché gli odierni appellanti dovrebbero
essere considerati come successori della defunta. A tale lettura
estensiva non osterebbe l'art. 258 cod. civ., il cui carattere
restrittivo è dettato al solo scopo di garantire la riservatezza di
coloro che non vogliono riconoscere il figlio naturale.
Le parti, quindi, si associano alla richiesta di declaratoria di
illegittimità costituzionale, pur ritenendo che la Corte romana
aveva tutti gli elementi per accogliere il loro appello senza
rimettere la questione al giudice delle leggi.
Si sono costituiti davanti alla Corte anche altri eredi,
chiedendo l'accoglimento della questione.
Essi si riportano ai passaggi salienti delle menzionate sentenze
n. 55 del 1979 e n. 184 del 1990 di questa Corte, osservando che
l'esclusione dei cugini naturali dalla categoria dei successibili, in
mancanza di altri parenti legittimi e con precedenza sullo Stato,
sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 30 della Costituzione. In
proposito ricordano che la successione dello Stato si pone su di un
piano affatto diverso rispetto a quella dei privati, e riprendono
alcune considerazioni contenute nell'ordinanza di rimessione e nella
memoria delle altre parti private.
3.- Nel corso di altro procedimento civile instaurato nei
confronti del Ministero delle finanze la Corte d'appello di Roma ha
sollevato questione di legittimità costituzionale del medesimo
art. 565 cod. civ., in riferimento agli stessi parametri
costituzionali, "nella parte in cui, in mancanza di altri
successibili all'infuori dello Stato, non prevede la successione dei
parenti naturali sino al sesto grado". A sostegno della propria
domanda, la parte aveva dedotto di essere parente naturale di quinto
grado della de cuius.
Ciò premesso, il giudice a quo pone a fondamento della questione
di legittimità costituzionale le medesime considerazioni esposte
nell'ordinanza precedente.
In questo secondo giudizio si è costituito il curatore
dell'eredità giacente, riportandosi ai propri scritti difensivi
depositati davanti ai giudici di merito e rimettendosi alla decisione
di questa Corte.

Considerato in diritto

1.- La Corte d'appello di Roma, con due ordinanze, solleva
questione di legittimità di costituzionale dell'art. 565 cod. civ.,
in riferimento agli artt. 3, 29, primo comma, e 30, terzo comma,
della Costituzione, nella parte in cui, in mancanza di altri chiamati
all'eredità all'infuori dello Stato, non prevede la successione
legittima dei c.d. parenti naturali di grado corrispondente al quarto
(r.o. n. 50 del 2000) e fino al sesto (r.o. n. 52 del 2000).
Il dubbio di legittimità costituzionale viene delineato in
rapporto alla parità di trattamento tra figli legittimi e figli
naturali, che l'art. 30 della Costituzione impone, ed alla
prospettata lesione del principio di eguaglianza e di pari dignità
sociale; ciò in quanto, escluso il pregiudizio per i diritti dei
componenti della famiglia legittima (mancanti in queste
controversie), non esisterebbe alcuna valida ragione per dare
ingresso alla successione dello Stato in presenza di parenti naturali
(cugini nell'un caso e parenti di quinto grado nell'altro).
2.- Le due ordinanze, trattando la medesima questione, possono
essere riunite e decise con unica pronuncia.
Esse tornano a proporre, sia pure in relazione a soggetti legati
al de cuius da un vincolo di sangue più labile, il noto problema
della possibilità di ampliare le categorie dei successibili ex lege
già oggetto delle sentenze n. 55 del 1979 e n. 184 del 1990 di
questa Corte, richiamate dal rimettente, nonché delle sentenze
n. 377 del 1994, n. 76 del 1977 e dell'ord. n. 363 del 1988. In
particolare, si chiede oggi alla Corte di inserire i "parenti
naturali" (di grado corrispondente al quarto ed al quinto) nelle
categorie dei chiamati alla successione, in caso di mancanza di eredi
legittimi e con precedenza sullo Stato, rilevando che quest'ultimo
subentra nell'eredità (come si suole ritenere) non per un interesse
patrimoniale, bensì per l'esigenza di evitare che i beni rimangano
senza un legittimo proprietario. Ai giudici a quibus non sembra
conforme a Costituzione, in particolare, il fatto che i c.d. parenti
naturali, che pure sono legati al defunto da un vincolo di
consanguineità, vengano esclusi dal diritto di succedere ab
intestato quando non vi siano eredi legittimi all'infuori dello
Stato.
3.- La questione è infondata.
Va premesso che negli ordinamenti contemporanei l'individuazione
degli aventi diritto alla successione in assenza di testamento è
espressione di diverse scelte di politica legislativa, sicché vi
sono sistemi che tendono a restringere il novero dei successori ex
lege e sistemi che, al contrario, ampliano in modo significativo
dette categorie. Vertendosi in tale ambito, anche visualizza testo argomento il nostro
legislatore resta libero di disciplinare la successione legittima
facendo uso della sua discrezionalità, non sindacabile da questa
Corte se non per violazioni del dettato costituzionale.
Nel caso specifico, a sostegno della predetta questione il
giudice rimettente richiama anzitutto i parametri di cui agli artt. 3
e 29 Cost., evidenziando da un lato la "lesione del principio di
eguaglianza e di pari dignità sociale", dall'altro quella dei
diritti della "famiglia intesa come società naturale, ossia come
gruppo che si pone quale fonte di solidarietà". visualizza testo argomento Tali parametri,
però, non risultano vulnerati, sol che si consideri la differenza
che c'è tra la situazione delle persone tra le quali esiste un
rapporto di consanguineità e quella in cui i soggetti sono legati
anche dal vincolo di una vera e propria parentela.
Ne consegue che non ha neppure pregio invocare, come fa il
rimettente, le sentenze di questa Corte n. n. 55 del 1979 e n. 184
del 1990, perché la remota consanguineità esistente nei casi in
esame non può essere posta sullo stesso piano del vincolo tra
"fratelli e sorelle naturali dei quali sia legalmente accertato il
rispettivo status di filiazione nei confronti del comune genitore"
(cit. sentenza n. 184 del 1990), soggetti che rientrano in una
ristretta comunità nucleare socialmente rilevante.
È inoltre da considerare che un ulteriore riconoscimento,
tramite una sentenza additiva, di altre categorie di eredi legittimi
comporterebbe un'incidenza sull'ordine successorio tale da alterare
profondamente le scelte compiute dal legislatore. Nell'odierna sede,
infatti, la Corte dovrebbe - esulando dai propri compiti - provvedere
a valutare ed a indicare l'ordine di precedenza (e di esclusione
reciproca) tra le diverse categorie di "parenti naturali",
giustificando razionalmente anche la loro preferenza rispetto alla
successione legittima dello Stato.
4.- Più articolata è, nell'ordinanza di rimessione, la censura
riguardante l'art. 30 Cost; ma anch'essa risulta priva di fondamento.
visualizza testo argomento In proposito questa Corte ha già in precedenza osservato
(sentenze n. 377 del 1994 e n. 184 del 1990) come dall'art. 30 della
Costituzione non discenda in maniera costituzionalmente necessitata
la parificazione di tutti i parenti naturali ai parenti legittimi. visualizza testo argomento Può dirsi, invece, che un ampio concetto di "parentela naturale" non
è stato recepito dal legislatore costituente, il quale si è
limitato a prevedere la filiazione naturale ed a stabilirne
l'equiparazione a quella legittima, peraltro con la clausola di
compatibilità. Tale equiparazione, pertanto, riguarda
fondamentalmente il rapporto che si instaura tra il genitore che ha
provveduto al riconoscimento del figlio naturale (o nei cui confronti
la paternità o maternità sia stata giudizialmente accertata) ed il
figlio stesso. I rapporti tra la prole naturale ed i parenti del
genitore, invece, non trovano riferimenti nella Carta fondamentale e
restano quindi estranei all'ambito di operatività dell'invocato
parametro.
visualizza testo argomento Già nell'ordinanza n. 363 del 1988 - con la quale fu ritenuta
inammissibile una questione simile a quella odierna - questa Corte ha
ribadito che non esiste nell'ordinamento "una norma che
all'accertamento formale della filiazione naturale colleghi l'effetto
di far entrare il figlio nella famiglia di origine del genitore, in
guisa da attribuirgli uno status familiare rapportato non solo a un
padre o a una madre, ma anche a nonni, zii, e cugini".Da tanto consegue l'infondatezza della presente questione anche
sotto il parametro di cui all'art. 30 della Costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi,
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 565 del codice civile sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 29, primo comma, e 30, terzo comma, della Costituzione,
dalla Corte d'appello di Roma con le due ordinanze di cui in
epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2000.

Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Santosuosso
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 novembre 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola

 
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