N. 536 Sentenza 18 - 20 dicembre 2002
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Riccardo CHIEPPA; Giudici: Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità di costituzionale della legge della Regione Sardegna 7 febbraio 2002, n. 5, recante Modifica dell'art. 49 della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna, concernente il periodo di caccia, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato l'8 aprile 2002 depositato in Cancelleria il 18 successivo ed iscritto al n. 32 del registro ricorsi 2002. Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna nonché l'atto di intervento della Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature-Onlus ed altri; udito nell'udienza pubblica del 19 novembre 2002 il Giudice relatore Fernanda Contri; uditi l'avvocato Alessio Petretti per l'Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature-Onlus ed altri, l'avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Sergio Panunzio per la Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale in via principale della legge della Regione Sardegna 7 febbraio 2002, n. 5, recante Modifica dell'art. 49 della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna, concernente il periodo di caccia, per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione (rectius: art. 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 - Statuto speciale per la Sardegna). L'art. 1 della legge regionale censurata ha modificato - sostituendo il primo comma dell'art. 49 della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 - la previgente disciplina legislativa nel senso di consentire l'attività venatoria (in relazione alle specie cacciabili di cui all'art. 48 della stessa legge n. 23 del 1998) dalla terza domenica di settembre fino al 28 febbraio dell'anno successivo, "a condizione che le specie non siano cacciate durante il periodo della nidificazione, né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza e, qualora si tratti di specie migratorie, non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione". La legge regionale censurata, estendendo il periodo di esercizio della caccia nel territorio sardo, si porrebbe, secondo il ricorrente, in contrasto con la disposizione di cui all'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che determina i periodi di caccia vietando l'attività venatoria oltre il termine del 31 gennaio. Il contrasto con la legge statale, che il ricorrente configura come "legge posta a tutela dell'ambiente", si tradurrebbe in un pregiudizio alle azioni di conservazione di numerose specie di fauna selvatica e nella invasione della competenza esclusiva statale nella materia di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Il ricorrente ricorda che la formulazione originaria della norma ora modificata era stata oggetto di impugnativa di fronte a questa Corte, in quanto essa introduceva, nel territorio della Sardegna, una estensione del periodo di esercizio della caccia rispetto a quello fissato per il territorio nazionale dall'art. 18 della citata legge n. 157 del 1992. Questa Corte ha accolto, con la sentenza n. 323 del 1998, il predetto ricorso, dichiarando l'illegittimità dell'articolo della legge regionale proprio in ragione della violazione della norma nazionale ritenuta da questa Corte vincolante. Secondo il ricorrente, il nuovo assetto delle competenze delineato dal novellato art. 117 della Costituzione non consentirebbe alla Regione di portare il termine di chiusura della stagione venatoria ad una data diversa da quella stabilita dalla legge n. 157 del 1992, le cui disposizioni sono sempre state ritenute vincolanti da questa Corte anche per le Regioni a statuto speciale dotate di competenza primaria nella materia caccia. Tuttavia, rileva ancora il ricorrente, le norme della disciplina quadro statale sul prelievo venatorio vanno oggi lette alla luce della riforma costituzionale che, peraltro, riscrivendo la norma relativa al riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, ha disposto che, fino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le nuove norme sono applicabili anche alla Regioni a statuto speciale per le parti in cui prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite (art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). In questo quadro, se può ritenersi che gli aspetti più strettamente connessi alla regolamentazione dell'esercizio venatorio rientrino nella competenza esclusiva regionale, da esercitarsi comunque in osservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, non potrebbe comunque dubitarsi che la competenza attribuita allo Stato sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema costituisca limite alla potestà regionale nella materia. La legge regionale non avrebbe dovuto, pertanto, procastinare la chiusura della stagione venatoria, non essendo peraltro tale intervento giustificato da alcun elemento peculiare del territorio sardo, considerato che l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, organismo tecnico scientifico cui lo Stato italiano ha affidato compiti di ricerca e consulenza sulla materia, ha espresso in proposito un valutazione negativa. 2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita la Regione Sardegna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato. La resistente rileva anzitutto che non sarebbe più opponibile alla legislazione della Regione Sardegna in materia di caccia il limite delle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica", originariamente posto dall'art. 3 dello statuto speciale. In virtù della previsione dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - secondo cui "sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite" - gli unici limiti per la potestà legislativa esclusiva regionale devono ritenersi quelli indicati nel primo comma dell'art. 117 della Costituzione, e cioè "il rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Il ricorso muoverebbe da una inesatta ricostruzione dei rapporti fra potestà legislativa dello Stato e potestà legislativa della Regione Sardegna quale risulta dal nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione e dallo statuto speciale della Regione medesima. Ai fini della definizione delle materie spettanti alla competenza legislativa delle regioni a statuto speciale resta fermo il valore prescrittivo dei cataloghi di materie contenuti nei rispettivi statuti, salvo le modifiche in melius ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Il che comporta che la competenza legislativa in materia di caccia spetti alla Regione Sardegna, in quanto competenza esclusiva attribuitale dall'art. 3, lettera i), dello statuto, e non già come competenza legislativa "generale" in base al quarto comma del nuovo art. 117 della Costituzione. Inoltre, secondo la parte resistente, la competenza legislativa esclusiva dello Stato, nelle materie di cui al secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, assumerebbe nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale un carattere necessariamente "residuale": se c'è un ambito di competenza materiale specifica attribuito dallo statuto speciale ad una Regione, in quello stesso ambito non può esserci competenza esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, dovendo operare il criterio della specialità e prevalendo la disciplina statutaria. D'altra parte - sempre secondo la difesa della Sardegna - l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 non consentirebbe l'applicazione alla Regione ad autonomia speciale della disciplina del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione che in tal caso, anziché ampliare l'autonomia regionale, la restringerebbe, "svuotando" di contenuti le materie attribuite alla Regione dallo statuto speciale. La Regione Sardegna contesta, inoltre, che la disposizione sul termine del periodo di caccia contenuta nel secondo comma dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992, così strettamente inerente ad una modalità del prelievo venatorio, possa essere ricondotta all'ambito ed al livello di quella "tutela dell'ambiente" e dell'"ecosistema" assegnata dal secondo comma dell'art. 117 della Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato. Peraltro, se anche fosse vero che, come sostiene nel ricorso la Presidenza del Consiglio, vi sia parziale sovrapposizione fra la materia "caccia" e la materia "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" da ciò non deriverebbe affatto che la legge impugnata invada la competenza statale, ma invece una riduzione della competenza dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, nel senso che essa, in virtù del criterio della specialità, non potrebbe estendersi nella Regione Sardegna alla disciplina della caccia, né limitare la legislazione regionale in materia. La disposizione legislativa impugnata, infine, sarebbe, secondo la difesa della parte resistente, rispettosa delle esigenze di tutela della fauna esistente in Sardegna, dovendo essere riguardata nel complesso della disciplina legislativa della suddetta Regione in materia di caccia e considerata alla luce delle specificità della situazione climatico ambientale e, quindi, dei periodi dell'anno in cui si verificano i flussi migratori. 3. - Ha presentato atto di intervento fuori termine l'Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature. 4. - In prossimità dell'udienza ha depositato memoria la resistente Regione Sardegna, eccependo preliminarmente la inammissibilità del ricorso, in quanto la Presidenza del Consiglio non ha depositato integralmente il testo del verbale della riunione del Consiglio dei ministri del 28 marzo 2002 in cui si decise di impugnare la legge della Regione Sardegna n. 5 del 2002. Non è agli atti la relazione del Ministro per gli affari regionali che, a quanto si legge nel suddetto verbale, doveva essere allegata al medesimo, e dalla quale dovrebbe risultare determinato lo specifico oggetto dell'impugnativa. L'oggetto della impugnativa non risulta determinato in modo sufficiente dal suddetto verbale, nel quale si esprime solo la volontà di impugnare la legge regionale, per cui, come è dato arguire dalla sentenza n. 29 del 1996 di questa Corte, il ricorso dovrebbe ritenersi inammissibile. La Regione Sardegna contesta anche l'ammissibilità dell'intervento dell'Associazione italiana per il WWF, considerato che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, espresso tra l'altro nella sentenza n. 382 del 1999, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale non è ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è oggetto di contestazione. Nel merito la resistente ribadisce l'infondatezza del ricorso, sostenendo che essa sarebbe vieppiù dimostrata dalla più recente giurisprudenza di questa Corte che ha iniziato a chiarire il significato e la portata della competenza esclusiva che la lettera s) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione attribuisce alla legge statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. In particolare, la sentenza n. 407 del 2002 ha escluso che la tutela dell'ambiente sia una materia, essendo invece l'ambiente da considerarsi come un valore costituzionalmente protetto che non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su materie (governo del territorio, tutela della salute, ecc.) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo e consente allo Stato di dettare, in funzione di esso, standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale anche incidenti sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione. Dopo aver ribadito le ragioni per cui l'attribuzione alla legge statale della competenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione non potrebbe comportare sottrazione o riduzione della competenza esclusiva in materia di caccia spettante alla Regione Sardegna in base all'art. 3, lettera i), dello statuto speciale, la resistente rileva, in ipotesi subordinata, che se pure gli standards minimi a tutela dell'ambiente stabiliti dalla legge statale costituissero un limite nei confronti della suddetta competenza legislativa esclusiva regionale in materia di caccia, tale carattere non potrebbe essere riconosciuto al secondo comma dell'art. 18 della legge statale n. 157 del 1992, che pone il limite assoluto e inderogabile del 31 gennaio per l'esercizio venatorio. La stessa disciplina vigente in ambito comunitario e internazionale dimostrerebbe l'impossibilità di attribuire valore assoluto e inderogabile per l'intero territorio italiano alla data del 31 gennaio fissata per il termine della caccia dalla richiamata legge statale. In particolare, l'art. 7.4, della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, non stabilisce termini rigidi ed uniformi per i periodi di caccia autorizzata, ma impone agli Stati membri di provvedere a che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione. La disciplina comunitaria non escluderebbe, dunque, che i periodi di caccia delle specie migratorie siano disciplinate diversamente dai vari Stati membri e, all'interno di essi, dalle varie autorità regionali. Analoghe considerazioni varrebbero, secondo la difesa della Regione Sardegna, per la Convenzione di Parigi per la protezione degli uccelli del 18 ottobre 1950 (resa esecutiva in Italia con la legge n. 812 del 1978), che alla lettera a) dell'art. 2 stabilisce che devono essere protetti, almeno durante il periodo della riproduzione, tutti gli uccelli, e, inoltre, i migratori durante il loro percorso di ritorno verso il luogo di nidificazione e in particolare in marzo, aprile, maggio, giugno e luglio. La normativa comunitaria e internazionale non fisserebbe, pertanto, di regola, termini assoluti ed uniformi, ma richiederebbe che le specie tutelate non siano sottoposte all'esercizio della caccia durante la nidificazione, la riproduzione e il periodo di dipendenza. Esigenze, queste ultime, alle quali si attiene la legge regionale impugnata, come risulta dal primo comma del suo articolo 1. A ulteriore dimostrazione della irrazionalità della previsione della data del 31 gennaio come termine assoluto e indifferenziato per lo svolgimento della caccia, la difesa della Regione Sardegna richiama la disciplina francese che trova applicazione in una isola, come la Corsica, il cui territorio presenta caratteristiche morfologiche, climatiche ed ambientali profondamente simili alla Sardegna. In particolare, il richiamo riguarda l'art. 224-2 del Code rural francese, come riformato dalla legge n. 94/59, che elenca un ristretto catalogo di specie selvatiche la cui caccia è consentita tassativamente entro le tre decadi che vanno dal 31 gennaio al 20 febbraio e dispone che l'attività venatoria di tutte le altre specie di volatili sia ammessa sino all'ultimo giorno del mese di febbraio.
Considerato in diritto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sottopone al controllo di costituzionalità la legge della Regione Sardegna 7 febbraio 2002, n. 5, recante Modifica dell'art. 49 della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna, concernente il periodo di caccia, per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione (rectius: art. 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 - Statuto speciale per la Sardegna). La legge regionale, sostituendo il primo comma dell'art. 49 della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23, consente l'attività venatoria (in relazione alle specie cacciabili di cui all'art. 48 della stessa legge n. 23 del 1998) dalla terza domenica di settembre fino al 28 febbraio dell'anno successivo, "a condizione che le specie non siano cacciate durante il periodo della nidificazione, né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza e, qualora si tratti di specie migratorie, non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione". Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che l'estensione del periodo di esercizio della caccia nel territorio sardo si ponga in contrasto con la disposizione di cui all'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che determina i periodi di caccia vietando l'attività venatoria oltre il termine del 31 gennaio. Secondo il ricorrente, la violazione della disposizione relativa al termine di chiusura della stagione venatoria contenuta nella legge n. 157 del 1992, già ritenuta vincolante da questa Corte anche per le regioni a statuto speciale dotate di competenza primaria nella materia caccia, si tradurrebbe in un pregiudizio alle azioni di conservazione di numerose specie di fauna selvatica e nella invasione della competenza esclusiva statale nella materia di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Il mutato assetto delle competenze delineato dal novellato art. 117 della Costituzione non consentirebbe alla Regione di portare il termine di chiusura della stagione venatoria ad una data diversa da quella stabilita dalla legge n. 157 del 1992, che il ricorrente configura come legge posta a tutela dell'ambiente. Peraltro, se può ritenersi che, anche alla luce dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, gli aspetti più strettamente connessi alla regolamentazione dell'esercizio venatorio rientrino nella competenza esclusiva regionale, da esercitarsi comunque in osservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, non potrebbe dubitarsi che la competenza attribuita allo Stato nella tutela dell'ambiente e dell'ecosistema costituisca limite alla potestà regionale nella materia. 2. - In via preliminare, deve intendersi superata l'eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla resistente e relativa alla mancata allegazione al verbale della riunione del Consiglio dei ministri in cui si decise di impugnare la legge regionale della relazione del Ministro per gli affari regionali dalla quale risulta determinato lo specifico oggetto dell'impugnativa. La relazione del Ministro per gli affari regionali è infatti stata depositata in udienza dall'Avvocatura generale dello Stato. L'intervento del WWF è inammissibile (come da ordinanza 19 novembre 2002) in ragione del preliminare e assorbente profilo relativo alla tardività del deposito della memoria, intervenuto oltre il termine previsto dall'art. 23, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sentenza n. 507 del 2000). 3. - Nel merito la questione è fondata. 4. - L'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione esprime una esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, ponendo un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali. Come già affermato da questa Corte, la tutela dell'ambiente non può ritenersi propriamente una materia, essendo invece l'ambiente da considerarsi come un valore costituzionalmente protetto che non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su materie (governo del territorio, tutela della salute, ecc.) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo (sentenza n. 407 del 2002). E, in funzione di quel valore, lo Stato può dettare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale anche incidenti sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione. Già prima della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, la protezione dell'ambiente aveva assunto una propria autonoma consistenza che, in ragione degli specifici ed unitari obiettivi perseguiti, non si esauriva né rimaneva assorbita nelle competenze di settore (sentenza n. 356 del 1994), configurandosi l'ambiente come bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va pertanto salvaguardato nella sua interezza (sentenza n. 67 del 1992). La natura di valore trasversale, idoneo ad incidere anche su materie di competenza di altri enti nella forma degli standards minimi di tutela, già ricavabile dagli artt. 9 e 32 della Costituzione, trova ora conferma nella previsione contenuta nella lettera s) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, che affida allo Stato il compito di garantire la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 5. - Entro questa cornice, occorre verificare anzitutto se l'art. 117, secondo comma, della Costituzione, sia applicabile o meno alla Regione Sardegna, in quanto regione a statuto speciale, tenuto anche conto della clausola della immediata applicazione alle regioni speciali delle parti della legge costituzionale n. 3 del 2001 che prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. Sul punto, il ragionamento della resistente non può essere condiviso. Lo statuto speciale della Regione Sardegna attribuisce la materia caccia alla competenza primaria della regione, prevedendo limiti specifici, quali il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, nonché degli obblighi internazionali (art. 3, primo comma, dello statuto speciale per la Sardegna). La previsione per cui il nuovo regime stabilito dalla riforma si applica anche alle Regioni a statuto speciale ove sia più favorevole all'autonomia regionale (art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) non implica che, ove una materia attribuita dallo statuto speciale alla potestà regionale interferisca in tutto o in parte con un ambito ora spettante in forza del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione alla potestà esclusiva statale, la regione speciale possa disciplinare la materia (o la parte di materia) riservata allo Stato senza dovere osservare i limiti statutari imposti alla competenza primaria delle Regioni, tra cui quelli derivanti dall'osservanza degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali. In questo quadro, la disciplina statale rivolta alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema può incidere sulla materia caccia, pur riservata alla potestà legislativa regionale, ove l'intervento statale sia rivolto a garantire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, trattandosi di limiti unificanti che rispondono a esigenze riconducibili ad ambiti riservati alla competenza esclusiva dello Stato. Entro questi limiti, la disciplina statale deve essere applicata anche nella Regione Sardegna, fermo restando che altri aspetti connessi alla regolamentazione dell'esercizio venatorio rientrano nella competenza di quest'ultima. 6. - Con specifico riferimento alla questione sottoposta all'esame di questa Corte, occorre precisare che la delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992 è rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e risponde all'esigenza di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema per il cui soddisfacimento l'art. 117, secondo comma, lettera s) ritiene necessario l'intervento in via esclusiva della potestà legislativa statale. Come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 323 del 1998, vi è un nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi - accanto all'elencazione delle specie cacciabili - la disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, anche in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio. La legge regionale impugnata ha inciso proprio su questo nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, procrastinando la chiusura della stagione venatoria oltre il termine previsto dalla legge statale. In base alla legge impugnata, la stagione di caccia è stata così prolungata per diverse specie di fauna selvatica (alzavola, cesena, colombaccio, beccaccia, beccaccino, marzaiola, pavoncella, tordo bottaccio e tordo sassello) oltre il termine del 31 gennaio, secondo quanto risulta dal calendario venatorio 2002/2003 contenuto nel decreto dell'Assessore della difesa dell'ambiente della Regione Sardegna del 3 luglio 2002, n. 19/V. L'estensione del periodo venatorio operata in tal modo dalla regione costituisce una deroga rispetto alla previsione legislativa statale, non giustificata da alcun elemento peculiare del territorio sardo, anche in considerazione del fatto che l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, organismo tecnico scientifico cui lo Stato italiano ha affidato compiti di ricerca e consulenza sulla materia, ha espresso in proposito un valutazione negativa. Né essa può farsi rientrare tra le deroghe al regime di protezione della fauna selvatica che la direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, consente all'art. 9 solo per le finalità ivi indicate, rivolte alla salvaguardia di interessi generali (sentenza n. 168 del 1999), fra le quali non possono essere comprese quelle perseguite dalla legge regionale impugnata. La deroga stabilita dalla Regione Sardegna non trova alcuna giustificazione nemmeno nella normativa comunitaria e internazionale in materia di protezione della fauna selvatica che richiede, rispettivamente, che gli Stati membri provvedano, in relazione alle specie migratrici, a che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione (art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE), e che debbano essere protetti, almeno durante il periodo della riproduzione, tutti gli uccelli, e, inoltre, i migratori durante il loro percorso di ritorno verso il luogo di nidificazione e in particolare in marzo, aprile, maggio, giugno e luglio [art. 2, lettera a) della Convenzione di Parigi per la protezione degli uccelli del 18 ottobre 1950, resa esecutiva in Italia con la legge n. 812 del 1978]. Se è vero, come sostiene la regione resistente, che le suddette normative non prevedono termini inderogabili per l'esercizio dell'attività venatoria, occorre, però, precisare che esse si prefiggono primariamente l'obiettivo di garantire la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi allo stato selvatico che devono essere protette dalle legislazioni nazionali. La impostazione seguita trova conferma nella sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza del 7 dicembre 2000, causa C-38/99) per violazione dell'art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE, con specifico riferimento alla disciplina francese, richiamata peraltro, quanto alla regolamentazione della caccia in Corsica, dalla resistente per ulteriormente dimostrare la presunta irrazionalità della previsione della data del 31 gennaio come termine assoluto e indifferenziato per lo svolgimento dell'attività venatoria. Nella richiamata decisione, la Corte di giustizia ha ribadito quanto già affermato nella sentenza del 19 gennaio 1994 (causa C-435/92), e cioè che, per quanto riguarda lo scaglionamento delle date di chiusura della caccia, le autorità nazionali non sono autorizzate dalla direttiva sugli uccelli a fissare siffatte date scaglionate in ragione delle specie di uccelli, a meno che lo Stato membro interessato possa fornire la prova, avallata da dati tecnico-scientifici appropriati a ciascun caso specifico, che uno scaglionamento delle date di chiusura della caccia non sia di ostacolo alla protezione completa delle specie di uccelli che da tale scaglionamento possono essere interessati. 7. - La disciplina statale che prevede come termine per l'attività venatoria il 31 gennaio si inserisce, dunque, in un contesto normativo comunitario e internazionale rivolto alla tutela della fauna migratoria che si propone di garantire il sistema ecologico nel suo complesso. La suddetta disciplina risponde senz'altro a quelle esigenze di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema demandate allo Stato e si propone come standard di tutela uniforme che deve essere rispettato nell'intero territorio nazionale, ivi compreso quello delle Regioni a statuto speciale. La legge della Regione Sardegna, privilegiando un preteso diritto di caccia rispetto all'interesse della conservazione del patrimonio faunistico che è stato più volte riconosciuto come prevalente da questa Corte (sentenze n. 1002 del 1988; n. 35 del 1995; n. 169 del 1999), non rispetta il suddetto standard di tutela uniforme e lede, pertanto, i limiti stabiliti dallo Statuto della Regione Sardegna (art. 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna 7 febbraio 2002, n. 5, recante "Modifica dell'art. 49 della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 - Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna -, concernente il periodo di caccia".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 2002. F.to: Riccardo CHIEPPA, Presidente Fernanda CONTRI, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2002. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA
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