SENTENZA N. 224 ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 6, della legge della Regione Lazio 16 giugno 1994, n. 18 (Disposizioni per il riordino del servizio sanitario regionale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), promosso dal Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra A.F., l'Università degli Studi di Roma La Sapienza ed altra con ordinanza del 27 giugno 2008, iscritta al n. 370 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2008. Visti gli atti di costituzione di A.F. e dell'Azienda Policlinico Umberto I, nonché l'atto di intervento della Regione Lazio; udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta; uditi gli avvocati Cecilia Martelli per A.F., Rosaria Russo Valentini per l'Azienda Policlinico Umberto I e Claudio Chiola per la Regione Lazio.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 27 giugno 2008 il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 6, della legge della Regione Lazio 16 giugno 1994, n. 18 (Disposizioni per il riordino del servizio sanitario regionale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), per violazione degli articoli 97 e 98 della Costituzione. Il giudice a quo premette che il ricorrente ha stipulato in data 5 dicembre 2001 con l'Azienda Policlinico Umberto I un contratto a tempo determinato avente ad oggetto il conferimento di un incarico di direttore amministrativo dell'Azienda ospedaliera della durata di cinque anni. Con decreto del 15 luglio 2005 il Rettore dell'Università convenuta provvedeva alla nomina del nuovo direttore generale. A seguito di tale nomina, il ricorrente riceveva una comunicazione di cessazione immediata dalle funzioni di direttore amministrativo ai sensi del censurato art. 15, comma 6, della legge regionale n. 18 del 1994. L'interessato proponeva ricorso chiedendo l'accertamento dell'inadempimento dell'azienda ospedaliera in relazione agli obblighi assunti con il contratto stipulato e dell'illegittimità del recesso, nonché la condanna delle parti convenute, in solido, alla corresponsione di tutte le retribuzioni dal 2 agosto 2005 al 3 gennaio 2007. In via subordinata, chiedeva la condanna delle parti convenute alla corresponsione dell'indennità supplementare e dell'indennità di mancato preavviso, nonché al risarcimento del danno per la dequalificazione e per il demansionamento, per la perdita di chances e per il pregiudizio esistenziale e biologico subíto, oltre alla condanna al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione alle superiori mansioni rivestite di direttore generale. Si costituivano le parti convenute chiedendo il rigetto del ricorso. 2. Tanto premesso, il remittente assume la illegittimità costituzionale del predetto art. 15 della legge della Regione Lazio n. 18 del 1994. Al fine di dimostrare la rilevanza della questione sollevata, il giudice a quo svolge in via preliminare una ricostruzione del quadro normativo rilevante nel caso in esame. L'azienda ospedaliera convenuta ha autonoma personalità di diritto pubblico, secondo quanto previsto dal decreto-legge 1 ottobre 1999, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'Azienda Policlinico Umberto I e per l'Azienda ospedaliera Sant'Andrea di Roma), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 3 dicembre 1999, n. 453. Il decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell'articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419) ha regolato i rapporti tra il Servizio sanitario nazionale e le Università, prevedendo protocolli di intesa stipulati tra Regioni e Università in conformità alle linee guida contenute in atti di indirizzo e coordinamento. Nel caso di specie tali linee guida sono contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 maggio 2001. Il protocollo di intesa di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 517 del 1999 tra Regione Lazio e Università di Roma, stipulato il 2 settembre 2002, fa espresso rinvio per la disciplina e la regolamentazione della struttura verticistica agli artt. 3 e seguenti del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421). Infatti, l'art. 2, comma 8, del citato d.lgs. n. 517 del 1999 stabilisce che le aziende ospedaliere universitarie integrate con il Servizio sanitario nazionale di cui al comma 2, lettera a), () operano secondo modalità organizzative e gestionali determinate dall'azienda in analogia alle disposizioni degli articoli 3, 3-bis e 4 del d.lgs. n. 502 del 1992. L'art. 3, comma 1-quater, del decreto da ultimo richiamato stabilisce che sono organi dell'azienda il direttore generale e il collegio sindacale. Il direttore generale () è responsabile della gestione complessiva e nomina i responsabili delle strutture operative dell'azienda. Il direttore generale è coadiuvato, nell'esercizio delle proprie funzioni, dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario. Il comma 1-quinquies dello stesso art. 3 stabilisce che il direttore amministrativo e il direttore sanitario sono nominati dal direttore generale. Essi partecipano unitamente al direttore generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell'azienda, assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con la formulazione di proposte e pareri, alla formazione della direzione generale. L'art. 3-bis, comma 8, prevede che il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato dal contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile. La Regione disciplina le cause di risoluzione del rapporto con il direttore amministrativo e il direttore sanitario. Lo stesso contratto individuale di lavoro stipulato dal ricorrente rinvia agli articoli 3, 3-bis, 3-quater e 4 del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni, nonché alla legge regionale. La norma impugnata, la cui rubrica reca direttore amministrativo e direttore sanitario, prevede che il direttore amministrativo e il direttore sanitario cessano dall'incarico entro tre mesi dalla data di nomina del nuovo direttore generale e possono essere riconfermati. Il Tribunale remittente ritiene che tale norma debba trovare applicazione anche all'azienda ospedaliera convenuta, in virtù del richiamo effettuato dall'art. 2, comma 8, del d.lgs. n. 517, sia in forza del richiamo espresso contenuto nel contratto individuale di lavoro stipulato dal ricorrente. La norma censurata precluderebbe, sottolinea il giudice a quo, l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno derivante dalla risoluzione anticipata del contratto stipulato tra le parti. L'eventuale dichiarazione di incostituzionalità della suddetta norma, nella parte in cui dispone per legge la cessazione anticipata e automatica dell'incarico, renderebbe illegittimo il provvedimento di revoca dell'incarico con conseguente diritto del ricorrente al risarcimento del danno. Lo stesso giudice remittente rileva come non siano possibili interpretazioni costituzionalmente orientate che consentano al ricorrente di ottenere, a prescindere da una espressa dichiarazione di incostituzionalità, la ricostituzione del rapporto e la riassegnazione dell'incarico. Né, si aggiunge, è consentito al giudice estendere alla norma in esame quanto statuito da questa Corte con le sentenze n. 103 e n. 104 del 2007. Per quanto attiene alla non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale premette di essere consapevole del fatto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 233 del 2006, ha affermato che gli effetti della nomina di un nuovo direttore generale sugli incarichi di direttore sanitario e amministrativo non riguardano una ipotesi di spoils system in senso tecnico. In particolare, la Corte ha chiarito come tale aspetto non regoli un rapporto fondato sull'intuitus personae tra l'organo politico che conferisce l'incarico e il soggetto che lo riceve ed è responsabile verso il primo dell'efficienza dell'amministrazione, ma concerne l'organizzazione della struttura amministrativa regionale in materia sanitaria e mira a garantire, all'interno di essa, la consonanza di impostazione gestionale tra il direttore generale e i direttori amministrativi e sanitari delle stesse aziende da lui nominati. Successivamente, la stessa Corte, con le sentenze n. 103 e n. 104 del 2007, avrebbe affermato una serie di principi generali che inducono il remittente a ritenere la questione al suo esame non manifestamente infondata In particolare, con la sentenza n. 104 del 2007, la Corte ha dichiarato la incostituzionalità della norma che prevedeva la cessazione automatica dell'incarico di direttore generale delle aziende sanitarie locali o di aziende ospedaliere al novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale; ciò, sul presupposto che è costituzionalmente illegittima una interruzione del rapporto di ufficio per una causa estranea alle vicende del rapporto e non sulla base di valutazioni concernenti i risultati aziendali o il raggiungimento degli obiettivi (il giudice a quo ha richiamato anche parte della motivazione della sentenza n. 103 del 2007). Inoltre, si rileva come non possa avere senso l'abolizione della cessazione automatica dall'incarico per i direttori generali delle aziende sanitarie locali e ospedaliere ed il mantenimento dell'automatismo, invece, per i dirigenti di sua nomina, in nome di una non meglio identificata esigenza di garantire la consonanza di impostazione gestionale. A tale ultimo proposito, si puntualizza che tale consonanza non si misura con la contiguità più o meno politica o di affinità di vedute sull'impostazione della gestione, quanto invece con la verifica dei risultati. La norma in esame si porrebbe, pertanto, in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione. Si osserva, inoltre, come l'art. 15 della legge della Regione Lazio impugnata contemplerebbe già dei sistemi di verifica del raggiungimento degli obiettivi, nel senso della verifica di consonanza di impostazione gestionale, al comma 7, prevedendo la sospensione e la revoca degli incarichi dei direttori amministrativi in ipotesi molto ampie che consentono la verifica. Se a ciò si aggiunge, prosegue il remittente, che l'incarico dirigenziale in questione è temporaneo, appare irragionevole e sospetta di incostituzionalità la norma che dispone la decadenza automatica del direttore sanitario all'avvicendarsi di un nuovo direttore generale. 3. Si è costituita la Regione Lazio rilevando, in primo luogo, la inammissibilità della questione per irrilevanza. Sul punto, si afferma, infatti, che l'art. 2, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999, che disciplina il rapporto tra Aziende sanitarie ospedaliere e Università, non è esaustivo giacché questo rinvia soltanto alle norme statali contenute negli artt. 3, 3-bis e 4 del d.lgs. n. 502 del 1992 e non anche a quelle regionali. Ma anche il preteso richiamo espresso contenuto nel contratto individuale, si aggiunge, manca, a meno che non si ritenga utile al fine del recepimento dell'intera disciplina regionale e quindi anche dell'art. 15, comma 6, il richiamo generale alla legge regionale n. 18 del 1994 contenuto nell'art. 1 del contratto. Si rileva, inoltre, che non appare condivisibile neanche l'affermazione contenuta nell'ordinanza di rimessione secondo cui la declaratoria di incostituzionalità sarebbe necessaria per potere condannare l'amministrazione al risarcimento del danno, potendosi applicare l'art. 2227 del codice civile, che prevede l'ipotesi del recesso unilaterale dal contratto e disciplina il risarcimento del danno subito dal prestatore d'opera in caso di recesso ad nutum, ancorché sia iniziata l'esecuzione dell'opera. Inoltre, come sottolineato dal giudice remittente, la conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma non avrebbe ripercussioni risarcitorie, ma comporterebbe, piuttosto, il ripristino del rapporto che, però, nel caso di specie non è stato richiesto, rendendo, anche sotto questo profilo, la questione irrilevante. 3.1. Per quanto attiene alla non manifesta infondatezza, la difesa regionale rileva come il principio di continuità non possa essere utilmente evocato, costituendo una delle possibili derivazioni del principio del buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione. Si osserva come il direttore amministrativo delle aziende ospedaliere è nominato dal direttore generale e partecipa con quest'ultimo alla direzione dell'azienda e concorre con la formulazione di proposte e di pareri alla formazione delle decisioni della direzione generale (art. 3, comma 1-quinquies, del d.lgs. n. 502 del 1992). Il rapporto direttore generale-direttore amministrativo mirerebbe, pertanto, a garantire, all'interno della struttura amministrativa regionale in materia sanitaria, la consonanza di impostazione gestionale. In questa prospettiva, la norma impugnata tenderebbe ad assicurare anch'essa il principio del buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 della Costituzione (si richiama la sentenza n. 233 del 2006). Né a diversa conclusione potrebbe condurre la successiva sentenza n. 104 del 2007, in quanto con tale sentenza è stata censurata la contaminazione politica nell'avvicendamento delle strutture apicali dell'amministrazione sanitaria in contrasto con il principio di imparzialità più che con quello di buon andamento. Non è un caso che la Corte, continua la difesa della Regione, richiami anche il principio dettato dall'art. 98 Cost., secondo cui i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, con ciò intendendo garantire l'amministrazione pubblica e i suoi dipendenti da influenze politiche. Alla luce di quanto esposto, dovrebbe ritenersi la inammissibilità della censura formulata con riferimento all'art. 98 della Costituzione, in quanto è stata impugnata una norma regionale che disciplina il rapporto interno tra organi della p.a., cui è estranea ogni contaminazione politica. Si conclude osservando che il giudice a quo ignora che la soluzione propugnata sortirebbe, quali irragionevoli conseguenze, sia quella di consentire che del continuum con il proprio dirigente amministrativo possa usufruire soltanto il direttore generale iniziale e non anche il subentrante, a qualsiasi titolo (la sostituzione potrebbe essere determinata anche dalla scomparsa dell'originario direttore generale), sia quella di un rapporto, originariamente fiduciario, che, a seguito del venir meno di una delle parti, si trasformerebbe, immotivatamente, in un ordinario rapporto di lavoro a tempo determinato. 4. Si è costituita nel presente giudizio la parte privata del processo a quo, sottolineando come a seguito della nomina del nuovo direttore generale, avvenuta con decreto del Rettore dell'Università in data 15 luglio 2005, abbia ricevuto una comunicazione di cessazione immediata dalle funzioni di direttore amministrativo ai sensi dell'art. 15, comma 6, della legge regionale n. 18 del 1994. Detto ciò, l'interessato si riporta alle più rilevanti deduzioni contenute nell'ordinanza di rimessione, richiamando i principi affermati da questa Corte, in relazione al rapporto tra organi politici e organi dirigenziali, con le sentenze numeri 103 e 104 del 2007, nonché numeri 161 e 351 del 2008 di questa Corte. In particolare, dall'analisi della giurisprudenza costituzionale emergerebbe come l'unica eccezione al principio che vieta la decadenza automatica al di fuori di un giusto procedimento sarebbe rappresentata dai cosiddetti incarichi dirigenziali apicali. Nella fattispecie all'esame del giudice remittente non verrebbe in rilievo un incarico dirigenziale apicale, ma un rapporto tra due organi amministrativi che colloca tutta la questione nell'ambito dell'azione amministrativa, con conseguente necessità di applicare il principio di cui all'art. 97 della Costituzione. Tale principio impone che la cessazione dall'incarico può essere soltanto il risultato di un procedimento di verifica dei risultati e di osservanza delle direttive all'esito del quale il nuovo direttore generale può accertare se sussistono effettivamente le condizioni perché si realizzi la consonanza gestionale. 5. Si è costituita in giudizio anche l'Azienda Policlinico Umberto I chiedendo alla Corte il rigetto della questione. 6. Nell'imminenza dell'udienza pubblica la parte privata ha depositato una memoria, con la quale ha, in particolare, replicato alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa regionale. Con riferimento alla possibile applicazione dell'art. 2227 cod. civ., si è osservato come tale norma preveda la possibilità del committente di recedere dal contratto con obbligo di corrispondere una indennità al prestatore d'opera, mentre nel caso in esame è stato chiesto il risarcimento del danno. Per quanto attiene alla rilevanza della questione, si deduce come in considerazione del fatto che l'eventuale accoglimento della questione stessa condurrebbe alla necessaria reintegrazione del direttore con conseguente impossibilità di ottenere il risarcimento del danno non possa negarsi al ricorrente del giudizio a quo la facoltà di chiedere la sola condanna al risarcimento dei danni. Infine, si osserva come la previsione della possibilità di riconferma non escluderebbe la illegittimità della cessazione prevista dalla norma impugnata. Nel merito vengono ribadite le argomentazioni già precedentemente svolte e quelle contenute nell'ordinanza di rimessione, volte a dimostrare la contrarietà della disposizione impugnata ai parametri costituzionali evocati.
Considerato in diritto
1. Il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma 6, della legge della Regione Lazio 16 giugno 1994, n. 18 (Disposizioni per il riordino del servizio sanitario regionale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere). La norma censurata prevede che il direttore amministrativo e il direttore sanitario cessano dall'incarico entro tre mesi dalla data di nomina del nuovo direttore generale e possono essere riconfermati. Secondo il giudice a quo, tale disposizione violerebbe gli artt. 97 e 98 della Costituzione, in quanto, in carenza di garanzie procedimentali, non assicurerebbe il principio di continuità dell'azione amministrativa, che è strettamente correlato a quello di buon andamento. Inoltre, si deduce che non avrebbe senso l'abolizione della cessazione automatica dall'incarico per i direttori generali delle aziende sanitarie locali e ospedaliere ed il mantenimento dell'automatismo, invece, per i dirigenti di loro nomina, in nome di una non meglio identificata esigenza di garantire la consonanza di impostazione gestionale. 2. Al riguardo, è necessario richiamare gli aspetti essenziali della vicenda oggetto del giudizio a quo. Il ricorrente aveva stipulato in data 5 dicembre 2001 un contratto a tempo determinato con l'Azienda Policlinico Umberto I, avente ad oggetto il conferimento dell'incarico di direttore amministrativo dell'Azienda stessa della durata di cinque anni. Con decreto del 15 luglio 2005 il Rettore dell'Università aveva nominato un nuovo direttore amministrativo. Con riferimento a tale nomina, il ricorrente nel giudizio a quo aveva ricevuto una comunicazione di cessazione immediata dalle funzioni in corso, ai sensi dell'art. 15, comma 6, della legge regionale n. 18 del 1994. In seguito a ciò, il ricorrente proponeva ricorso al Tribunale ordinario di Roma chiedendo l'accertamento della violazione da parte dell'Azienda ospedaliera universitaria degli obblighi assunti con il contratto e la condanna della stessa al risarcimento dei danni. 3. In via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità della questione sollevate dalla difesa della Regione Lazio. 3.1. Con una prima eccezione si deduce che la norma censurata non si applicherebbe nel giudizio a quo, in quanto l'art. 2, comma 8, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell'articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419), il quale regola il rapporto tra Aziende sanitarie ospedaliere e Università, richiamerebbe soltanto le norme statali contenute negli artt. 3, 3-bis e 4 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e non anche quelle regionali. L'eccezione non è fondata. Il remittente, con motivazione non implausibile, ha affermato che il predetto d.lgs. n. 517 del 1999, nel disciplinare i rapporti in esame, ha richiamato, per quanto non specificamente da esso previsto, il d.lgs. n. 502 del 1992. Tale decreto, a sua volta, prevedendo, tra l'altro, all'art. 3-bis, comma 8, che le cause di risoluzione del rapporto con il direttore amministrativo e con il direttore sanitario sono disciplinate dalla Regione, ha conseguentemente rinviato, per tale aspetto, anche alla normativa regionale, e quindi alla norma censurata, la quale contempla proprio una causa di interruzione del rapporto. 3.2. La Regione ha eccepito, inoltre, quale motivo di inammissibilità, che il giudice avrebbe dovuto comunque esaminare la domanda di risarcimento applicando l'art. 2227 del codice civile, senza necessità di ricorrere alla norma censurata. Anche tale eccezione non è fondata. La citata disposizione attribuisce, nell'ambito della disciplina del lavoro autonomo privatistico, al committente il diritto potestativo di interrompere il rapporto contrattuale in corso mediante l'esercizio del recesso accompagnato dalla corresponsione al prestatore d'opera di un trattamento indennitario. La norma regionale ora censurata disciplina, invece, un istituto diverso, rappresentato dalla interruzione ex lege del rapporto dirigenziale in corso con un soggetto pubblico, con la conseguenza che non si potrebbe comunque applicare la disposizione codicistica nella parte in cui disciplina il regime delle indennità. Inoltre, il ricorrente nel giudizio a quo non ha chiesto la corresponsione di una prestazione indennitaria, normalmente legata alla commissione di un fatto lecito, ma ha invocato una tutela risarcitoria in dipendenza dell'accertamento di un inadempimento contrattuale. In definitiva, sia la eterogeneità della fattispecie di cui al citato art. 2227 cod. civ. rispetto a quella oggetto del giudizio a quo, sia la precisa individuazione del petitum del giudizio stesso, escludono che la controversia possa essere risolta dal Tribunale adito senza necessità di accertare la illegittimità della decadenza automatica dal rapporto prevista dalla disposizione censurata e mediante il solo riconoscimento all'interessato di una indennità prevista dalla predetta disposizione del codice civile. 3.3. Quanto sopra comporta il rigetto anche dell'eccezione proposta dalla resistente Amministrazione, con la quale si deduce che sarebbe stato possibile esaminare la domanda attrice anche in assenza della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma in questione. Al riguardo, è sufficiente osservare che costituisce presupposto indefettibile dell'azione risarcitoria il previo accertamento, sul piano oggettivo, della illegittimità della norma sulla interruzione automatica del rapporto di lavoro. 3.4. Egualmente non fondata è, infine, l'eccezione di inammissibilità della questione per irrilevanza, sollevata dalla difesa della Regione, sotto il profilo secondo il quale l'accoglimento della stessa potrebbe comportare soltanto il ripristino del rapporto interrotto e non anche la condanna dell'Azienda ospedaliera universitaria al risarcimento del danno, come richiesto dall'interessato. Avuto riguardo alla particolare natura della vicenda contenziosa in esame, non può negarsi che spetti al soggetto investito di pubbliche funzioni decidere le modalità di tutela, reale o risarcitoria, delle proprie situazioni giuridiche di cui si assuma la lesione. Il ricorrente nel giudizio a quo ha chiesto il risarcimento del danno, deducendo la illegittimità dell'intervenuta interruzione automatica del suo rapporto dirigenziale, disposta in applicazione della norma censurata. Ne consegue che soltanto l'accertamento della illegittimità costituzionale della norma, che ha autorizzato l'Amministrazione ospedaliera a dichiarare la cessazione automatica del rapporto, permetterebbe al giudice a quo di valutare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria azionata. Ad una diversa conclusione, d'altronde, non si può pervenire mediante il richiamo alla sentenza n. 351 del 2008, con cui questa Corte ha ritenuto contrario, tra l'altro, al principio costituzionale di buon andamento la sola previsione di strumenti di tutela risarcitoria in favore del dirigente rimosso illegittimamente, sottolineando come la mancanza di forme di tutela reale pregiudichi gli interessi pubblici di rilevanza costituzionale. Infatti, con la citata sentenza si è messa unicamente in rilievo la imprescindibilità, nel settore in esame, della previsione di strumenti di protezione di tipo reale, senza alcuna indicazione in ordine alle modalità di scelta delle forme di tutela. Nella specie, il ricorrente ha chiesto la condanna dell'amministrazione ospedaliera al risarcimento del danno. La valutazione della fondatezza di tale pretesa presuppone, pertanto, un giudizio sul comportamento tenuto dal soggetto pubblico in applicazione della norma censurata dal giudice a quo. 4. Nel merito, la questione è fondata. 4.1. La norma in esame prevedendo che il direttore amministrativo e il direttore sanitario cessano dall'incarico entro tre mesi dalla data di nomina del nuovo direttore generale e possono essere riconfermati contempla un meccanismo di decadenza automatica e generalizzata dalle suddette funzioni dirigenziali. La difesa della resistente Regione, a sostegno della infondatezza della questione, ha richiamato la sentenza n. 233 del 2006, con la quale questa Corte ha affermato, con riferimento a quanto previsto dall'art. 14, comma 3, della legge della Regione Calabria 17 agosto 2005, n. 13 (Provvedimento generale, recante norme di tipo ordinamentale e finanziario collegato alla manovra di assestamento di bilancio per l'anno 2005 ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), che gli incarichi di direttore amministrativo e direttore sanitario hanno natura esclusivamente fiduciaria e terminano in caso di cessazione per qualunque causa del direttore generale, con risoluzione di diritto dei relativi contratti di lavoro, specificando che quella sopra indicata non può essere qualificata come un'ipotesi di spoils system in senso tecnico. Secondo la Corte, infatti, la suindicata norma non regola un rapporto fondato sull'intuitus personae tra l'organo politico che conferisce un incarico ed il soggetto che lo riceve ed è responsabile verso il primo dell'efficienza dell'amministrazione; ma concerne l'organizzazione della struttura amministrativa regionale in materia sanitaria e mira a garantire, all'interno di essa, la consonanza di impostazione gestionale fra il direttore generale e i direttori amministrativi e sanitari delle stesse aziende da lui nominati. In questa prospettiva, la citata sentenza ha puntualizzato che la norma impugnata tende ad assicurare il buon andamento dell'amministrazione, e quindi non viola l'art. 97 Cost.. 4.2. A tale riguardo, va però osservato che la successiva giurisprudenza costituzionale ha effettuato, in relazione ad una serie di disposizioni disciplinatrici dei rapporti tra organi politici e amministrativi ovvero tra organi amministrativi, talune puntualizzazioni volte, rispetto a quanto affermato dalla citata sentenza n. 233 del 2006, a valorizzare, in particolare, il principio di continuità dell'azione amministrativa che rinviene il suo fondamento proprio nell'art. 97 Cost. Si è così precisato, con la suindicata giurisprudenza, che i meccanismi di decadenza automatica, ove riferiti a figure dirigenziali non apicali, ovvero a titolari di uffici amministrativi per la cui scelta l'ordinamento non attribuisce, in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti politici del titolare dell'organo che nomina, si pongono in contrasto con l'art. 97 Cost., in quanto pregiudicano la continuità dell'azione amministrativa, introducono in quest'ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall'incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall'accertamento oggettivo dei risultati conseguiti (sentenze n. 34 del 2010, n. 351 e n. 161 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007). In particolare, la Corte, con la sentenza n. 104 del 2007, ha affermato, con riferimento proprio alla legislazione della Regione Lazio, che il direttore generale di Aziende sanitarie locali nominato, con ampio potere discrezionale, dal Presidente della Regione per un periodo determinato non può decadere automaticamente in connessione con l'insediamento del nuovo Consiglio regionale. É stata ritenuta, infatti, in contrasto con l'art. 97 della Costituzione la previsione della cessazione del soggetto, cui sia stata affidata tale funzione, dal rapporto di ufficio e di lavoro con la Regione per una causa estranea alle vicende del rapporto stesso, e non sulla base di valutazioni concernenti i risultati aziendali o il raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute e di funzionamento dei servizi, o ancora per una delle altre cause che legittimerebbero la risoluzione per inadempimento del rapporto. 4.3. Dall'applicazione di tali principi alla vicenda cha ha dato origine al presente giudizio, deriva, avendo anche riguardo al contesto normativo in cui la norma censurata si colloca, che quest'ultima contrasta con l'art. 97 Cost. Deve essere, innanzitutto, chiarito che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale nella discussione in udienza pubblica, non sussiste un rapporto di stretta simmetria tra le modalità di conferimento dell'incarico dirigenziale e le cause di cessazione di esso. La scelta fiduciaria del direttore amministrativo che deve essere effettuata con provvedimento, motivato, ma pur sempre ampiamente discrezionale, del direttore generale, con particolare riferimento alle capacità professionali del prescelto in relazione alle funzioni da svolgere (art. 15, secondo comma, della legge n. 18 del 2004) non implica, infatti, che la interruzione del rapporto, che si instaura in conseguenza di tale scelta, possa avvenire con il medesimo margine di apprezzamento discrezionale che connota quest'ultima. Una volta, infatti, instaurato il rapporto di lavoro, con la predeterminazione contrattuale della sua durata, vengono in rilievo altri profili, connessi, in particolare, da un lato, alle esigenze dell'Amministrazione ospedaliera concernenti l'espletamento con continuità delle funzioni dirigenziali proprie del direttore amministrativo, e, dall'altro lato, alla tutela giudiziaria, costituzionalmente protetta, delle situazioni soggettive dell'interessato, inerenti alla carica. E proprio la valutazione di tali esigenze determina il contrasto della disposizione impugnata con il principio di buon andamento sancito dall'art. 97 Cost., in quanto la disposizione stessa non àncora l'interruzione del rapporto di ufficio in corso a ragioni interne a tale rapporto, che legate alle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore amministrativo siano idonee ad arrecare un vulnus ai principi di efficienza, efficacia e continuità dell'azione amministrativa. A ciò è da aggiungere che la norma censurata, prevedendo l'interruzione ante tempus del rapporto, non consente alcuna valutazione qualitativa dell'operato del direttore amministrativo, che sia effettuata con le garanzie del giusto procedimento. Nell'ambito di tale procedimento il nuovo direttore generale sarebbe tenuto a specificare le ragioni, connesse alle pregresse modalità di svolgimento delle funzioni dirigenziali da parte dell'interessato, idonee a fare ritenere sussistenti comportamenti di quest'ultimo suscettibili di integrare la violazione delle direttive ricevute o di determinare risultati negativi nei servizi di competenza e giustificare, dunque, il venir meno della necessaria consonanza di impostazione gestionale tra direttore generale e direttore amministrativo. In effetti, soltanto nel rispetto delle predette modalità e condizioni il nuovo direttore generale può, con provvedimento motivato, procedere alla rimozione del direttore amministrativo prima della suddetta scadenza contrattuale. Sotto altro aspetto, come si è già precisato, l'esistenza di una fase valutativa dei comportamenti tenuti dall'interessato può assicurare al dirigente la possibilità di fare valere il suo diritto di difesa, sulla base eventualmente dei risultati delle proprie prestazioni e delle competenze esercitate in concreto nella gestione dei servizi amministrativi a lui affidati. Del resto, i commi 7 e 8 dell'art. 15 della legge regionale in questione, prevedono un particolare iter procedimentale di garanzia per il direttore amministrativo, che si articola normalmente in una prima fase svolta in contraddittorio, all'esito della quale può essere disposta, con atto motivato, la sola sospensione del dirigente; e una seconda fase, connotata sempre dalle medesime garanzie procedimentali, che, in presenza di casi di particolare gravità, ovvero qualora le inadempienze che hanno determinato la sospensione siano reiterate, può condurre alla revoca dell'incarico. In definitiva, in presenza delle suindicate disposizioni e avuto riguardo al complessivo sistema di nomina e di revoca del dirigente in questione, la previsione, da parte della norma impugnata, di una interruzione automatica del rapporto per effetto della nomina del nuovo direttore generale, senza la previsione di una fase procedurale che faccia dipendere la decadenza da pregressa responsabilità del dirigente, comporta una vera e propria discontinuità della gestione (sentenza n. 55 del 2009), in contrasto con l'art. 97 della Costituzione. Né ad una diversa conclusione può pervenirsi per il solo fatto che la norma preveda la possibilità della riconferma del direttore amministrativo. Il potere del direttore generale di conferma di quest'ultimo non attribuisce, infatti, al rapporto dirigenziale in corso con l'interessato, alcuna significativa garanzia, atteso che dal mancato esercizio del predetto potere la norma censurata fa derivare la decadenza automatica senza alcuna possibilità di controllo giurisdizionale. Alla luce di quanto sopra, pertanto, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 15, comma 6, della legge regionale n. 18 del 1994.
per questi motivi
la corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, comma 6, della legge della Regione Lazio 16 giugno 1994, n. 18 (Disposizioni per il riordino del servizio sanitario regionale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 21 giugno 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Alfonso QUARANTA , Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA
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