SENTENZA N. 256 ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con sentenze del 2 giugno e del 21 ottobre 2009, rispettivamente iscritte al n. 233 del registro ordinanze 2009 ed al n. 3 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2009, e n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2010. Visti gli atti di costituzione di L.G. ed altri, del Coordinamento provinciale del Popolo della Libertà di Lecce, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta; uditi gli avvocati Luigi Melica, Mario Esposito e Adriano Tolomeo per L.G. ed altri, Luciano Ancora e Roberto G. Marra per il Coordinamento provinciale del Popolo della Libertà di Lecce e l'avvocato dello Stato Claudio Linda per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Con due sentenze di analogo tenore, rispettivamente n. 1296 del 2009 (reg. ord. n. 233 del 2009) e n. 2314 del 2009 (reg. ord. n. 3 del 2010), il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), nella parte in cui non prevedono il sindacato, da parte dell'Ufficio elettorale centrale, in ordine al rispetto, da parte dei presentatori delle liste, delle disposizioni statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle candidature ed alla partecipazione del partito politico ad una competizione elettorale, deducendo la violazione degli articoli 49 e 51 della Costituzione. Le sentenze sono state rese in due giudizi, entrambi promossi dai medesimi soggetti, qualificatisi come cittadini elettori, oltre che aderenti alla formazione politica Popolo della Libertà, aventi ad oggetto l'impugnazione di provvedimenti adottati dall'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello di Lecce, nell'ambito del procedimento elettorale per l'elezione del Presidente della Provincia di Lecce e del Consiglio provinciale di Lecce indetta, per un primo turno di votazione nei giorni 6 e 7 giugno 2009, nonché, per il ballottaggio, nei successivi giorni 21 e 22. 2. In particolare, il primo giudizio a quo ha ad oggetto il provvedimento di ammissione alla competizione elettorale dei candidati alla carica di consigliere provinciale nei collegi di Veglie-Salice Salentino, Martano, Presicce, Maglie e Lecce, inseriti nelle liste del Popolo della Libertà, nonché il provvedimento, in data 11 maggio 2009, dell'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello di Lecce. Nel secondo giudizio, il TAR è chiamato a pronunciarsi oltre che in ordine alla legittimità amministrativa dei suddetti atti, anche sull'impugnativa del verbale di proclamazione degli eletti. 3. Il remittente premette, in fatto, che uno dei ricorrenti è Coordinatore provinciale della Unione Liberale di Centro, affiliata alla formazione politica Popolo della Libertà, e Presidente delle Case del Cittadino, associazione aderente al detto raggruppamento politico, mentre gli altri ricorrenti aderiscono alla Unione Liberale di Centro e, quindi, al Popolo della Libertà. In tale veste i ricorrenti chiedevano di essere candidati per la carica di consigliere provinciale, rispettivamente, nei suddetti collegi, nelle liste della indicata formazione politica. Ritenendo che le designazioni dei candidati non stessero avvenendo nel rispetto dell'art. 25 dello statuto del Popolo della Libertà, uno dei ricorrenti diffidava il Coordinatore provinciale del suddetto partito a vagliare la propria proposta di candidatura e, successivamente, proponeva ricorso al Collegio dei Probiviri, ai sensi dell'art. 41 del citato statuto (ricorso che, afferma il TAR, non risulterebbe ancora deciso). I ricorrenti, quindi, apprendevano che la formazione politica in questione aveva deciso di candidare, nei collegi sopra richiamati, altri aderenti alla medesima e decidevano di sottoporre la questione all'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello di Lecce, lamentando la violazione dell'art. 25 dello statuto del Popolo della Libertà, che regolamenta la presentazione delle candidature anche con riferimento alle elezioni provinciali. Con provvedimento in data 11 maggio 2009, l'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello di Lecce dichiarava l'inammissibilità del ricorso e il non luogo a provvedere su di esso, in base alla considerazione che le proprie competenze si esaurissero nel controllo della regolarità del procedimento di presentazione delle candidature, sicché l'Ufficio stesso non avrebbe alcuna competenza ad interferire in tutto ciò che è a monte dello stesso e, in particolare, nella scelta da parte del gruppo politico delle candidature da presentare. Il provvedimento del suddetto Ufficio elettorale centrale veniva, quindi, impugnato dai ricorrenti. All'esito delle elezioni, l'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello di Lecce dichiarava eletto il candidato presidente Antonio Maria Gabellone e proclamava l'elezione dei consiglieri provinciali. I ricorrenti provvedevano ad impugnare l'atto di proclamazione degli eletti. 4. Il remittente, ritenendo ben incardinati i giudizi quanto al rispetto del contraddittorio, in via preliminare ha affrontato due temi. Da un lato, ha ritenuto l'immediata lesività ed impugnabilità dei provvedimenti censurati, non essendosi formato diritto vivente in senso contrario (in proposito, è citata la sentenza n. 90 del 2009 di questa Corte); dall'altro, ha escluso che l'art. 41 dello statuto del Popolo della Libertà, che prevede il ricorso al Collegio dei Probiviri, precluda la tutela giurisdizionale nel caso di specie. In ordine al primo profilo, il TAR ha dedotto di poter riaffermare il proprio orientamento che ammetteva il sindacato giurisdizionale autonomo ed immediato del provvedimento di ammissione delle liste e dei candidati, in quanto lo stesso risponde, con maggiore efficacia, all'esigenza di tutela dei ricorrenti e, in definitiva, all'interesse alla corretta esplicazione della competizione elettorale; esigenze che sono presenti anche nella presente fattispecie e che hanno indotto lo stesso remittente a sollevare la questione di costituzionalità già in sede di vaglio della decisione dell'Ufficio elettorale centrale in materia di ammissione delle liste e dei candidati. In ordine al secondo profilo, il TAR remittente ha precisato che i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione attengono, infatti, univocamente a controversie instaurate tra affiliati ed il partito politico di riferimento e non hanno attinenza con la fattispecie al suo esame, che riguarda la legittimità del sindacato operato dall'Ufficio elettorale centrale. 5. Ad avviso del giudice a quo, la decisione 11 maggio 2009 dell'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello di Lecce si presenta sostanzialmente corretta ed aderente alla sistematica degli artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960, che non prevedono attualmente la possibilità, per il suddetto Ufficio elettorale, di verificare la legittimazione del soggetto che presenti la lista, con riferimento, soprattutto, alle norme di legge o di statuto che regolamentano la stessa formazione della volontà di una determinata associazione politica e, quindi, in definitiva, garantiscono che una determinata lista di candidati costituisca genuina espressione di una formazione politica e non di iniziative esterne al contesto politico di riferimento. Non sarebbe, infatti, condivisibile un'interpretazione estensiva delle suddette disposizioni, in quanto essa inciderebbe su due ambiti di peculiare rilevanza quale il diritto di voto e la libertà di associazione (è richiamata la sentenza n. 407 del 1999 di questa Corte), che richiedono parametri obiettivi. L'attuale formulazione degli artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960 non sarebbe conforme a Costituzione e contrasterebbe, soprattutto, con la previsione dell'art. 49 Cost., il quale garantisce a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. A giudizio del remittente, in ragione delle norme censurate, la verifica del rispetto delle previsioni statutarie o di legge in materia di formazione delle liste elettorali è del tutto preclusa, proprio nel delicato momento della presentazione delle stesse. In tal modo, argomenta il TAR, si giunge al sostanziale paradosso per cui una decisione in ordine alla presentazione di una lista assunta in violazione delle previsioni statutarie, come nella vicenda in esame, potrebbe essere sindacata dal giudice ordinario in sede di impugnazione della delibera dell'associazione irregolarmente adottata, ma non potrebbe costituire oggetto di alcuna valutazione in sede di presentazione delle liste. La complessiva irrazionalità dell'attuale ambito di sindacato dell'ufficio elettorale centrale sarebbe, poi, ulteriormente percepibile, laddove si consideri che esso non si limita ad un vaglio formale delle liste, ma investe anche la salvaguardia di interessi di particolare pregnanza, come la tutela della collettività da infiltrazioni criminose, le quali non rivestono minore importanza rispetto alla possibilità di concorrere democraticamente alla politica nazionale, ai sensi dell'art. 49 Cost., o del diritto di accedere agli uffici pubblici elettivi garantito dall'art. 51 Cost. L'ufficio elettorale centrale, senza interferire, in tal modo, nella vita interna dei partiti, svolgerebbe solo un sindacato esterno in ordine al rispetto delle previsioni statutarie sulla presentazione delle candidature e, in generale, sulla legittimazione di chi presenti le relative liste. 6. Si sono costituiti nel presente giudizio il Coordinamento provinciale del Popolo della Libertà di Lecce, nonché, con un unico atto d'intervento, i ricorrenti nei giudizi a quibus. Nel solo giudizio r.o. n. 233 del 2009 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 7. Il Coordinamento provinciale del Popolo della Libertà ha dedotto la inammissibilità della questione. In particolare, si osserva che il remittente avrebbe chiesto una pronuncia additiva che esorbita dai poteri del Giudice delle leggi. Nel merito, si prospetta la non fondatezza della questione, in quanto la pronuncia richiesta introdurrebbe elementi di disequilibrio nella norma complessivamente considerata, non in linea con i principi garantiti dall'art. 97 della Costituzione. Inoltre, l'attività di sostituzione di un candidato ad un altro, che si vorrebbe attribuita all'Ufficio elettorale, sarebbe incompatibile con il sistema fissato dalla normativa in ordine alla designazione dei candidati. 8. Le parti private, ricorrenti nei giudizi a quibus, hanno prospettato argomentazioni analoghe a quelle contenute negli atti di rimessione, chiedendo l'accoglimento della questione. 9. Il Presidente del Consiglio dei ministri, dal canto suo, ha dedotto l'inammissibilità e la non fondatezza della questione stessa. La difesa dello Stato ha eccepito il difetto di giurisdizione del remittente, poiché la fattispecie in esame verte sul mancato rispetto delle regole statutarie del movimento politico del quale la lista in questione costituisce espressione (è richiamata la sentenza n. 203 del 1975). Il ricorso proposto dinanzi al TAR contro il primo atto endoprocedimentale dell'Ufficio elettorale sarebbe, altresì, inammissibile, avendo i ricorrenti omesso di notificarlo al candidato Presidente della Provincia o ad altri candidati della lista in questione, quali controinteressati. Infine, ulteriore inammissibilità della questione deriverebbe dalla inadeguatezza della pronuncia additiva richiesta ad integrare una disciplina certa. Nel merito, a sostegno della non fondatezza della questione, l'Avvocatura dello Stato ha dedotto che la presentazione delle liste nelle elezioni comunali e provinciali non è attribuita ai partiti o ai gruppi politici, in quanto, in realtà, sono gli stessi elettori i veri presentatori della lista, come discende dagli artt. 28 e 32 del citato d.P.R. n. 570 del 1960. Non sussisterebbero, quindi, i profili di violazione degli artt. 49 e 51 Cost. prospettati dal giudice a quo. 10. In data 18 maggio 2010 hanno depositato memorie i ricorrenti nei giudizi a quibus, l'Avvocatura generale dello Stato, nonché il Coordinamento del Popolo della Libertà di Lecce. 11. I ricorrenti, nel richiamare le conclusioni già formulate, hanno ribadito l'illegittimità delle norme censurate, in quanto le stesse non consentirebbero alcuna verifica in ordine alla corretta e genuina formazione della volontà del partito politico in nome e per conto del quale vengono presentate le candidature. 12. Il Presidente del Consiglio dei ministri, dal canto suo, ha ricordato i profili di inammissibilità già prospettati. Nel merito, la difesa dello Stato ha insistito per il rigetto della questione. 13. Anche il Coordinamento del Popolo della Libertà di Lecce ha depositato memoria, deducendo, in particolare, la contraddittorietà delle sentenze di rimessione, in particolare in quanto lo stesso giudice a quo riconosce la possibilità di tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario. 14. Analoghe osservazioni difensive sono prospettate dalle medesime parti private nelle memorie depositate in relazione alla sentenza di rimessione iscritta al n. 3 del registro ordinanze del 2010.
Considerato in diritto
1. Con due sentenze di analogo tenore, rispettivamente n. 1296 del 2009 (reg. ord. n. 233 del 2009) e n. 2314 del 2009 (reg. ord. n. 3 del 2010), il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), nella parte in cui non prevedono il sindacato, da parte dell'Ufficio elettorale centrale, in ordine al rispetto, da parte dei presentatori delle liste, delle disposizioni statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle candidature ed alla partecipazione del partito politico ad una competizione elettorale, deducendo la violazione degli articoli 49 e 51 della Costituzione. 2. I due giudizi devono essere riuniti, ai fini di una unica decisione, stante la loro connessione soggettiva e oggettiva. 3. In via preliminare, deve essere precisato che non viene in rilievo in questa sede un problema di ammissibilità, con riferimento alla questione prospettata dal TAR remittente con la sentenza n. 233 del 2009, sotto il profilo della non consentita impugnazione di atti endoprocedimentali della competizione elettorale, dal momento che, con la seconda sentenza (n. 3 del 2010), la medesima questione di costituzionalità è stata sollevata, ai sensi dell'art. 83-undecies dello stesso d.P.R. n. 570 del 1960, nella sede della impugnazione giurisdizionale dell'atto terminale del procedimento elettorale, rappresentato dal verbale di proclamazione degli eletti. 4. Ciò chiarito, deve precisarsi che il giudice a quo ha promosso la suindicata questione di costituzionalità con sentenza e non con ordinanza. Siffatta anomalia, non di meno, è priva di conseguenze nel presente giudizio di costituzionalità. In proposito, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la suddetta circostanza non comporta la inammissibilità della questione, posto che, come si desume dalla lettura dei due atti di promovimento, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza della stessa ha disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di questa Corte; sicché a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza, deve essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (sentenza n. 151 del 2009). 5. Ancora in via preliminare, è necessario valutare le eccezioni di inammissibilità della questione prospettate dalle parti. Nell'ordine logico di trattazione delle suddette eccezioni pregiudiziali, spettando alla Corte stabilire, anche per economia di giudizio, l'ordine con cui affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite le altre (da ultimo, sentenza n. 181 del 2010), deve essere esaminata, prima di ogni altra, quella di inammissibilità dedotta dai resistenti per la asserita carenza di giurisdizione del giudice a quo sulla controversia sottoposta al suo scrutinio nel giudizio principale. 6. L'eccezione non è fondata. Al riguardo, occorre partire dalla considerazione che la natura amministrativa dei controlli effettuati dall'Ufficio elettorale circoscrizionale e da quello centrale è stata affermata da questa Corte sul rilievo che la collocazione di detti organi, rispettivamente, presso la Corte d'appello e la Corte di cassazione non comporta che i collegi medesimi siano inseriti nell'apparato giudiziario, evidente risultando la carenza, sia sotto il profilo funzionale sia sotto quello strutturale, di un nesso organico di compenetrazione istituzionale che consenta di ritenere che essi costituiscano sezioni specializzate degli uffici giudiziari presso cui sono costituiti (sentenza n. 259 del 2009). Orbene, non è implausibile ritenere che l'azione proposta innanzi al TAR ricada nell'ambito della giurisdizione amministrativa avente ad oggetto le operazioni elettorali, sul presupposto che in detto ambito rientri anche l'impugnazione degli atti amministrativi adottati dai competenti Uffici elettorali in ordine alla ammissione o ricusazione dei candidati, delle liste e dei relativi contrassegni. Sotto altro aspetto, non assume rilievo in questa sede il ricorso, proposto dagli interessati al Collegio dei probiviri del partito politico, contro le determinazioni assunte dagli organi del partito stesso in sede di formazione delle liste; né può ritenersi che le questioni attinenti alla fase di selezione dei candidati concernano esclusivamente i rapporti interni tra l'associazione politica e gli aderenti medesimi, sicché si verterebbe in una fattispecie nella quale l'unico giudice cui le parti sarebbero state legittimate a ricorrere dovrebbe essere individuato nel giudice ordinario e non in quello amministrativo, venendo in rilievo soltanto la disciplina dettata dal codice civile in tema di associazioni non riconosciute. Non può, pertanto, considerarsi implausibile l'affermazione del giudice a quo in ordine alla sussistenza della propria giurisdizione sulla controversia, per cui l'eccezione in esame deve essere respinta. 7. Fondata, invece, è l'eccezione di inammissibilità proposta dalle parti resistenti sotto il profilo della natura additiva della richiesta formulata dal remittente, il cui accoglimento, nella specie, esula dai poteri decisionali di questa Corte. 8. Al riguardo, si deve osservare come il giudice a quo deduca che, secondo l'attuale formulazione delle norme censurate, la verifica in ordine al rispetto delle previsioni statutarie o di legge in materia di formazione delle liste elettorali è () del tutto preclusa, dandosi luogo, per tale ragione, ad una competizione elettorale viziata dalla presentazione di una lista che non costituisce corretta espressione della volontà degli aderenti alla relativa formazione politica. Il remittente, a questo proposito, muove dalla considerazione che la controversia sollevata con i ricorsi innanzi a sé riceve nell'ordinamento soltanto una tutela differita, successiva cioè alla proclamazione degli eletti, secondo quanto disposto dal citato art. 83-undecies, del d.P.R. n. 570 del 1960. Tale forma di tutela non sarebbe idonea, secondo il suo giudizio, ad assicurare l'osservanza dei precetti costituzionali contenuti negli artt. 49 e 51 Cost. Per ovviare a tale inconveniente, il remittente esclusa, con motivazione non implausibile, la possibilità di dare alle norme censurate una interpretazione costituzionalmente orientata, volta a consentire la piena osservanza dei suddetti parametri costituzionali prospetta la necessità di un intervento additivo di questa Corte diretto alla creazione di una nuova disposizione normativa che attribuisca agli uffici elettorali il compito di provvedere alla verifica che siano state rispettate, da parte dei responsabili dei movimenti politici che formano le liste, le disposizioni statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle candidature ed alla partecipazione del partito politico alla competizione elettorale. Come ritenuto da questa Corte (ordinanza n. 407 del 1999), in una fattispecie per molti aspetti analoga a quella in esame, in quanto vertente anch'essa sulle competenze degli uffici elettorali, l'ipotizzata declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa in questione, nella parte in cui non consente agli uffici stessi di valutare la conformità delle candidature indicate dai partiti politici alle rispettive norme statutarie interne, richiederebbe, comunque, la preventiva determinazione di criteri oggettivi per tale valutazione; ciò che rientra indiscutibilmente nella discrezionalità del legislatore. Non è poi condivisibile l'osservazione del remittente, secondo cui l'intervento dei suddetti uffici elettorali sarebbe agevole data la natura estremamente semplice degli adempimenti e del sindacato in ordine al rispetto delle previsioni statutarie concernenti la presentazione delle candidature, giacché essa non tiene conto della diversità delle singole organizzazioni partitiche e delle relative normative interne; né tiene conto del fatto che queste ultime potrebbero anche mancare del tutto, particolarmente nelle competizioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi di piccoli comuni. In realtà, il giudice remittente, sostanzialmente, lamenta la mancanza di un efficace e tempestivo metodo di controllo nelle procedure seguite dai partiti politici nella designazione dei candidati alle elezioni comunali e provinciali. A giudizio del remittente medesimo, l'unico modo per eliminare siffatta lacuna sarebbe proprio un intervento additivo di questa Corte, volto ad introdurre nel testo degli artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960 una nuova ipotesi di competenza degli uffici elettorali, relativa alla verifica del rispetto, da parte dei presentatori delle liste, delle normative, di tipo statutario o legislativo (queste ultime, peraltro, neppure indicate), nella fase, politicamente molto delicata, nella quale si individuano i soggetti da candidare e si delineano gli aspetti salienti della stessa partecipazione del partito politico alla competizione elettorale. È, dunque, evidente che il giudice a quo ha chiesto un intervento di tipo manipolativo che non è consentito a questa Corte, in quanto non è ravvisabile, nella specie, una soluzione costituzionalmente obbligata sia per quanto attiene al tipo di tutela che dovrebbe essere introdotta a favore dei soggetti interessati, sia per quanto concerne i criteri in base ai quali gli uffici elettorali medesimi dovrebbero decidere le relative controversie interne alle organizzazioni di ciascun partito politico le cui normative, ove esistenti, potrebbero presentare profili del tutto specifici in relazione alle rispettive loro organizzazioni sia, infine, quanto al relativo procedimento. Elementi, questi, in ordine ai quali deve potersi esplicare pienamente la discrezionalità politica del legislatore, data la pluralità delle possibili soluzioni concretamente adottabili nel quadro di una più ampia valutazione attinente all'attuazione di quanto previsto dall'art. 49 Cost. quanto al diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti politici, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Tale libertà associativa trova, del resto, nel momento elettorale la più genuina e significativa espressione, in modo che sia garantita per gli elettori la possibilità di concorrere democraticamente a determinare la composizione e la scelta degli organi politici rappresentativi (sentenza n. 429 del 1995). 9. Pertanto, sulla base delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Puglia, sezione staccata di Lecce. 10. Resta assorbito l'esame di ogni altra questione pregiudiziale o di merito.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi; dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), sollevata, in riferimento agli articoli 49 e 51 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con gli atti indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Alfonso QUARANTA , Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2010. Il Cancelliere F.to: MILANA
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